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2022-01-26
Vogliono la gogna anche alle elementari
Ansa
Per la scuola sono in arrivo nuove regole. Solo che, invece di snellire la burocrazia e il rischio Dad per tutti, si continua con le discriminazioni anche per i più piccoli. Il ministero dell’Istruzione e quello della Salute stanno lavorando in seguito alle numerose pressioni arrivate dalle Regioni per snellire la burocrazia nelle scuole.
In questi giorni chi vive nella realtà sa che nelle scuole si sta verificando qualunque cosa. Bambini appena guariti sono costretti a sottoporsi al testing t0 - t5, altri completamente sani si ritrovano a casa perché le classi alla primaria chiudono con due casi. Gli insegnanti devono spiegare la lezione contemporaneamente agli alunni presenti in classe e ai ragazzi rimasti a casa in isolamento tramite video con conseguente caos organizzativo e tecnologico. I genitori degli alunni isolati sono allo stremo, non si riesce a lavorare e i ragazzi ogni giorno non sanno cosa accadrà all’indomani.
Le regole attuali non garantiscono in nessun modo che la scuola prosegua con continuità, ma le vie di semplificazione proposte sembrano andare verso la replicazione del modello delle superiori. Nella scuola secondaria, infatti, si prevede che con due contagiati la classe si divida in vaccinati e guariti a scuola e non vaccinati a casa. L’idea è quella di riproporre lo schema anche per le elementari, dove però il numero di vaccinati è molto più basso rispetto alle percentuali degli over 12.
Sono le Regioni a chiederlo. Il presidente della Toscana, Eugenio Giani, chiede che restino a casa solo i positivi e i non vaccinati, per chi ha completato il ciclo vaccinale invece niente Dad.
L’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, è dello stesso avviso. «È giunto il momento di semplificare la vita a coloro che hanno completato le vaccinazioni».
Verosimilmente, quindi, anche alla scuola primaria ci sarà la distinzione tra alunni vaccinati e non vaccinati. Si tratterebbe della prima modifica al sistema delle quarantene in ambito scolastico e deriverebbe dal risultato delle ultime riunioni tra i tecnici del ministero della Salute e dell’Istruzione.
Sono troppi i bambini sani a casa, peccato che però si perda l’occasione, ancora una volta, di eliminarla del tutto, questa didattica a distanza. Non si coglie infatti quello che risulta essere il problema più grande della scuola in questo momento. Gli alunni in Ddi (didattica digitale integrata) spesso non riescono a prendere il segnale con i docenti perché gli istituti non hanno la copertura sufficiente per svolgere contemporaneamente un numero così alto di connessioni. Non sono casi isolati, tanto che già l’Associazione nazionale presidi di Roma e del Lazio aveva denunciato questa criticità. «Visto l’elevato numero di classi in Dad/Ddi: in diverse scuole si presenta la necessità di aumento della portata della rete Internet».
Si chiede la semplificazione ma non si tiene conto che mantenendo la discriminazione, con queste difficoltà di connessione, chi non ha ricevuto il vaccino o non sia guarito, si ritroverà ad avere grosse difficoltà con la didattica. Per altro è bene sapere che a fronte di 5 ore di scuola al giorno nella scuola primaria (8 per chi fa tempo pieno) le ore di Ddi sono una o due. Quindi appare chiaro che chi seguirà le lezioni in video rimarrà fortemente svantaggiato rispetto ai compagni che invece avranno la possibilità di accedere a scuola. I problemi sono oggettivi, ma l’approccio con cui si affrontano le soluzioni non vanno verso l’inclusività.
Il premier Mario Draghi ha spesso parlato dell’importanza di non lasciare indietro nessuno nella scuola perché l’istruzione deve poter essere un ascensore sociale per tutti gli studenti, a prescindere dalla propria estrazione di origine. Belle parole che però non si sono trasformate in fatti. Se queste nuove regole potranno far tirare un sospiro di sollievo ad alcuni, ad altri non consentiranno di vivere sereni, anzi. La polarizzazione e l’esclusione dei non vaccinati arriverà anche fra i più piccoli e chi per qualsiasi motivo ha deciso di non vaccinare i propri figli dovrà inevitabilmente far loro subire lo svantaggio didattico derivante dalle lezioni a distanza. Il vaccino alla fine diventa un ricatto sociale anche per i più piccini e soprattutto aumenterà il divario che già esiste nei livelli di apprendimento tra classi sociali. Il numero degli abbandoni scolastici rimane altissimo: l’Italia è il quarto Paese in Europa per abbandoni. In Italia nel 2020 si registrava una percentuale di abbandoni pari al 13,1%.
In ogni modo le Regioni e le associazioni non chiedono solo questo ma anche che si possa rientrare dalla Dad senza necessità di sottoporsi al tampone.
Inoltre, si spinge affinché la quarantena per i vaccinati possa scendere dai 10 ai 7 giorni. Queste regole potrebbero essere applicate per tutti, senza distinzioni, ma ancora una volta si ricorre alle divisioni, che per i bambini piccoli rischiano di divenire ancora più odiose.
La conversione dei governatori: «Basta con il sistema dei colori»
I governatori, che solo un mese fa studiavano i lockdown differenziati e il rinvio della ripresa della scuola a gennaio, hanno finalmente fatto fronte comune per «superare definitivamente il sistema a colori delle zone di rischio» e riservare la sorveglianza sanitaria ai positivi al Covid «sintomatici». Sono i capisaldi della lettera che sarà inviata al governo «e che sarà una piattaforma imprescindibile per il futuro confronto fra l’esecutivo e le Regioni», si legge in una nota diffusa ieri. I presidenti delle regioni vogliono «guardare al futuro e procedere rapidamente verso una normalizzazione della situazione che consenta una ripresa più ordinata e il rilancio del nostro Paese», come ha dichiarato Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni. La semplificazione è richiesta anche per la sorveglianza nelle scuole, aperte, ma nel caos, data la complessità delle stringenti regole che possono chiudere intere classi con pochi positivi, addirittura con uno solo, alla scuola materna. «Sotto questo profilo», continua la nota, «per non interrompere continuamente l’attività didattica in presenza è opportuno tenere in isolamento solo gli studenti positivi sintomatici». In pratica, le Regioni chiedono che non ci sia didattica a distanza (Dad) per gli alunni delle elementari vaccinati o guariti da meno di 120 giorni: devono poter restare in classe anche con due casi positivi. Più controversa la richiesta di non mandare in Dad gli studenti vaccinati, che determinerebbe l’estensione alle elementari delle discriminazioni già in corso alle superiori. Avanzata anche la richiesta di non effettuare più tampone per tornare a scuola finito il periodo di quarantena, anche per ridurre il tempo previsto per i vaccinati da 10 a 7 giorni.
Sull’altro fronte caldo della politica regionale, quello ospedaliero, unico riferimento chiaro per definire l’andamento della pandemia, i governatori chiedono di «rivedere la classificazione dei ricoveri Covid evitando di includere i pazienti positivi ricoverati per altre patologie».
Sembra che la variante Omicron sia riuscita nell’impresa, impensabile, fino a qualche settimana fa, di mettere d’accordo tutte le Regioni a mollare la presa, convincendo anche il chiusurista campano del Pd Vincenzo De Luca che già venerdì dichiarava: «L’Italia è un manicomio di colori e quarantene. A Roma non sono in grado di fare nulla». La cosa interessante è che, meno di un mese fa, il leghista Luca Zaia si è trovato a fare quasi da sponda proprio a De Luca. In tempo di festività natalizie, il governatore veneto aveva ventilato la possibilità di far «slittare la data di rientro a scuola» dopo il 10 gennaio, mentre, in modo decisamente più colorito, De Luca osservava: «La Dad? Ha permesso di evitare danni sanitari pesanti e anche adesso chiudere le scuole sarebbe la scelta più utile per la salute e la formazione». Del resto, quando il suo Veneto era a un passo dall’arancione, Zaia ipotizzava, a malincuore, forti limitazioni ai no vax. Nello stesso periodo in Liguria, l’ex forzista, ora di Cambiamo!, Giovanni Toti, sul lockdown solo per i non vaccinati, si era espresso ammettendo che non gli avrebbe fatto «scandalo, anche a tutela degli stessi non vaccinati». Ora, davanti all’evidenza dei dati epidemiologici in cui all’impennata dei casi non è seguita la pressione sugli ospedali che ci si sarebbe attesa, tutti i governatori, dal lombardo Attilio Fontana, a Zaia, da Toti a Fedriga, ma anche il toscano Eugenio Giani e Nello Musumeci di Regione Sicilia, hanno fatto fronte comune per azzerare un sistema, quello dei colori in base a contagi e ricoveri, ormai «obsoleto» e «superato». Perfino De Luca non ha intenzione di prevedere nuove restrizioni. Le Regioni, in modo compatto e trasversale chiedono al governo una «semplificazione». Il governo non avrebbe più scuse per allentare la presa.
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Anziché semplificare le regole che bloccano le scuole, il governo starebbe pensando di estendere pure alle primarie le norme discriminatorie già in vigore alle superiori: con due contagiati restano in classe solo i vaccinati (che fra i piccoli sono molti di meno).I presidenti di Regione, sin qui fortemente chiusuristi, chiedono di allentare la morsa.Lo speciale contiene due articoli.Per la scuola sono in arrivo nuove regole. Solo che, invece di snellire la burocrazia e il rischio Dad per tutti, si continua con le discriminazioni anche per i più piccoli. Il ministero dell’Istruzione e quello della Salute stanno lavorando in seguito alle numerose pressioni arrivate dalle Regioni per snellire la burocrazia nelle scuole. In questi giorni chi vive nella realtà sa che nelle scuole si sta verificando qualunque cosa. Bambini appena guariti sono costretti a sottoporsi al testing t0 - t5, altri completamente sani si ritrovano a casa perché le classi alla primaria chiudono con due casi. Gli insegnanti devono spiegare la lezione contemporaneamente agli alunni presenti in classe e ai ragazzi rimasti a casa in isolamento tramite video con conseguente caos organizzativo e tecnologico. I genitori degli alunni isolati sono allo stremo, non si riesce a lavorare e i ragazzi ogni giorno non sanno cosa accadrà all’indomani. Le regole attuali non garantiscono in nessun modo che la scuola prosegua con continuità, ma le vie di semplificazione proposte sembrano andare verso la replicazione del modello delle superiori. Nella scuola secondaria, infatti, si prevede che con due contagiati la classe si divida in vaccinati e guariti a scuola e non vaccinati a casa. L’idea è quella di riproporre lo schema anche per le elementari, dove però il numero di vaccinati è molto più basso rispetto alle percentuali degli over 12.Sono le Regioni a chiederlo. Il presidente della Toscana, Eugenio Giani, chiede che restino a casa solo i positivi e i non vaccinati, per chi ha completato il ciclo vaccinale invece niente Dad. L’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, è dello stesso avviso. «È giunto il momento di semplificare la vita a coloro che hanno completato le vaccinazioni».Verosimilmente, quindi, anche alla scuola primaria ci sarà la distinzione tra alunni vaccinati e non vaccinati. Si tratterebbe della prima modifica al sistema delle quarantene in ambito scolastico e deriverebbe dal risultato delle ultime riunioni tra i tecnici del ministero della Salute e dell’Istruzione.Sono troppi i bambini sani a casa, peccato che però si perda l’occasione, ancora una volta, di eliminarla del tutto, questa didattica a distanza. Non si coglie infatti quello che risulta essere il problema più grande della scuola in questo momento. Gli alunni in Ddi (didattica digitale integrata) spesso non riescono a prendere il segnale con i docenti perché gli istituti non hanno la copertura sufficiente per svolgere contemporaneamente un numero così alto di connessioni. Non sono casi isolati, tanto che già l’Associazione nazionale presidi di Roma e del Lazio aveva denunciato questa criticità. «Visto l’elevato numero di classi in Dad/Ddi: in diverse scuole si presenta la necessità di aumento della portata della rete Internet». Si chiede la semplificazione ma non si tiene conto che mantenendo la discriminazione, con queste difficoltà di connessione, chi non ha ricevuto il vaccino o non sia guarito, si ritroverà ad avere grosse difficoltà con la didattica. Per altro è bene sapere che a fronte di 5 ore di scuola al giorno nella scuola primaria (8 per chi fa tempo pieno) le ore di Ddi sono una o due. Quindi appare chiaro che chi seguirà le lezioni in video rimarrà fortemente svantaggiato rispetto ai compagni che invece avranno la possibilità di accedere a scuola. I problemi sono oggettivi, ma l’approccio con cui si affrontano le soluzioni non vanno verso l’inclusività. Il premier Mario Draghi ha spesso parlato dell’importanza di non lasciare indietro nessuno nella scuola perché l’istruzione deve poter essere un ascensore sociale per tutti gli studenti, a prescindere dalla propria estrazione di origine. Belle parole che però non si sono trasformate in fatti. Se queste nuove regole potranno far tirare un sospiro di sollievo ad alcuni, ad altri non consentiranno di vivere sereni, anzi. La polarizzazione e l’esclusione dei non vaccinati arriverà anche fra i più piccoli e chi per qualsiasi motivo ha deciso di non vaccinare i propri figli dovrà inevitabilmente far loro subire lo svantaggio didattico derivante dalle lezioni a distanza. Il vaccino alla fine diventa un ricatto sociale anche per i più piccini e soprattutto aumenterà il divario che già esiste nei livelli di apprendimento tra classi sociali. Il numero degli abbandoni scolastici rimane altissimo: l’Italia è il quarto Paese in Europa per abbandoni. In Italia nel 2020 si registrava una percentuale di abbandoni pari al 13,1%. In ogni modo le Regioni e le associazioni non chiedono solo questo ma anche che si possa rientrare dalla Dad senza necessità di sottoporsi al tampone. Inoltre, si spinge affinché la quarantena per i vaccinati possa scendere dai 10 ai 7 giorni. 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Sono i capisaldi della lettera che sarà inviata al governo «e che sarà una piattaforma imprescindibile per il futuro confronto fra l’esecutivo e le Regioni», si legge in una nota diffusa ieri. I presidenti delle regioni vogliono «guardare al futuro e procedere rapidamente verso una normalizzazione della situazione che consenta una ripresa più ordinata e il rilancio del nostro Paese», come ha dichiarato Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni. La semplificazione è richiesta anche per la sorveglianza nelle scuole, aperte, ma nel caos, data la complessità delle stringenti regole che possono chiudere intere classi con pochi positivi, addirittura con uno solo, alla scuola materna. «Sotto questo profilo», continua la nota, «per non interrompere continuamente l’attività didattica in presenza è opportuno tenere in isolamento solo gli studenti positivi sintomatici». In pratica, le Regioni chiedono che non ci sia didattica a distanza (Dad) per gli alunni delle elementari vaccinati o guariti da meno di 120 giorni: devono poter restare in classe anche con due casi positivi. Più controversa la richiesta di non mandare in Dad gli studenti vaccinati, che determinerebbe l’estensione alle elementari delle discriminazioni già in corso alle superiori. Avanzata anche la richiesta di non effettuare più tampone per tornare a scuola finito il periodo di quarantena, anche per ridurre il tempo previsto per i vaccinati da 10 a 7 giorni. Sull’altro fronte caldo della politica regionale, quello ospedaliero, unico riferimento chiaro per definire l’andamento della pandemia, i governatori chiedono di «rivedere la classificazione dei ricoveri Covid evitando di includere i pazienti positivi ricoverati per altre patologie». Sembra che la variante Omicron sia riuscita nell’impresa, impensabile, fino a qualche settimana fa, di mettere d’accordo tutte le Regioni a mollare la presa, convincendo anche il chiusurista campano del Pd Vincenzo De Luca che già venerdì dichiarava: «L’Italia è un manicomio di colori e quarantene. A Roma non sono in grado di fare nulla». La cosa interessante è che, meno di un mese fa, il leghista Luca Zaia si è trovato a fare quasi da sponda proprio a De Luca. In tempo di festività natalizie, il governatore veneto aveva ventilato la possibilità di far «slittare la data di rientro a scuola» dopo il 10 gennaio, mentre, in modo decisamente più colorito, De Luca osservava: «La Dad? Ha permesso di evitare danni sanitari pesanti e anche adesso chiudere le scuole sarebbe la scelta più utile per la salute e la formazione». Del resto, quando il suo Veneto era a un passo dall’arancione, Zaia ipotizzava, a malincuore, forti limitazioni ai no vax. Nello stesso periodo in Liguria, l’ex forzista, ora di Cambiamo!, Giovanni Toti, sul lockdown solo per i non vaccinati, si era espresso ammettendo che non gli avrebbe fatto «scandalo, anche a tutela degli stessi non vaccinati». Ora, davanti all’evidenza dei dati epidemiologici in cui all’impennata dei casi non è seguita la pressione sugli ospedali che ci si sarebbe attesa, tutti i governatori, dal lombardo Attilio Fontana, a Zaia, da Toti a Fedriga, ma anche il toscano Eugenio Giani e Nello Musumeci di Regione Sicilia, hanno fatto fronte comune per azzerare un sistema, quello dei colori in base a contagi e ricoveri, ormai «obsoleto» e «superato». Perfino De Luca non ha intenzione di prevedere nuove restrizioni. Le Regioni, in modo compatto e trasversale chiedono al governo una «semplificazione». Il governo non avrebbe più scuse per allentare la presa.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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