2019-08-20
Washington appoggia l’azzardo leghista contro l’asse tra Cina, Francia e Germania
Se Matteo Salvini ha rotto, è anche perché sa che gli Usa lo supportano nella sfida a dem e grillini, fedeli a Pechino, Parigi e Berlino.Quanti paventano o auspicano il governo giallorosso a succedere a quello gialloblù lambiccano alchimie politiche squisitamente nazionali. Non di meno l'Italia è da sempre al centro d'una faglia geopolitica più minacciosa di quella di San Andreas, che insidia San Francisco e dintorni.Dopo la morte di Aldo Moro s'acuì il carattere «proconsolare» delle massime istituzioni repubblicane, Quirinale e Palazzo Chigi. Fin dal nostro ingresso nella Nato, nel 1949, presidenza della Repubblica e governi si legittimarono con la benedizione del Dipartimento di Stato statunitense e quella della Curia vaticana, osservatore fiduciario permanente degli Usa, fino al 1989. Oggi Jorge Mario Bergoglio conta meno di Jean Claude Juncker dopo il quarto drink. Il ruolo dell'Unione sovietica crebbe a partire dagli anni Ottanta, in seguito alla scomparsa di Moro. Una beffa per quanti oltre l'Atlantico concessero in fretta e furia il visto di ingresso a Giorgio Napolitano, reputando il Pci più affidabile dello stesso Aldo Moro.Caduto il muro di Berlino, il ruolo di Mosca fu scalzato dall'asse franco prussiano, con il favore dei Bush, padre e figlio, seguiti dai Clinton, marito e moglie, e da Hussein Barack Obama. Un club di avidi sciocchi e sanguinari, manutengoli della Repubblica popolare cinese, cui stavano consegnando il mondo e l'Europa, com'è oramai visibile nei mutati equilibri in Africa e nel Mediterraneo.L'avvento di Donald Trump ha scombinato i disegni del Quarto Reich (Francia e Germania) e del club filocinese statunitense, senza tuttavia cancellarli del tutto.L'Italia è ancora al centro d'una faglia di instabilità, differente e più pericolosa di quella bipolare che mise a confronto Est e Ovest durante la guerra fredda. A partire dal trattato di Maastricht, il dissanguamento della nostra sovranità è trascolorato in vantaggi per vecchi e nuovi attori, Cina in primo luogo.Dall'elezione di Trump lo schieramento vede Stati Uniti e Gran Bretagna da un lato, contrapposte a Cina, Germania e Francia. L'Italia è nel mezzo del confronto.Perché l'Italia è importante? Nel 1992 cominciò il tentativo - da parte di Bill Clinton - di coniugare la presenza statunitense in Sicilia (portaerei nel Mediterraneo) e nell'area veneto giuliana (porta di ingresso nei Balcani) con l'influenza crescente dell'asse franco-prussiano. In Sicilia rinacque l'autonomismo - come confermò nel 1994 in un'intervista all'Europeo il primo Procuratore generale antimafia, Bruno Siclari. A Washington si resero finalmente conto che l'autonomia siciliana, rinfocolatasi fra Capaci e via D'Amelio, non era affatto scontata a stelle e strisce, come nel 1946. D'altronde il lombardo veneto sbandava verso la Germania. I cervelloni del Dipartimento di Stato cercarono di correre ai ripari, tirando ora la briglia di sinistra ora quella di destra dei governi italiani, senza tuttavia ottenere altro che un trasferimento di almeno dieci punti di Pil dall'Italia all'asse franco-prussiano. Per di più quando capirono che dietro Francia e Germania irrompeva la Cina, tentarono la «primavera musulmana», una sorta di contro fuoco, come si fa quando si incendia una porzione di bosco per fermare l'incendio che avanza da tergo, in questo caso dal Centrafrica, dove la Cina dilaga con esercito e mercenari franco prussiani a darle copertura. La «primavera musulmana» è andata come si sa, consentendo poi a Vladimir Putin di rientrare nel grande gioco del Mediterraneo. In due parole, una catastrofe.Trump ha cercato di limitare i danni, aprendo un confronto con Pechino, spalleggiato dalla Gran Bretagna, la cui Brexit materializza il rifiuto di Londra di genuflettersi al Quarto Reich, costi quello che costi.La Nato oggi è insignificante e nel prossimo futuro lo sarà ancor meno. La condotta inequivocabile della Turchia lo certifica. Quanto a Parigi e Berlino, solo gli sciocchi non s'avvedono che il loro gioco egemonico in Europa è tanto protervo verso Roma quanto servile verso Pechino.L'Italia è in mezzo. La sua posizione è resa più importante dal canale di Suez che ha raddoppiato la sua capacità di transito. Un'eventuale rinascita italiana dei traffici portuali e ferroviari (scongiurata tenacemente fino alla gestione di Mauro Moretti) restituirebbe alla marginalità i porti a 3.000 miglia da Suez: Amburgo, Rotterdam e Anversa, guarda caso dove hanno i santuari le 'ndrine che tengono sotto scacco Gioia Tauro e vanno spandendosi nel cuore economico italiano, Milano. Finché ci terranno vincolati a una crescita dell'1% e meno - come i Paesi dell'area del franco africano - ci potranno tenere sotto scacco.Appare quindi alquanto improbabile che la crisi di governo, aperta da Matteo Salvini, possa risolversi per mano di statisti del peso di Luigi Di Maio, Matteo Renzi e di Nicola «Montalbano» Zingaretti.Più d'un elemento lascia pensare che vi sia un canale privilegiato fra Salvini e Washington, probabilmente ignoto anche ai suoi collaboratori più stretti, come accade sovente in questi frangenti. Salvini è stato avventato ad aprire la crisi? Chi lo afferma forse dimentica quanto pesino a Washington la spinta di Davide Casaleggio e Beppe Grillo sulla via della Seta, verso la Cina, e il collaborazionismo di Di Maio per l'elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue.Salvini è con Washington? Certo, anche se non lo è la Lega nel suo intero. M5s e Pd sono figli della stessa madre, ignota ma non del tutto, la Cina, ma di padri differenti. La Francia è sul Pd come la Germania sul M5s.La soluzione della crisi italiana si giocherà quindi tra Washington e Pechino, dove sono i perni di manovra dei veri rapporti di forza. L'Italia è nelle mani di Dio; speriamo che non applauda.www.pierolaporta.it
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)