2020-03-01
Voli, siamo sulla lista nera degli Stati Uniti
Akos Stiller, Bloomberg via Getty Images
L'America alza il livello di pericolosità a 4 per alcune regioni del nostro paese. E le partenze saranno sottoposte a un controllo. Da Israele alla Giordania per noi si chiudono le frontiere. Il paradosso è la Cina che impone l'autoquarantena a chi arriva dall'Italia.Mentre in Italia si cerca di fronteggiare l'emergenza coronavirus districandosi tra direttive vaghe e contrastanti, passando dal lassismo all'isteria e dalla psicosi agli inviti alla calma, gli altri Paesi sembrano avere le idee più chiare, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. E a guardare le cifre dell'epidemia sul mappamondo, è chiaro il perché: l'Italia è terza al mondo per numero di contagi (1.049, oltre alle 29 vittime e le 50 guarigioni), dietro alla Corea del Sud (3.150 persone colpite dal virus, con 17 vittime e 72 guariti) e la Cina, dove ufficialmente la diffusione del virus sta rallentando, che ha registrato finora oltre 79.000 infettati e più di 2.700 vittime. Tutti gli Stati esteri stanno prendendo le misure necessarie per evitare un contagio simile anche nel loro territorio, a scapito soprattutto dei cittadini italiani e della libera circolazione. Primi tra tutti gli Stati Uniti che ieri hanno alzato l'allerta nei confronti dell'Italia al livello 4 per alcune aree del nostro paese. E anche le partenze saranno sottoposte a screening. Tradotto: il livello 4, quello di allerta massima, contrassegnato dal colore rosso, come finora era in vigore solo verso la Cina e che ora gli Usa prevedono anche per noi. Pur riconoscendo la criticità della situazione della Penisola, finora non si era ancora arrivati a questo punto ma la United Airlines stava comunque offrendo ai propri clienti l'eventuale riprogrammazione e modifica dei biglietti acquistati per raggiungere Torino, Venezia, Milano, Trieste, Genova, Bologna e Verona.Ma c'è anche chi sbarra le porte a chiunque provenga dall'Italia, nostri connazionali e non. Israele ha chiuso le proprie frontiere dal 27 febbraio, così come Giordania, Iraq, Turkmenistan, Capo Verde, Giamaica, Arabia Saudita, Bahrein, Madagascar, El Salvador, le isole Seychelles, le Mauritius, il Kuwait le isole del Pacifico di Tuvalu, le isole Cook. Ma senza andare dall'altra parte del mondo, anche i Paesi più vicini a noi non ci risparmiano disposizioni pesanti. La Gran Bretagna impone un'auto quarantena a chi viene dalle zone rosse della Lombardia e del Veneto anche in assenza di sintomi e la British Airways ha cancellato 22 voli per Milano tra il 26 febbraio e l'11 marzo a causa delle scarse prenotazioni. Simile la sorte per chi deve entrare in Romania, Malta, Eritrea (nel Paese africano la quarantena va passata in ospedale), Montenegro, Panama, Macao. Oltre ai disagi per i semplici cittadini costretti a rivedere i propri spostamenti o a dover passare chiusi in casa due settimane, a risentirne è soprattutto il settore turistico. Oltre alla compagnia britannica, dovrà fare i conti con un'importante perdita di introiti anche la compagnia area Wizzair, che ha annunciato una vasta riprogrammazione dei voli su alcune rotte verso il Nord Italia tra l'11 marzo e il 2 aprile. I tour operator russi, inoltre, non vendono più pacchetti viaggio per l'Italia, oltre che per la Corea del Sud e l'Iran. Ma il paradosso più grande arriva proprio dalla Cina, dove tutto ha avuto origine. Pechino, decisa a non far invertire la tendenza del rallentamento delle infezioni sul proprio territorio, ha da giorni rafforzato le misure per evitare i «contagi di ritorno». Da mercoledì scorso, come ha spiegato il portavoce della commissione sanitaria di Pechino, Gao Xiaojun, chi arriva «da aree con gravi situazioni epidemiche deve accettare di stare a casa o nei punti di osservazione medica per un periodo di 14 giorni».Gli italiani, anche se residenti in Cina, sono quindi sorvegliati speciali, come racconta il giornalista Gabriele Battaglia, a Pechino da nove anni, tornato nella capitale cinese mercoledì scorso da Milano, passando per Francoforte, senza intoppi, ma accolto, davanti al palazzo in cui abita, da un checkpoint che gli ha misurato la febbre. Dopo aver ricevuto una telefonata con cui una donna gli ha notificato il divieto di uscire di casa fino al 12 marzo, un funzionario gli ha fatto firmare un consenso per la quarantena domestica: «Mi hanno affisso sulla porta di casa un cartello con scritto “Cari vicini sono arrivato il 26 febbraio e per la salute di tutti mi chiudo in casa fino al 12 marzo. Solo tutti uniti si può vincere il virus!". Adesso, per due volte al giorno, devo comunicare la mia temperatura corporea via WeChat».E come lui gli altri connazionali, in isolamento in Cina, focolaio dell'epidemia, perché provenienti da un'area considerata a rischio: l'Italia.