2024-01-31
Edilizia sanitaria: via libera ad un piano straordinario
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Le emergenze sul piano sanitario sono moltissime, una di queste è la messa in sicurezza del patrimonio sanitario pubblico.La Sanità italiana va rimessa in sesto. Su questo punto sono d’accordo tutti, dalla maggioranza alle opposizioni. Eppure le idee su come affrontare l’emergenza sono diverse c’è chi all’opposizione presenta libri spacciandoli per manuali di buon governo (vedi Roberto Speranza), e poi chi c’è produce atti e lavora in Parlamento. L’edilizia sanitaria è un tema su cui negli ultimi anni non ci si è concentrati abbastanza e come succede purtroppo anche per le scuole oggi ci troviamo in una situazione talmente grave da rendere sempre più frequenti gli incidenti causati dalla fatiscenza delle strutture. Episodi ai quali l’opinione pubblica sembra purtroppo essersi abituata. L’ultimo caso in ordine cronologico è quello di Tivoli. Tre anziani pazienti morti e circa 200 evacuati lo scorso dicembre a causa di un incendio divampato al San Giovanni Evangelista. Ospedale finito sotto i riflettori già per essere finito tra gli otto ospedali peggiori d’Italia per qualità delle cure secondo gli ultimi dati Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Sulla vicenda specifica la Procura di Tivoli ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio colposo plurimo ed incendio colposo, ma di casi come questi ce ne sono tanti, troppi.Il primo a lanciare l’allarme sulla criticità dell’edilizia sanitaria fu il 9 giugno 2009 l'allora capo della protezione civile Guido Bertolaso, relazionando al Senato sul terremoto che colpì L'Aquila e rese inagibile l’ospedale San Salvatore. In quell’occasione venne fuori che erano almeno 500 le strutture ospedaliere a rischio crollo in Italia in caso di forte evento sismico.Nella sua relazione al Senato, Bertolaso ricordava come, «secondo uno studio commissionato dall’ex Ministro Veronesi nel 2001, su circa 1000 presidi, risulta che circa il 65% è stato costruito prima del 1970 (di cui il 15% prima del 1900 e il 20% tra il 1900 e il 1940), il 20% tra il 1971 e 1990 e solamente il 15% dal 1991 al 2001». Per realizzare la messa in sicurezza di tutti gli edifici pubblici, ammetteva però l'ex capo della protezione civile, servirebbero «una decina di Finanziarie messe insieme».Il dato riguardante i 500 ospedali a rischio sismico venne successivamente ripreso, nel 2013, dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Ssn presieduta da Ignazio Marino: «Per quanto riguarda la situazione degli edifici ospedalieri, ancorché in mancanza di una cifra esatta, le strutture che necessitano di una pluralità di interventi, che sarebbero strategiche in base alla loro localizzazione in zone ad alto rischio sismico dato che costituiscono un punto di riferimento per la gestione di eventuali situazioni di emergenza post evento, non sono meno di 500. Sono strutture distribuite soprattutto lungo l’arco appenninico, nella zona dell’Italia centrale ma soprattutto meridionale, in particolare in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia». Nonostante questo i vari governi tecnici successivi non sono intervenuti perché come sappiamo tagliarono la spesa senza intervenire sulle criticità strutturali. Il ministro della Salute Giulia Grillo, del primo governo Conte, annunciò un piano Marshall per l’edilizia, anche quello però mai partito.Roberto Speranza dà lezioni di buon governo, ma anche lui come ministro della Salute nel Conte 2 e nel governo Draghi fece nulla. Complice il Covid, naturalmente. Oggi tuttavia si vede uno spiraglio di luce a quello che potrebbe essere definito un inizio di soluzione. «In 30 anni sono stati impegnati 40 miliardi di euro e ne è stato speso meno del 25%» ha denunciato a dicembre il presidente della Commissione Sanità in Senato Franco Zaffini citando dati emersi da un‘indagine della Commissione sull’articolo 20, quello appunto sull’edilizia sanitaria. «Chiuderemo questo lavoro con una risoluzione che sollecita il Governo a mettere a disposizione delle Regioni risorse specifiche per la messa a norma del patrimonio edilizio del Ssn». Così è stato perché il 18 gennaio scorso è stato dato il via libera al piano straordinario e urgente per la messa in sicurezza del patrimonio sanitario pubblico. Grazie all’approvazione, avvenuta in seno alla Commissione, di una risoluzione unanime che impegna il governo su questo punto.Il riferimento, in particolare, è alle vigenti norme in materia di sicurezza antisismica e antincendio. Il piano è destinato anche a superare le criticità procedurali e attuative connesse all’utilizzo delle risorse dell’edilizia sanitaria. Nella risoluzione si impegna inoltre il governo a mettere a disposizione delle Regioni le risorse finanziarie necessarie: quote inutilizzate delle risorse ex articolo 20; risorse a disposizione dell’Inail; allo scopo di rafforzare la capacità progettuale e amministrativa delle Regioni del Mezzogiorno e per specifiche finalizzazioni, risorse del fondo per la coesione.A questo piano straordinario dovranno collaborare anche le Regioni a cui è richiesto entro il 30 marzo 2024 di effettuare una ricognizione dei fabbisogni in materia di messa in sicurezza delle strutture sanitarie con identificazione della complessità dell’intervento e delle relative priorità, da articolare su tre livelli. La scadenza per la successiva firma degli accordi di programma, entro 30-60-90 giorni dal completamento della ricognizione dei fabbisogni, a seconda del grado di complessità, che ciascuna Regione dovrebbe poter concludere separatamente, accorpando eventualmente gli interventi. La risoluzione inoltre dispone che vanga promosso un monitoraggio periodico dell’attuazione del piano, con scadenza almeno semestrale. Infine, in prossimità di ognuna delle scadenze individuate, il governo sarà tenuto a informare il Parlamento sullo stato di attuazione del piano.Una risoluzione che non ha la forma di una bacchetta magica evidentemente e che rappresenta solo il primo passo per tentare di mettere in piedi una ristrutturazione che può definirsi epocale. Ogni anno, secondo il Rapporto Oasi 2021 dell’Università Bocconi, il Servizio sanitario nazionale spende circa 5,7 miliardi di euro per gestire il proprio patrimonio (tecnologie escluse).
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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