2025-07-03
C’è speranza: via medaglie a nuotatrice trans
Lia Thomas (Getty Images)
L’università della Pennsylvania fa marcia indietro sul caso Lia Thomas e si scusa con le atlete biologicamente donne che sono state «svantaggiate» nella competizione. D’ora in poi chi è nato maschio non parteciperà alle gare femminili.Medaglia ritirata e tante scuse alle altre atlete. Si chiude così la parabola nel nuoto femminile di Lia Thomas, la nuotatrice transgender che nel 2022 aveva vinto le 500 yard stile libero diventando la prima atleta trans sul podio in un campionato universitario. L’università della Pennsylvania ha deciso di fare marcia indietro, annullare tre medaglie della Thomas ripristinando così tutti i record individuali di nuoto per le atlete che erano state sconfitte dalla prestanza fisica della collega nata maschio. Una decisione che arriva in seguito a quella di allinearsi all’ordine esecutivo 14201 dello scorso 5 febbraio dell’amministrazione Trump dal titolo più che eloquente: «Keeping Men Out of Women's Sports», contro la partecipazione negli sport femminili da parte degli atleti transgender biologicamente maschi e per la difesa della legge federale Title IX sulle discriminazioni sessuali all’interno di quelle attività educative che ricevono finanziamenti federali.«Sebbene le politiche dell’università fossero conformi alle regole della Ncaa (l’associazione atletica delle università) in vigore all’epoca, riconosciamo che alcuni studenti-atleti sono stati svantaggiati da tali norme», ha dichiarato il rettore dell’università della Pennsylvania J. Larry Jameson. Un’ammissione che ha dell’incredibile se si pensa che fino a ieri, l’ateneo non ha mai mostrato alcun segno di solidarietà alle atlete sconfitte dalla Thomas. Tantomeno alle tre nuotatrici Grace Estabrook, Margot Kaczorowski ed Ellen Holmquist che hanno deciso di fare causa alla Penn oltre che a Ncaa e Ivy league per quella che hanno definito essere una vera e propria ingiustizia, in violazione della legge federale contro le discriminazioni.Una causa arrivata dopo svariati tentativi di aprire un dialogo con l’università che, a quanto hanno riferito dalle atlete a Fox news, sarebbero stati liquidati come frutto di «problemi psicologici». Non solo, a quanto pare, i dirigenti dell’ateneo avrebbero detto alle atlete che se non fossero state in grado di accettare di gareggiare contro la Thomas, o di condividere lo spogliatoio, avrebbero dovuto cercare aiuto presso uno sportello di supporto psicologico o Lgbt. Guai inoltre ad esprimere pubblicamente le proprie rimostranze perché altrimenti la loro reputazione sarebbe stata macchiata di transfobia per il resto della loro vita e non sarebbero mai riuscite a trovare un lavoro. Lo scorso marzo però, l’amministrazione Trump decide di sospendere i 175 milioni di dollari in fondi federali all’università della Pennsylvania perché le sue politiche, scrive l’account della Casa Bianca, «obbligano le donne a competere con i maschi». È solo a quel punto che evidentemente a Philadelphia inizia a sbloccarsi qualcosa. L’ateneo si accorge che le regole del ministero dell’Educazione e della Ncaa sulla partecipazione degli atleti transgender sono cambiate e che in base alle nuove disposizioni, Lia Thomas non potrebbe più gareggiare nella squadra di nuoto femminile. Di lì il dietro front anche sulle medaglie. Una decisione persino esagerata se si pensa che nel 2022 la politica dell’università, per quanto discutibile, ottemperava al contesto normativo in vigore all’epoca, e che quindi la responsabilità di tali scelte non era certo da imputarsi all’università. Lo ribadisce la direttrice dell’atletica presso la Penn, Alanna Wren, nella lettera di scuse inviata agli studenti dove spiega che quelle regole hanno svantaggiato le atlete. Di qui l’annullamento delle vittorie della Thomas a mo’ di compensazione. Stupisce che per arrivare ad una così candida ammissione da parte dell’ateneo ci siano voluti quasi quattro anni con tante follie gender nel mezzo, tra cui la decisione, nel 2022, di candidare per il premio «atleta donna dell’anno», proprio la Thomas. Uno schiaffo alle studentesse che dopo quanto successo, oggi raccontano di traumi, confusioni cognitive e di un clima da inquisizione all’interno dell’università. Del resto, con il suo metro e 90 di altezza, la Thomas aveva gareggiato nella categoria di nuoto maschile con il nome di Will fino al 2020. Quando poi inizia il percorso di transizione di genere con la terapia ormonale sostitutiva, si afferma come donna trans fino ad entrare nella squadra femminile. Un’altra epoca. Oggi infatti, in base a quanto disposto dall’amministrazione Trump, oltre che ad impedire nuovi casi Thomas, l’università si impegna ad adottare anche definizioni di maschile e femminile «basate sulla biologia». Un altro principio lapalissiano ma necessario a garantire l’equità negli sport femminili e ad evitare nuovi casi alla Imane Khelif, ossia di atlete con disturbi dello sviluppo sessuale che si definiscono donne ma che, in presenza di cromosoma Y, siano biologicamente maschi. Decisioni che hanno ottenuto il plauso di molte femministe, tra le più attive Riley Gainses, ex nuotatrice dell’università del Kentucky e diventata attivista dopo aver condiviso lo spogliatoio con la Thomas durante i campionati Ncaa del 2022. Su X ha così sintetizzato la vicenda: «I maiali volano?»
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