2022-08-30
La vera storia dei protocolli sulle cure Covid
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Documento per documento, ecco come il ministero ha tardato a inserire gli antinfiammatori tra le terapie. Parlano i parenti delle vittime. La Cambogia è pronta alla 6° dose. In arrivo i nuovi vaccini: test incompleti.Gran brutta cosa barare, sapendo che scripta manent. Oggi molti stanno provando a cambiare le carte in tavola, facendo credere che il ministero della Salute avesse incluso gli antinfiammatori già nel primo, tardivo protocollo del 2020 sui trattamenti domiciliari dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2. La circolare fu emanata «al fine di fornire indicazioni operative tenuto conto dell’attuale evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale», si leggeva nel documento del 30 novembre di due anni fa a firma del direttore generale della prevenzione, Giovanni Rezza. Quindi non erano generiche raccomandazioni, bensì strumento di lavoro cui attenersi per i medici di famiglia, dopo che per dieci mesi si erano dovuti arrangiare, per lo più lasciando finire i pazienti in ospedale o in terapia intensiva. Sulla gestione farmacologica in ambito domiciliare dei casi Covid confermati, così come di quelli probabili, le indicazioni del ministero erano «vigile attesa» e «trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo)», ovvero Tachipirina. Nient’altro, a parte consigliare la misurazione dell’ossigeno, l’idratazione dei pazienti, negando l’efficacia dell’idrossiclorochina e di supplementi vitaminici, di vitamina D, lattoferrina, quercitina. Nessun cenno ai Fans, antinfiammatori non steroidei che il recente lavoro di metanalisi dell’Istituto Mario Negri e dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, pubblicato su Lancet infectious diseases, ha confermato talmente efficaci, nell’utilizzo precoce, da ridurre i ricoveri del 90%, i tempi di scomparsa dei sintomi dell’80%. Certo, poche righe sottostanti le «indicazioni di gestione clinica» a base di vigile attesa e paracetamolo, nella circolare c’era un generico richiamo alle «linee di indirizzo Aifa sulle principali categorie di farmaci», ma gli antinfiammatori non erano i farmaci consigliati per la gestione domiciliare dei malati Covid. Inoltre, il documento dell’Agenzia del farmaco uscì il 9 dicembre 2020, dieci giorni dopo la circolare ministeriale che aveva stilato quello scarno protocollo, buono solo per accelerare i ricoveri dei pazienti sintomatici. L’Aifa, nei Principi di gestione dei casi Covid-19 nel setting domiciliare del 9 dicembre, ripeteva le stesse raccomandazioni comparse nella circolare Aifa: vigile attesa e paracetamolo. La tabella con l’aggiunta dei Fans al paracetamolo era in secondo piano. «Il Covid è una malattia difficilmente standardizzabile, ecco perché non servono linee guida al ribasso», commentò mesi dopo Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale. Bisognò aspettare il 26 aprile 2021 perché il ministro della Salute, Roberto Speranza, aggiornasse (si fa per dire) il protocollo delle cure domiciliari. Rimase la vigile attesa, spiegando che si intendeva il «costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente». Però, nel frattempo, in cinque mesi i morti per Covid erano più che raddoppiati; e accanto al paracetamolo comparvero ufficialmente i Fans. «Hanno messo sullo stesso piano il paracetamolo e gli antinfiammatori, affermando che l’uno vale l’altro. Quando deve essere contenuta la crescita virale, il paracetamolo può aumentare gli effetti avversi», ha detto alla Verità Andrea Mangiagalli, uno dei pochi medici che hanno trattato a domicilio pazienti Covid senza limitarsi a tachipirina e vigile attesa. «Il paracetamolo riduce le concentrazioni plasmatiche e tissutali di glutatione, il che potrebbe esacerbare il Covid-19», riporta la metanalisi oggi pubblicata su Lancet. I trattamenti precoci devono essere a base di celecoxib e nimesulide, ma anche di aspirina o ibuprofene, scrivono gli esperti dopo aver analizzato diversi studi internazionali, «poiché l’attenuazione di questi sintomi (come l’eccessivo stato infiammatorio, ndr) protegge dalla progressione verso una malattia più grave che alla fine potrebbe richiedere il ricovero». In Italia, invece, per lunghissimo tempo non è stata riconosciuta l’efficacia dei Fans, si è preferito demonizzarli e raccomandare solo tachipirina a quanti, vedendo scendere la febbre, si illudevano di avere sintomi lievi di Covid mentre la malattia andava seguita, trattata tempestivamente. Le cure domiciliari sono state volutamente ignorate dalle autorità, e non solo nel nostro Paese, per tutta la pandemia, puntando ogni energia solo sul vaccino. Come scrisse La Verità nell’estate del 2021, la spiegazione più verosimile, anche se tremenda, potrebbe essere nel Regolamento Ue sull’approvazione condizionata dei farmaci, che sono immessi in commercio prima di dati clinici dettagliati a fronte di una «esigenza medica insoddisfatta», come l’assenza di un protocollo di cura che apporti «un sostanziale vantaggio terapeutico». Se ai trattamenti domiciliari precoci del Covid fosse stata dedicata più ricerca e attenzione, forse le aziende farmaceutiche non avrebbe potuto ottenere per il loro vaccini sperimentali una simile procedura di approvazione e immissione in commercio. Questione che si era posta anche quando l’Ema stava per approvare terapie anti Covid, nell’ottobre di un anno fa e il nostro governo pensava solo ad accelerare le vaccinazioni, imponendo green pass e obblighi vaccinali. Se Speranza e suoi tecnici avessero avuto a cuore la salute dei cittadini, dovevano impegnarsi sulle cure domiciliari. Invece hanno ignorato antinfiammatori e altri farmaci, sperimentali quanto i vaccini, giocando con la vita delle persone.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)