2023-11-09
Vittorio Vaccaro: «Insegno agli italo-americani il cibo italiano»
Vittoio Vaccaro (Food affairs)
Lo chef: «Ormai i nostri connazionali emigrati oltreoceano hanno dimenticato i sapori genuini della cucina mediterranea Distorcono le tradizioni alimentari del Belpaese con piatti ibridi, come pasta e cognac. Io li ho riportati indietro nel tempo»Il cibo abbatte le frontiere e mette in relazione le persone, anche tra un continente e l’altro. Alle recenti celebrazioni del Columbus Day in America era presente anche un cuoco italiano con un passato (e forse un futuro) da attore, Vittorio Vaccaro, da alcuni anni protagonista di fortunate trasmissioni culinarie. Con la passione che lo contraddistingue ci ha raccontato questa felice esperienza.Com’è nata la sua partecipazione al Columbus Day?«Ho ricevuto l’invito da una delle organizzatrici, Francesca Parvizyar, per portare un mio piatto che rappresentasse l’italianità. Ho pensato a un uovo per la sua forma e perché è un cibo povero, che ricorda antichi sapori, un po’ rivisitato. Lo hanno ribattezzato «L’uovo di Vittorio», un nome che farò mio».Per lei è stato anche l’uovo di Colombo!«Esatto! Aveva come base una vellutata di patate e porro, su cui era posizionato l’uovo condito con un filo d’olio e dell’erba cipollina, mentre ho rinunciato al tocco finale del caviale proprio per mantenere lo spirito di questa proposta culinaria».Qual era il suo obiettivo?«Riportare indietro nel tempo i nostri connazionali che mangiano ormai americano, hanno dimenticato i nostri sapori, il loro palato è come distorto. Ho cucinato anche un secondo piatto, improvvisando, ma sempre cercando di ritornare alle nostre origini. Il cuoco messicano, che doveva cucinare la carne, è arrivato e mi ha detto: "Oggi faccio una pasta al cognac. Un piatto italiano…". L’ho guardato inorridito e ho preso il comando della situazione. Ho preparate pasta e patate, un piatto che mi cucinava mia nonna. Li ho fatti tornare indietro di 50 anni!».Abituati a mangiare sandwich e hambuger…«Nel discorso che ho fatto alla fine della cena ho detto: "Va benissimo che voi insegniate ai vostri figli e nipoti l’italiano, è una cosa che vi dà merito, ma dovete anche insegnare a mangiare prodotti italiani. Dovete fare lo sforzo di portare a tavola la nostra cultura". Nelle loro tavole creano un ibrido tra prodotti americani e prodotti italiani, una specie di terza cucina».Come hanno reagito i commensali ai suoi piatti?«Erano entusiasti, gli è piaciuto il racconto di un’Italia ancora genuina, fondata sulla tradizione. Per me il messaggio della cucina è quello della convivialità, del dono, delle emozioni suscitate da cibi che hanno dietro una cultura».Si era portato dall’Italia le materie prime?«No. La difficoltà stata proprio lì. Sui formaggi non c’era nessun bollino, nessuna provenienza. Per questo ho scelto dei piatti semplici con prodotti che potevano essere reperiti. Avrei voluto cucinare un risotto, ma non hanno trovato il riso carnaroli e quello a disposizione non mi convinceva. C’erano le patate e quale migliore gemellaggio per il Columbus Day, visto che le abbiamo importate dalle Americhe?».Dietro quella pasta e patate c’è un mondo contadino…«Le patate hanno sfamato in tempo di guerra intere popolazioni. Dalle mie parti, in Sicilia, i contadini cucinavano le patate lesse nella passata di pomodoro. Ero il loro spezzatino perché la carne, a parte la gallina, era troppo costosa».Dove si è svolta la cena?«In una grande sala di un ristorante, tutto allestito, con il palco, i tavoli rotondi, i coprisedia italiano. La prima cosa che ho detto è: "Siamo dentro un set?". Sembrava di stare in un film. Ho cucinato per novanta persone, tra esponenti della comunità italo-americana e rappresentati del mondo politico e culturale provenienti dall’Italia».Gli italo-americani che ha incontrato parlano ancora italiano?«La generazione dei figli sì. Quindi trenta-quarantenni, laureati, con una buona posizione, che parlano benissimo l’italiano, ovviamente con la cadenza americana. Ogni tanto salta fuori qualche termine dialettale. Quando siamo arrivati all’aeroporto di Chicago, gli organizzatori locali sono venuti a prenderci. Parlavamo americano tra loro, poi a un certo punto uno ha detto: "Amunimme!". Ho pensato: "Non sono arrivato a Chicago, sono arrivato a Palermo!"».La sua cucina è basata sulla ricerca di prodotti locali.«Fare una ricerca mirata sul territorio è la mia passione: mi piace andare dai piccoli produttori per scovare delle primizie. Un progetto al quale tengo molto in questa fase della mia vita è la valorizzazione del prodotto di eccellenza italiano. Mi piacerebbe creare una linea di prodotti estremamente ricercati». È la filosofia del suo programma Green Table su Food Neetwork, canale del gruppo Discovery.«Sì, lì presentavo i prodotti a chilometro zero di piccoli produttori locali, con i quali ho stretto rapporti umani, oltre che professionali. Un viaggio tra cascine e piccole aziende. Una sorta di Linea Verde culinaria».Quest’estate, sempre su Food Network, è andata in onda la seconda stagione di A casa cucina papà.«È stato un successo. Sono molto contento e spero nel 2024 di fare una terza stagione. Racconta la vita di quarantenne come me, che non è un mammo, ma mi definisco un papà creativo, che, come tanti papà, va a fare la spesa tranquillamente da solo, sceglie il prodotto, lo porta a casa, lo cucina la sera per tutti e attraverso il cibo riesce a regalare amore alla famiglia. Nel contesto di una famiglia allargata, dove ci sediamo a tavola con mia figlia, con i figli della mia compagna, Luna Berlusconi, con i nonni delle figlie di Luna, con i nonni di mia figlia. Un papà giovane, veloce, moderno, che fa da collante in questa grande famiglia. Attraverso il food perché a me piace molto la domenica sedersi a tavola con tutta la famiglia».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.