2024-02-03
Il monarca senza trono che fu incoronato come re degli scandali
Vittorio Emanuele di Savoia con il figlio Emanuele Filiberto (Ansa)
Il rampollo sabaudo sarà ricordato per i sui processi (uno con l’accusa di omicidio) e una proverbiale tirchieria. Confessò pure la passione per le prostitute: «Pago e stop».La morte di Vittorio Emanuele di Savoia, erede dell’ultimo re d’Italia, riaccende i riflettori sulla sua vita fatta di luci ma anche soprattutto di tante ombre: l’esilio a Ginevra, le rivendicazioni dinastiche, il ritorno in Italia e l’accettazione della fine della monarchia, gli scandali e i processi giudiziari. Il contrappasso di una vita scoppiettante è l’austero commiato: «Alle ore 7.05 di questa mattina, 3 febbraio 2024, Sua altezza reale Vittorio Emanuele, duca di Savoia e principe di Napoli, circondato dalla Sua famiglia, si è serenamente spento in Ginevra». I funerali si terranno il prossimo 10 febbraio nella basilica di Superga, tradizionale luogo di sepoltura della Real Casa. Vittorio Emanuele aveva quasi 87 anni. Due protesi al femore lo avevano costretto sulla sedia a rotelle. Poi, l’ultimo ricovero. È stato l’ultimo erede al trono: figlio di Umberto II e di Maria José. Matrimonio con la borghese Marina Doria, campionessa di sci d’acqua. Un figliolo, Emanuele Filiberto, diviso tra talent e reality show. E una vita da esule tra Svizzera, Francia e Corsica. Fino al 2002, quando viene abolita la norma costituzionale che obbliga gli eredi maschi di Casa Savoia a tenersi alla larga dai confini patrii. Assieme al trionfale ritorno del mancato sovrano, arriva così la sua richiesta di risarcimento allo Stato italiano: 260 milioni per i beni confiscati. Nel 2022 rilancia con la restituzione dei gioielli di famiglia, custoditi nella Banca d’Italia.Doveva essere il re d’Italia. Vittorio Emanuele sarà ricordato, soprattutto, come altisonante protagonista di feuilleton giudiziari. Negli anni Settanta viene indagato per traffico internazionale di armi. L’indagine finisce con un’archiviazione. Segue il fattaccio all’isola di Cavallo, acque francesi tra Sardegna e Corsica, meta dei vipponi dell’epoca. È il 18 agosto del 1978. Vittorio Emanuele e la moglie Marina sono in vacanza a villa Savoia. Incrociano un gruppo capitanato dal playboy Nicky Pende, figlio di uno dei medici più noti di Roma ed ex marito di Stefania Sandrelli. Les italiens rubano il gommone al principe. Lui, irritato, si para davanti alla barca dei ragazzi. Partono due colpi dalla sua carabina. Viene colpito un giovanotto tedesco: Dirk Hamer, nemmeno 20 anni. Morirà dopo atroci sofferenze. Scatta l’inevitabile arresto per omicidio. L’agguerrita difesa eccepisce: non è stato il mancato re a colpire Dirk. Qualcun altro avrebbe sparato, durante la colluttazione tra lui e Pende. Vicenda oscura. Qualche anno più tardi, a dicembre 1991, Vittorio Emanuele viene assolto: niente omicidio volontario, solo una lieve condanna a sei mesi per porto abusivo di arma da fuoco. Il giallo di Cavallo riemerge quasi 20 anni dopo. A giugno 2006 il principe viene arrestato sul lago di Como, per una delle roboanti inchieste del pm Potenza, Henry John Woodcock. Assieme a un’altra dozzina di indagati è accusato di un presunto giro di tangenti. Avrebbero tramato per ottenere dai Monopoli di Stato l’installazione di macchinette mangiasoldi. Che, a loro volta, sarebbero servite per riciclare danari illeciti grazie a intrallazzi con il casinò di Campione d’Italia. Deflagra l’assonante «Savoiagate». A cui farà seguito «Vallettopoli», con Fabrizio Corona e una selva di belle e talentuose figliole. Comunque sia: il mancato re finisce in carcere a Potenza. «Era una città che non conosceva nessuno, l’ho lanciata io», dirà con una certa ironia, dopo essere uscito dalla gattabuia lucana. Negli otto giorni trascorsi al fresco, al culmine della noia esonda. Racconta a un compagno di cella proprio del delitto di Cavallo. «Anche se avevo torto, devo dire che li ho fregati!», si vanta Vittorio Emanuele, riferendosi ai giudici francesi che l’hanno scagionato. Spiega dunque come aveva preso il fucile, per poi colpire con una pallottola «trenta zero tre» il giovane Hamer. Non avendo dimestichezza con tali brutture plebee, ignora che in cella c’è una microscopia. Per sua fortuna, è già stato assolto. E non si può essere riprocessati per lo stesso reato. Qualche giorno dopo la scarcerazione, non pago, si sfoga al telefono con un conoscente: «Questi giudici sono dei poveretti, degli invidiosi, degli stronzi. Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando... Sono dei morti di fame, non hanno un soldo, devono rimanere tutta la giornata ad ascoltare, mentre probabilmente la moglie gli fa le corna». Vittorio Emanuele ha il problema inverso. Un’inscalfibile fama lo precede: mandrillone. «Sessomaniaco», rettifica lui il 24 giugno 2006 davanti al gip, Alberto Iannuzzi. Interrogatorio leggendario. Dopo i supposti affari economici, si passa a quelli di letto: le prostitute con cui gli indagati intrattenevano i presunti sodali. «Sono sposato da 45 anni con mia moglie e sono molto contento», premette il principe. Salvo poi ricorrere ad arguta metafora: «Sono cacciatore e di tanto in tanto mi piace anche sparare. Così, basta. Paghi e chiuso. È come andare al cinema». A sborsare, informa, era lui. Nonostante ammetta l’arcinoto: tirar fuori soldi gli pesa. «Io sono tirchio», chiarisce. Ai fidi collaboratori che si preoccupavano di compiacerlo, Sua altezza raccomandava infatti prezzi modici: «Duecento euro e non di più!». Quattro anni dopo, nel settembre 2010, viene assolto da tutti i reati con formula piena: «Per non aver commesso il fatto». Per quell’inchiesta e l’ingiusta detenzione, chiede una paccata di soldi. Ottiene un risarcimento simbolico: 40.000 euro. Che decide, nobilmente, di dare in beneficenza. Gli aneddoti sulla sua tirchieria patologica si sprecano, comunque. Nacque re. Diventò apolide. In gioventù rischia di essere diseredato dal padre. Poi, dimostra una certa abilità ne gli affari. Persino Silvio Berlusconi si lancia una volta nel suo elogio: «È un buon manager, può rimettere ordine nell’economia italiana». Più modestamente, si dedica a ricostruire invano il patrimonio di famiglia. Fa il tramite d’affari. I suoi quarti di nobiltà diventano il viatico per approcciare lobby e influenti. Poi la vecchiaia, la malattia, la morte. «Si è serenamente spento in Ginevra». Sarà sepolto a Superga, sulla collina dei Savoia. E da lassù si vede Torino. L’ex Capitale del regno che non riuscì mai a conquistare.
Ursula von der Leyen e Iratxe García Pérez (Ansa)