2022-02-13
Via libera alle cure anti Covid a casa. Ma il metodo Speranza non funziona
Il paracetamolo rimane il primo farmaco dell’elenco, poi gli antinfiammatori, i monoclonali e infine anche gli antivirali. Però si è inserita tutta una serie di impedimenti burocratici che possono vanificare le terapie.Il tema delle terapie per contrastare il Covid è sempre stato controverso. Fin dal principio. Inizialmente per favorire la campagna vaccinale alcune terapie non erano neanche prese in considerazione e il protocollo di cura è rimasto per mesi l’ormai tristemente noto: tachipirina e vigile attesa. Nell’aprile del 2021, a più di un anno dallo scoppio della pandemia, finalmente il ministero presieduto da Roberto Speranza emanava una circolare molto lunga in cui si fornivano le linee guida per la gestione domiciliare dei pazienti Covid. All’interno una tabella redatta dall’Aifa illustrava quali farmaci potevano essere utilizzati e in che modo. Il paracetamolo rimane il primo farmaco dell’elenco, al quale però sono stati aggiunti anche gli antinfiammatori. Da assumere in caso di febbre dolori articolari o muscolari. Vengono finalmente inserite nuove terapie: quelle degli anticorpi monoclonali per i casi a rischio. Reperire i farmaci monoclonali, infatti, è stato fin dall’inizio un percorso complicatissimo. Come spiegato a La Verità da Francesco Broccolo (professore di microbiologia all’università Milano Bicocca), per accedere a questo tipo di cure «Non basta avere fattori di rischio». Esistono infatti tutta una serie di impedimenti burocratici: prima di tutto si devono attivare i medici di medicina generale, poi debbono intervenire le Uscar (squadra sanitarie sul territorio) e, se disponibili, verificare la saturazione dei pazienti e viene fatta una nuova anamnesi. Se la saturazione si aggira intorno ai 92 i pazienti possono accedere agli anticorpi monoclonali. Purché si agisca entro 72 ore. Spesso però non è così perché una volta «eletto» il paziente bisogna affrontare la burocrazia ospedaliera che fa perdere altro tempo. «Una procedura che» - come denunciato da Broccolo - «richiede circa 4 giorni. Se si dovesse aspettare la conclusione, il paziente sarebbe automaticamente fuori tempo massimo». Per mesi i monoclonali non sono stati usati quanto si sarebbe potuto e i flaconi in eccesso sono stati spediti all’estero come ad esempio in Romania. A oggi solo 44.000 persone sono state curate con le terapie monoclonali. Veneto in testa con il 17%, la Lombardia solo il 7,5%, la Sicilia al 4,9%. A dicembre 2021 è stata divulgata una nuova tabella che rimaneva sostanzialmente uguale salvo l’introduzione di un nuovo tipo di monoclonale: il Sotrovimab. Un’altra tabella è stata infine pubblicata il 9 febbraio e ha introdotto un nuovo tipo di terapia: quella antivirale. Anche in questo caso il professor Broccolo a La Verità ha avvertito: «Questi farmaci ci sono, ma ora il tema è la sburocratizzazione». Infatti, la storia rischia di ripetersi. È bene che gli antivirali possano essere reperibili anche nelle farmacie, evitando così di ingolfare gli ospedali con cure con potrebbero essere fatte a casa. Il remdesivir, ad esempio, che già era stato autorizzato da Aifa per i pazienti curati con l’ossigeno, adesso può essere somministrato anche nei pazienti a rischio in via preventiva. Il Paxlovid è il primo farmaco antivirale orale ad essere stato autorizzato da Ema per il trattamento del Covid-19 in soggetti adulti, non ospedalizzati e ad alto rischio di sviluppare una malattia grave. Entrambi devono essere somministrati entro cinque giorni, altrimenti rischia di diventare troppo tardi. A proposito di questo è intervenuta Stefania Salmaso, epidemiologa ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità. «Mentre i vaccini sono offerti a tutti, gli antivirali sono a rischio disuguaglianza e serve una campagna sul tema che coinvolga i medici di base». Capitolo a parte meritano infine gli antinfiammatori (detti Fans), inseriti nelle raccomandazioni Aifa già da aprile 2021 e confermati anche nelle versioni successive, ma con l’indicazione che debbano essere assunti solo in caso di febbre o dolori muscolari. Secondo Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs: «La capacità degli antinfiammatori di fermare la malattia Covid ai primi sintomi è ormai documentata in modo convincente». E ha aggiunto: «Noi abbiamo pubblicato due studi. Entrambi dimostrano una riduzione del 90% della necessità di ospedalizzazione». I farmaci di cui parla sono Nimesulide, Ibuprofene o Aspirina e potrebbero essere utilizzati come arma preventiva contro il Covid. Naturalmente è necessario che vengano assunti sotto il controllo di un medico e sarebbe utile che si riprendesse a visitare i pazienti, non solo per via telefonica. Nelle raccomandazioni dell’Aifa, cortisone e antibiotici continuano a essere indicati solo per i casi gravi non fornendo quindi una cura generalizzata contro la malattia da Covid. Si ritiene anche che il cortisone in alcuni casi possa anche peggiorare la risposta immunitaria. Questo però non vuol dire, come scritto da alcuni che questo tipo di cure sia vietato, anzi in alcune forme della malattia sono fondamentali. Continua ad esserci quindi grande caos quando si parla di terapie contro il Covid, ma il nemico delle cure sembra essere ancora una volta la burocrazia e il sospetto è che il grande numero di morti che abbiamo in Italia, possa dipendere anche da questo.
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