2024-04-30
«Vota Giorgia» e la sinistra va al manicomio
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
La mossa della Meloni di puntare sul nome manda in tilt l’opposizione. Partiti e media avversari urlano al «populismo argentino» e alla «personalizzazione indebita». Elly Schlein: «Inquietante». Eppure lo fa pure lei e anche Ursula Von der Leyen. Il Viminale: «È valido».Basta il nome. È sufficiente che lei pronunci «Giorgia» per scatenare frane, smottamenti e blackout a sinistra. E per concretizzare reazioni indignate di un’opposizione sotto ossessione ipnotica, prigioniera di scontati riflessi pavloviani nei confronti del premier. Così anche l’indicazione agli elettori di Fratelli d’Italia di scrivere solo il nome di battesimo accanto al simbolo con Meloni nel logo, riesce a destabilizzare il campo larghissimo socialista nella camminata di salute verso le elezioni europee. «Prove tecniche di premierato», «personalizzazione indebita», «populismo all’argentina» (aleggerebbe il fantasma di Evita Peron). Politici e giornalisti di area progressista si rincorrono a chi la spara più grossa. Lei fischietta Georgia on my mind e loro impazziscono per l’assonanza, entrano in modalità allarme democratico. Forse irritati dal fatto che Meloni è riuscita dove Elly Schlein ha fallito: sdoganare il nome nel simbolo. La Repubblica azzarda che trattasi di «comunione laica», quindi meriterebbe un anatema, un esorcismo stile Amorth. Invece è semplicemente la scelta di una leader politica cresciuta nell’era di Silvio Berlusconi, convinta di costituire personalmente un valore aggiunto per chi entrerà nelle urne con idee di centrodestra (senza contare che il manuale di istruzioni per il voto del Viminale conferma che la pratica è corretta). Con la consueta ipocrisia gauchiste, nessuno ha da ridire su Ursula von der Leyen, che ha lanciato la sua campagna varando un sito dal nome «Ursula 2024». La personalizzazione è da sempre una strategia elettorale come le altre, senza contare che Giorgia, più che un nome, oggi è un brand. L’autobiografia si intitola Io sono Giorgia. Lo slogan preferito è: «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana». A Pescara ha spiegato il motivo con la consueta concretezza, andando a toccare le corde sensibili dell’elettore medio: «Sono stata derisa per le mie radici popolari, mi hanno chiamata pesciarola, borgatara. Perché loro sono colti, eh... Ma io sono fiera di essere una persona del popolo. Se volete dirmi che ancora credete in me scrivete sulla scheda Giorgia, perché io sono e sarò sempre una di voi».La decisione ha infastidito non poco Elena Ethel Schlein, che a sua volta ha fatto sapere agli elettori piddini che potranno scrivere serenamente Elly sulla scheda, ma non ha potuto andare una vocale più in là dopo la rivolta dei colonnelli del partito (soprattutto Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Luca Lotti). E dopo che il totem, o semaforo, Romano Prodi aveva bocciato l’idea con una frase scolpita nella mortadella: «Candidarsi con il nome dove tu sai che non andrai svilisce la democrazia». La segretaria ci teneva, ma alla fine ha ingoiato il rospo: «Non chiederò di votare Elly. Non posso strappare. Io Prodi lo ascolto, per me è un riferimento. Non siamo sempre d’accordo, ma penso sia meglio essere francamente non d’accordo piuttosto che fingere e poi pugnalare alle spalle, come spesso nel partito è stato fatto». Poi con un calo di voce che denota una certa impotenza: «Ascolto tutti e devo assumermi la responsabilità di fare sintesi. Siamo l’unico partito che discute per davvero, anche troppo. Non c’è una capa sola che decide per tutti». Vorrebbe aggiungere: purtroppo, ma si trattiene. Al culmine della conversione a U, Schlein critica la scelta di Meloni: «Si divide tra Palazzo Chigi e la propaganda di TeleMeloni, ha perso il contatto con la realtà. Il suo programma si limita al nome, non c’è un’idea. Noi non siamo schiacciati su un nome».L’ossessione è curiosa, anche perché nel 2016 alle municipali di Roma c’era una lista «Con Giorgia Meloni sindaco». In passato nessuno aveva intrapreso battaglie di retroguardia sul tema. In fondo, come diceva Umberto Eco, «Nomina nuda tenemus». È ancora più curioso che la critica arrivi da Matteo Renzi, un politico che personalizzerebbe anche i calzini da jogging. Eppure finge indignazione: «Lei chiede di essere votata per l’Europa ma sa che non andrà all’Europarlamento. A lei non interessa contare in Europa: le serve contarsi in Italia. Non è una statista, è una influencer».Non poteva mancare Giuseppe Conte con i suoi equilibrismi contabili da pallottoliere: «Il suo slogan è “Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa”. Per una volta ha ragione. Le abbiamo lasciato un’Italia che riportava a casa 209 miliardi del Pnrr. Nemmeno il tempo di arrivare a Bruxelles da premier, ha dato l’ok a un accordo con tagli da 13 miliardi l’anno che colpiranno le tasche degli italiani. Da patriota a Re Mida al contrario». Detto da chi ha gettato un centinaio di miliardi con Superbonus e Reddito di cittadinanza è consolante. Meloni si tiene stretta il nome e lascia la replica al suo capogruppo alla Camera, Tommaso Foti: «Il duo sciagura dell’opposizione, Schlein- Conte, sente avvicinarsi un’altra sconfitta e anziché chiedersi perché gli elettori guardano al centrodestra, attaccano la Meloni». Da Carlo Calenda stavolta nessuna critica preventiva. Il motivo è molto semplice: intende imitare Giorgia.
Jose Mourinho (Getty Images)