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2024-02-02
Vescovi a lezione di benedizioni ai gay. Parte dall’Irlanda l’arcobaleno del Papa
Papa Francesco (Ansa)
A lezione di Fiducia Supplicans. Padre James Martin, gesuita progressista americano e uno dei principali promotori del Sinodo, ha avuto da papa Francesco un compito ben preciso: catechizzare i vescovi sul controverso documento attraverso il quale il Pontefice, aiutato dal suo prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, Víctor Manuel Fernández, ha spalancato le porte alla benedizione per gli omosessuali.
La prima tappa di quello che pare essere un vero e proprio tour pedagogico in salsa arcobaleno delle conferenze episcopali è stata l’Irlanda. Dopo le prime anticipazioni lanciate su alcuni siti cattolici, è stato lo stesso padre Martin a confermare la sua missione attraverso il suo profilo social su X: «Sono così grato di essere stato invitato a parlare alla Conferenza episcopale irlandese questa settimana durante il loro incontro annuale presso il santuario di Knock. Il primo giorno abbiamo discusso dell’intervento di Gesù verso coloro che sono ai margini; il secondo giorno, abbiamo riflettuto sul ministero della Chiesa nei confronti delle persone Lgbq», ha scritto il gesuita.
La scelta dell’Irlanda non pare casuale visto che l’Associazione dei preti cattolici irlandesi ha accolto «con calore» Fiducia Supplicans, definendola «un’iniziativa storica che porta un nuovo slancio e una nuova libertà nella ricerca di una risposta più sensibile e umana ai bisogni pastorali urgenti». Dello stesso avviso è stato anche il primate d’Irlanda, l’arcivescovo di Armagh Eamon Martin, che a proposito del documento emanato dall’ex Sant’Uffizio, ha dichiarato: «Le ferite e le angosce vissute dalle persone che si identificano come omosessuali sono state ascoltate molto forte all’interno della Chiesa».
E chi meglio di padre Martin può portare avanti questa opera di evangelizzazione queer? Autore di libri molto diffusi in America, è stato nominato nel 2017 consultore del segretariato per le Comunicazioni, organismo che sovrintende la comunicazione della Santa Sede. Ed è stato anche tra i primi a mettere in pratica le disposizioni contenute in Fidicia Supplicans benedicendo, nell’immediatezza della promulgazione, con tanto di foto diffusa sui social e finita sulle pagine del New York Times, una coppia omosessuale: Damian, un fioraio, e Jason, un giornalista. Per non far sembrare la benedizione un’approvazione della loro unione, che la Chiesa ancora per il momento considera un peccato, padre Martin si è limitato a leggere un passo del Vecchio Testamento, non ha utilizzato una formula canonica di benedizione e non ha indossato paramenti sacri. Insomma, una benedizione da retrobottega. Ma tant’è.
A pochi minuti dalla diffusione di Fiducia Supplicans aveva affidato ai social anche queste parole: «È un importante passo avanti nel ministero della Chiesa verso le persone Lgbtq e riconosce il profondo desiderio di molte coppie cattoliche dello stesso sesso per la presenza di Dio nelle loro relazioni d’amore. Insieme a molti sacerdoti, ora sarò lieto di benedire i miei amici che hanno unioni omosessuali. Ed è un netto cambiamento rispetto alla conclusione “Dio non benedice e non può benedire il peccato”». I profili social del sacerdote voluto da Francesco come docente itinerante traboccano di post che possono essere catalogati tranquillamente turbo progressisti.
Ma ce n’è uno, in particolare, del 27 gennaio, che svela quelle che saranno le prossime aperture (o i prossimi pilastri a cadere, a seconda dei punti di vista) da sottoporre a papa Bergoglio. Riporta padre Martin: «A febbraio, in una riunione del Consiglio sinodale, a Francesco verrà presentato un elenco di temi che richiedono ulteriore riflessione, tra cui le donne diaconi, la formazione dei sacerdoti e le proposte di riforma del catechismo della Chiesa». Le parole sono riprese da un’intervista concessa da Nathalie Becquart, religiosa francese divenuta nel 2021 sottosegretaria alla segreteria generale del Sinodo dei vescovi e ripresa dal sito Religion news, e che certifica come i progressisti si stiano preparando a giocare il secondo tempo del Sinodo: la seconda sessione aprirà a ottobre e in quell’occasione, commenta la Becquart nell’intervista ripostata da padre Martin con entusiasmo, «si dovrà pervenire a un documento finale che dovrà avanzare proposte più specifiche».
Le aspettative sollevate dal processo sinodale e che dovrebbero arrivare sulla scrivania del Pontefice includono: l’ordinazione delle donne; un più ampio coinvolgimento dei laici all’interno della Chiesa; un’apertura ancora maggiore verso i gruppi emarginati, in particolare i migranti e i membri della comunità Lgbtq. Aperture già balenate nei mesi scorsi e rimaste fuori dai documenti finali della prima tranche sinodale che, su queste questioni, contenevano solamente delle tiepide raccomandazioni.
Dopo questo appuntamento, il Santo Padre dovrebbe nominare un pool di esperti e teologi che lavoreranno in stretto contatto con la Curia vaticana per arrivare a una relazione finale da presentare all’apertura della seconda sessione del Sinodo. Insomma, Bergoglio non toglie il piede dell’acceleratore, anzi. E le tappe di riforma del cattolicesimo si stanno facendo sempre più cadenzate.
Il Belgio offeso dal pedofilo impunito attende Bergoglio
La visita di papa Francesco in Belgio, annunciata dallo stesso Pontefice nel dicembre scorso e che dovrebbe aver luogo nel settembre di quest’anno per celebrare i 600 anni dell’Università cattolica di Lovanio, potrebbe rivelarsi «difficile». L’ha dichiarato nei giorni scorsi il segretario generale della Conferenza dei vescovi del Belgio, Bruno Spriet, audito in seno alla commissione del Parlamento fiammingo che indaga sugli abusi del clero. Spriet - che è il primo a ricoprire il suo ruolo pur essendo non solo laico, ma sposato e padre di due figli - ha espresso preoccupazione riguardo a un caso specifico: quello di monsignor Roger Vangheluwe, 87 anni, ex vescovo di Bruges finito al centro d’uno degli scandali più clamorosi degli ultimi anni.Correva, infatti, il 2010 quando il prelato rassegnò le dimissioni da vescovo dichiarando, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Bruxelles, le proprie responsabilità di molestatore ai danni di un suo nipotino. «Quando ero ancora semplice sacerdote e per un certo tempo all’inizio del mio episcopato», furono le parole di Vangheluwe, «ho abusato sessualmente di un giovane dell’ambiente a me vicino. La vittima ne è ancora segnata. Nel corso degli ultimi decenni, ho più volte riconosciuto la mia colpa nei suoi confronti, come nei confronti della sua famiglia, e ho domandato perdono, ma ciò non lo ha pacificato. E neppure io lo sono». A tale drammatica confessione è seguito un periodo di silenzio poi rotto, nell’aprile del 2011, sempre dall’ex vescovo di Bruges il quale, in una intervista tv, non solo ha ammesso di aver abusato di un altro suo nipote, ma non ha mostrato segni di pentimento, negando perfino di essere un molestatore di minori: «Era soltanto dell’intimità che si creava, lui non mi sembrava si opponesse, non mi ha mai visto nudo, non vi era nemmeno penetrazione, dunque io non ho proprio l’impressione di essere un pedofilo».Al caso Vangheluwe - che si è allargato con la pubblicazione di audio del cardinale Godfried Danneels, registrato mentre chiedeva a una delle sue vittime di non sporgere denuncia - si è accompagnata la pubblicazione di un rapporto indipendente che, tra gli anni Cinquanta e Ottanta, ha registrato 475 denunce sulle molestie che sarebbero state agite da clero e operatori della Chiesa belga. Nell’ottobre dello scorso anno - sull’onda dello scandalo creato dalla serie tv Godvergeten, incentrata sugli abusi del clero - il Parlamento fiammingo ha poi varato una commissione d’inchiesta al riguardo. Ed è in tale contesto che Bruno Spriet ha preso la parola, consapevole di quello che appare come uno scandalo nello scandalo: il fatto che l’abusatore reo confesso Vangheluwe - che da tempo si trova in Francia -, ancorché emerito sia ancora vescovo, senza mai essere stato ridotto allo stato laicale.«Negli ultimi anni i vescovi belgi hanno scritto più volte alla Santa Sede, nel 2017 e nel 2019», ha detto Spriet - affiancato da Luc Terlinden, arcivescovo di Malines-Bruxelles e da Johan Bonny, vescovo di Anversa - per caldeggiare «sanzioni ecclesiastiche contro Roger Vangheluwe», senza ottenerle. Spriet ha anche detto che «a Roma sono consapevoli della portata dello scandalo e sono al lavoro per una soluzione», ma finché essa non sarà realizzata «sarà difficile che papa Francesco possa compiere una visita pacifica nel nostro Paese». Parole che sanno di monito per la Santa Sede che, se non affronterà una volta per tutte la pratica Vangheluwe, potrebbe rendere il viaggio belga del Pontefice, mediaticamente e non solo, assai complesso.
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Il gesuita James Martin è stato inviato a catechizzare i prelati Intanto si torna a parlare di donne diacono e nuovo catechismo. Monsignor Roger Vangheluwe ha confessato degli abusi ma non è stato ridotto allo stato laicale nonostante le richieste inviate in Vaticano. Lo speciale contiene due articoli.A lezione di Fiducia Supplicans. Padre James Martin, gesuita progressista americano e uno dei principali promotori del Sinodo, ha avuto da papa Francesco un compito ben preciso: catechizzare i vescovi sul controverso documento attraverso il quale il Pontefice, aiutato dal suo prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, Víctor Manuel Fernández, ha spalancato le porte alla benedizione per gli omosessuali.La prima tappa di quello che pare essere un vero e proprio tour pedagogico in salsa arcobaleno delle conferenze episcopali è stata l’Irlanda. Dopo le prime anticipazioni lanciate su alcuni siti cattolici, è stato lo stesso padre Martin a confermare la sua missione attraverso il suo profilo social su X: «Sono così grato di essere stato invitato a parlare alla Conferenza episcopale irlandese questa settimana durante il loro incontro annuale presso il santuario di Knock. Il primo giorno abbiamo discusso dell’intervento di Gesù verso coloro che sono ai margini; il secondo giorno, abbiamo riflettuto sul ministero della Chiesa nei confronti delle persone Lgbq», ha scritto il gesuita.La scelta dell’Irlanda non pare casuale visto che l’Associazione dei preti cattolici irlandesi ha accolto «con calore» Fiducia Supplicans, definendola «un’iniziativa storica che porta un nuovo slancio e una nuova libertà nella ricerca di una risposta più sensibile e umana ai bisogni pastorali urgenti». Dello stesso avviso è stato anche il primate d’Irlanda, l’arcivescovo di Armagh Eamon Martin, che a proposito del documento emanato dall’ex Sant’Uffizio, ha dichiarato: «Le ferite e le angosce vissute dalle persone che si identificano come omosessuali sono state ascoltate molto forte all’interno della Chiesa».E chi meglio di padre Martin può portare avanti questa opera di evangelizzazione queer? Autore di libri molto diffusi in America, è stato nominato nel 2017 consultore del segretariato per le Comunicazioni, organismo che sovrintende la comunicazione della Santa Sede. Ed è stato anche tra i primi a mettere in pratica le disposizioni contenute in Fidicia Supplicans benedicendo, nell’immediatezza della promulgazione, con tanto di foto diffusa sui social e finita sulle pagine del New York Times, una coppia omosessuale: Damian, un fioraio, e Jason, un giornalista. Per non far sembrare la benedizione un’approvazione della loro unione, che la Chiesa ancora per il momento considera un peccato, padre Martin si è limitato a leggere un passo del Vecchio Testamento, non ha utilizzato una formula canonica di benedizione e non ha indossato paramenti sacri. Insomma, una benedizione da retrobottega. Ma tant’è.A pochi minuti dalla diffusione di Fiducia Supplicans aveva affidato ai social anche queste parole: «È un importante passo avanti nel ministero della Chiesa verso le persone Lgbtq e riconosce il profondo desiderio di molte coppie cattoliche dello stesso sesso per la presenza di Dio nelle loro relazioni d’amore. Insieme a molti sacerdoti, ora sarò lieto di benedire i miei amici che hanno unioni omosessuali. Ed è un netto cambiamento rispetto alla conclusione “Dio non benedice e non può benedire il peccato”». I profili social del sacerdote voluto da Francesco come docente itinerante traboccano di post che possono essere catalogati tranquillamente turbo progressisti. Ma ce n’è uno, in particolare, del 27 gennaio, che svela quelle che saranno le prossime aperture (o i prossimi pilastri a cadere, a seconda dei punti di vista) da sottoporre a papa Bergoglio. Riporta padre Martin: «A febbraio, in una riunione del Consiglio sinodale, a Francesco verrà presentato un elenco di temi che richiedono ulteriore riflessione, tra cui le donne diaconi, la formazione dei sacerdoti e le proposte di riforma del catechismo della Chiesa». Le parole sono riprese da un’intervista concessa da Nathalie Becquart, religiosa francese divenuta nel 2021 sottosegretaria alla segreteria generale del Sinodo dei vescovi e ripresa dal sito Religion news, e che certifica come i progressisti si stiano preparando a giocare il secondo tempo del Sinodo: la seconda sessione aprirà a ottobre e in quell’occasione, commenta la Becquart nell’intervista ripostata da padre Martin con entusiasmo, «si dovrà pervenire a un documento finale che dovrà avanzare proposte più specifiche».Le aspettative sollevate dal processo sinodale e che dovrebbero arrivare sulla scrivania del Pontefice includono: l’ordinazione delle donne; un più ampio coinvolgimento dei laici all’interno della Chiesa; un’apertura ancora maggiore verso i gruppi emarginati, in particolare i migranti e i membri della comunità Lgbtq. Aperture già balenate nei mesi scorsi e rimaste fuori dai documenti finali della prima tranche sinodale che, su queste questioni, contenevano solamente delle tiepide raccomandazioni.Dopo questo appuntamento, il Santo Padre dovrebbe nominare un pool di esperti e teologi che lavoreranno in stretto contatto con la Curia vaticana per arrivare a una relazione finale da presentare all’apertura della seconda sessione del Sinodo. Insomma, Bergoglio non toglie il piede dell’acceleratore, anzi. 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Spriet - che è il primo a ricoprire il suo ruolo pur essendo non solo laico, ma sposato e padre di due figli - ha espresso preoccupazione riguardo a un caso specifico: quello di monsignor Roger Vangheluwe, 87 anni, ex vescovo di Bruges finito al centro d’uno degli scandali più clamorosi degli ultimi anni.Correva, infatti, il 2010 quando il prelato rassegnò le dimissioni da vescovo dichiarando, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Bruxelles, le proprie responsabilità di molestatore ai danni di un suo nipotino. «Quando ero ancora semplice sacerdote e per un certo tempo all’inizio del mio episcopato», furono le parole di Vangheluwe, «ho abusato sessualmente di un giovane dell’ambiente a me vicino. La vittima ne è ancora segnata. Nel corso degli ultimi decenni, ho più volte riconosciuto la mia colpa nei suoi confronti, come nei confronti della sua famiglia, e ho domandato perdono, ma ciò non lo ha pacificato. E neppure io lo sono». A tale drammatica confessione è seguito un periodo di silenzio poi rotto, nell’aprile del 2011, sempre dall’ex vescovo di Bruges il quale, in una intervista tv, non solo ha ammesso di aver abusato di un altro suo nipote, ma non ha mostrato segni di pentimento, negando perfino di essere un molestatore di minori: «Era soltanto dell’intimità che si creava, lui non mi sembrava si opponesse, non mi ha mai visto nudo, non vi era nemmeno penetrazione, dunque io non ho proprio l’impressione di essere un pedofilo».Al caso Vangheluwe - che si è allargato con la pubblicazione di audio del cardinale Godfried Danneels, registrato mentre chiedeva a una delle sue vittime di non sporgere denuncia - si è accompagnata la pubblicazione di un rapporto indipendente che, tra gli anni Cinquanta e Ottanta, ha registrato 475 denunce sulle molestie che sarebbero state agite da clero e operatori della Chiesa belga. Nell’ottobre dello scorso anno - sull’onda dello scandalo creato dalla serie tv Godvergeten, incentrata sugli abusi del clero - il Parlamento fiammingo ha poi varato una commissione d’inchiesta al riguardo. Ed è in tale contesto che Bruno Spriet ha preso la parola, consapevole di quello che appare come uno scandalo nello scandalo: il fatto che l’abusatore reo confesso Vangheluwe - che da tempo si trova in Francia -, ancorché emerito sia ancora vescovo, senza mai essere stato ridotto allo stato laicale.«Negli ultimi anni i vescovi belgi hanno scritto più volte alla Santa Sede, nel 2017 e nel 2019», ha detto Spriet - affiancato da Luc Terlinden, arcivescovo di Malines-Bruxelles e da Johan Bonny, vescovo di Anversa - per caldeggiare «sanzioni ecclesiastiche contro Roger Vangheluwe», senza ottenerle. Spriet ha anche detto che «a Roma sono consapevoli della portata dello scandalo e sono al lavoro per una soluzione», ma finché essa non sarà realizzata «sarà difficile che papa Francesco possa compiere una visita pacifica nel nostro Paese». Parole che sanno di monito per la Santa Sede che, se non affronterà una volta per tutte la pratica Vangheluwe, potrebbe rendere il viaggio belga del Pontefice, mediaticamente e non solo, assai complesso.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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