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2022-10-11
La vendetta di Putin arriva puntuale: pioggia di 83 missili su tutta l’Ucraina
Ansa
A 72 ore dall’attacco al ponte di Kerch è scattata puntualmente la vendetta russa. Ieri mattina l’esercito di Mosca ha colpito diverse città in tutta l’Ucraina e secondo quanto riportato dai media locali e internazionali ci sono state almeno cinque esplosioni a Kiev (la prima volta da giugno) ma non solo, attacchi anche a Dnipro, Odessa, Mykolaiv, Khmelnytski, Zhytomyr, Leopolie e Sloviansk. Secondo il viceministro della Difesa ucraina, Hanna Maliar, citata dal Kyiv Independent: «Le forze russe hanno lanciato oltre 83 missili (43 quelli intercettati) e usato ben 17 droni iraniani partiti dalle regioni del Mar Caspio e da Nizhny Novgorod». A proposito di questi ultimi lo Stato maggiore dell’esercito ucraino ritiene che siano partiti anche dalla Bielorussia.
Mentre scriviamo il bilancio degli attacchi è ancora provvisorio, tuttavia, le prime stime parlano di undici persone uccise e sarebbero almeno 64 quelle ferite. Il bilancio più grave è a Kiev, dove secondo le autorità cittadine nel quartiere di Shevchenkivskyi sono rimaste uccise otto persone, mentre alcuni nostri lettori ucraini che vivono in Italia ci segnalano di non avere più notizie da congiunti che si trovavano nella zona dell’università della Capitale. Nell’attacco a Kiev è stato colpito anche il ponte Klitschko, posto sulla riva destra del fiume Dnepr, una struttura pedonale nel centro della Capitale ucraina, ideale per le passeggiate. Gli abitanti della città l’hanno così soprannominato in onore dell’attuale sindaco, Vitali Klitschko. E tra di loro, come ha raccontato Repubblica raccogliendo i commenti sul campo, non manca chi critica la linea del proprio Paese: «Perché abbiamo fatto saltare il ponte della Crimea?».
La città di Leopoli, fino a oggi in gran parte risparmiata dai combattimenti, è stata pesantemente bombardata come ha confermato su Telegram il governatore regionale, Maxime Kozitskiï: «Dopo gli attacchi sono stati registrati blackout nella regione di Leopoli», poi ha invitato i cittadini residenti «a rimanere nei rifugi di fronte alla minaccia di ulteriori attacchi». Attacco missilistico anche a Zaporizhzhia dove un palazzo è stato colpito, come ha reso noto Anatoly Kurtev, segretario del Consiglio comunale della città: «Questa notte, i terroristi russi hanno ancora una volta tolto la vita a un civile. Alle 6 del mattino il bilancio era di un morto. Altre cinque persone sono rimaste ferite. Tra i feriti c’è un bambino che ha riportato tagli da frammenti di vetro». E dopo aver finito la conta dei danni, Kiev ha annunciato l’interruzione dell’esportazione di elettricità verso l’Europa.
Paura anche in Moldavia, che ha denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte dei missili russi lanciati contro le diverse città dell’Ucraina. Il ministero della Difesa di Mosca, citato dall’agenzia di stampa Interfax, in una nota ha detto che «le forze armate russe hanno colpito tutti gli obiettivi che si erano prefissati». Ieri, mentre erano in corso gli attacchi, il presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, prima ha accusato Kiev «di preparare un attacco contro la Bielorussia», poi ha convocato una riunione urgente con i vertici delle forze armate e della sicurezza di Minsk. In seguito, è arrivata la comunicazione citata dalla Ria Novosti nella quale si è ufficializzato il fatto che russi e bielorussi «hanno deciso di schierare un gruppo regionale congiunto di truppe. In relazione all’aggravamento della situazione ai confini occidentali dello Stato dell’Unione, abbiamo deciso di schierare un raggruppamento regionale della Federazione russa e della Repubblica di Bielorussia». In precedenza, Lukashenko aveva addirittura accusato la Nato e altri Paesi europei: «Stanno valutando la possibilità di lanciare un’aggressione contro la Bielorussia. In Occidente c’è la convinzione diffusa che l’esercito bielorusso parteciperà in modo diretto all’operazione militare speciale sul territorio dell’Ucraina. Dopo aver creduto a queste teorie, la leadership politico militare dell’Alleanza atlantica e un certo numero di Paesi europei stanno valutando una possibile aggressione contro il nostro Paese, fino all’attacco nucleare».
Tornando al campo di battaglia cosa sta succedendo e come sta procedendo la mobilitazione russa? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni: «L’esercito russo è in grandissima difficoltà sul terreno e credo che le nostre analisi debbano essere sostenute, in questo momento, da qualche dato effettivo di riscontro, ancorché drammatico, per poter pienamente valutare la gravità della situazione. Alla vigilia dell’invasione l’esercito russo era in grado di esprimere una forza terrestre operativa reale di poco meno di 200.000 soldati attivi e regolarmente addestrati, e la forza d’invasione russa era costituita da circa 190.000 uomini. Le stime sulle perdite parlano di più di 50.000 tra morti, feriti e dispersi, senza contare le defezioni. Si è già superato abbondantemente il limite oltre il quale ogni esercito dovrebbe fermarsi».
Infine, la Germania ha consegnato ieri il primo di quattro sistemi missilistici aria-aria Iris-T Slm all’Ucraina. Lo ha reso noto il ministero della Difesa tedesco, spiegando che «i recenti attacchi missilistici russi contro Kiev e altre città dimostrano quanto sia importante la capacità di difesa aerea per l’Ucraina».
Lo zar rivendica: «Risposte dure»
È stato un discorso durissimo quello tenuto ieri da Vladimir Putin dopo gli attacchi missilistici russi piovuti su varie città ucraine. «Questa mattina», ha detto il leader del Cremlino, «su suggerimento del ministero della Difesa e secondo il piano dello Stato maggiore russo, è stata lanciata una massiccia offensiva aerea, marittima e terrestre ad alta precisione e a lungo raggio contro impianti energetici, di comando militare e di comunicazione dell’Ucraina». «Se i tentativi di compiere attacchi terroristici sul nostro territorio continuano, le risposte della Russia saranno dure e in scala corrisponderanno al livello di minacce poste alla Federazione russa», ha proseguito, riferendosi principalmente alla recente esplosione registratasi sul ponte di Kerch: azione che, pur accolta con esplicita soddisfazione dal governo ucraino, non è stata rivendicata da Kiev (anzi, ieri il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, ha incolpato i servizi segreti russi che, a suo dire, sarebbero attualmente alle prese con una faida interna).
Ad alzare ulteriormente la tensione ci ha pensato, nel frattempo, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev. «Il primo attacco è stato sferrato, ce ne saranno altri», ha dichiarato, per poi aggiungere: «Dal mio punto di vista, l’obiettivo deve essere lo smantellamento totale del regime politico in Ucraina». Dello stesso tenore sono state le dichiarazioni del leader ceceno, Ramzan Kadyrov. «Ora sono soddisfatto al 100 per cento del modo in cui l’operazione militare speciale si sta conducendo», ha scritto su Telegram, per poi aggiungere minacciosamente: «Ti avevamo avvertito, Volodymyr Zelensky, che la Russia non aveva ancora iniziato. Smettila di lamentarti come una feccia. È meglio che scappi prima di essere colpito. Scappa. Scappa, Zelensky, scappa senza guardare l’Occidente». Ricordiamo che Kadyrov aveva di recente criticato apertamente i vertici militari russi: queste sue nuove dichiarazioni evidenziano quindi che l’ala dei falchi (di cui il leader ceceno è un esponente) si sta ulteriormente rafforzando a Mosca. Frattanto, il ministero della Difesa russo ha dichiarato di aver colpito «tutti gli obiettivi designati» nei nuovi attacchi missilistici contro l’Ucraina.
In tutto questo, mentre la tensione sale, Recep Tayyip Erdogan sta cercando di intestarsi nuovamente il ruolo di mediatore. Parrebbe, in particolare, che il presidente turco stia cercando di organizzare dei colloqui tra Mosca, Washington, Londra, Parigi e Berlino. Ieri tuttavia il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo quanto riferito dalla Tass, ha smentito di aver (almeno per ora) ricevuto una «proposta specifica» in tal senso. Reuters ha comunque riferito che Putin ed Erdogan potrebbero incontrarsi questa settimana in Kazakistan e che, nell’occasione, potrebbero discutere sulla possibilità di questi colloqui. Va forse anche sottolineato che, al di là della crisi ucraina, Usa, Russia, Francia, Germania e Gran Bretagna sono tutti coinvolti nel tentativo di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Non è quindi escluso che questo dossier possa fare capolino. Ricordiamo che Teheran intrattiene stretti legami politici, economici ed energetici con Mosca e che, secondo l’Occidente, sta fornendo droni militari ai russi: un’accusa che ieri è stata respinta dal ministro degli esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian.
Berlino convoca un G7 con Zelensky. Pechino frena: «Ora de-escalation»
Gli attacchi russi di ieri contro l’Ucraina hanno scatenato ferme condanne dall’Occidente. Di «atrocità e crimini di guerra» ha parlato Joe Biden, che ha anche assicurato «il supporto necessario alle forze ucraine per difendere il loro Paese e la loro libertà». Tutto questo, mentre il presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, ha dichiarato: «Un regime che colpisce senza discriminazione bimbi e civili è un regime criminale e bisogna continuare a combatterlo».
«La Francia condanna con la massima fermezza gli attacchi deliberati della Russia su tutto il territorio ucraino e contro i civili, che rappresentano un profondo cambiamento nella natura della guerra», ha affermato dal canto suo l’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, mentre il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato di «attacchi orrendi».
«L’Italia è inorridita dai vili attacchi missilistici che hanno colpito il centro di Kiev e altre città ucraine. Ribadiamo il fermo e convinto sostegno all’Ucraina ed esprimiamo al contempo piena condanna e massima indignazione per un gesto che aggrava le responsabilità russe nel contesto della sua ingiustificabile aggressione», ha dichiarato la Farnesina, mentre il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta «scioccata e sconvolta dai feroci attacchi russi». Parole di condanna sono arrivate anche dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha parlato di «escalation inaccettabile della guerra».
In tutto questo, la Germania ha convocato per oggi una riunione urgente del G7, a cui è stato invitato anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il quale ha reso noto ieri di aver incontrato l’ambasciatrice americana in Ucraina, Bridget Brink, e di aver avuto anche una conversazione telefonica con la premier britannica, Liz Truss. «L’odierno bombardamento russo di città e civili ucraini è un atto di barbarie e un crimine di guerra. La Russia non può vincere questa guerra. Siamo con te, Ucraina!», ha twittato il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau. «È un’escalation inaccettabile», ha invece dichiarato il primo ministro belga, Alexander De Croo. Ieri si è anche tenuta una telefonata tra Jens Stoltenberg e il presidente polacco, Andrzej Duda. «La Russia continua la sua aggressione non provocata contro una nazione sovrana indipendente. Manteniamo la rotta», ha affermato il segretario generale della Nato.
Parole contro la guerra sono state pronunciate ieri anche da papa Francesco, parlando ai partecipanti al pellegrinaggio di giovani dal Belgio. «Stiamo attraversando momenti difficili per l’umanità, che è in grande pericolo. Pertanto vi dico, siate artigiani di pace intorno a voi e dentro di voi; ambasciatori di pace, affinché il mondo riscopra la bellezza dell’amore, del vivere insieme, della fraternità, della solidarietà», ha dichiarato il Pontefice.
Se dall’Occidente sono arrivate ferme condanne, Cina e India hanno mantenuto una posizione meno netta. «Speriamo che la situazione si allenti al più presto», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, invocando una de-escalation. «Pechino sostiene sempre che la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi dovrebbero essere rispettate e che le legittime preoccupazioni per la sicurezza dovrebbero essere prese sul serio», ha proseguito. «Ribadiamo che l’escalation delle ostilità non è nell’interesse di nessuno. Sollecitiamo l’immediata cessazione delle ostilità e il ritorno urgente sulla via della diplomazia e del dialogo», ha invece dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Arindam Bagchi. Ricordiamo che finora, pur a fronte di qualche attrito, Pechino e Nuova Delhi non hanno assunto delle posizioni troppo severe nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.
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Colpite la capitale, Dnipro, Odessa e altre città per un bilancio provvisorio di 11 morti. Gli invasi accusano anche Minsk. E Aleksandr Lukashenko si allinea a Mosca: «Forza comune». Kiev ferma l’export di elettricità verso l’Ue.Il Cremlino paragona i nemici alle organizzazioni terroristiche. Esulta il falco ceceno Ramzan Kadyrov: «Il presidente ucraino fugga». Recep Tayyip Erdogan intanto media lontano dai riflettori.Condanne da tutto l’Occidente. Joe Biden: «Attacchi brutali». L’India invita al dialogo.Lo speciale contiene tre articoli.A 72 ore dall’attacco al ponte di Kerch è scattata puntualmente la vendetta russa. Ieri mattina l’esercito di Mosca ha colpito diverse città in tutta l’Ucraina e secondo quanto riportato dai media locali e internazionali ci sono state almeno cinque esplosioni a Kiev (la prima volta da giugno) ma non solo, attacchi anche a Dnipro, Odessa, Mykolaiv, Khmelnytski, Zhytomyr, Leopolie e Sloviansk. Secondo il viceministro della Difesa ucraina, Hanna Maliar, citata dal Kyiv Independent: «Le forze russe hanno lanciato oltre 83 missili (43 quelli intercettati) e usato ben 17 droni iraniani partiti dalle regioni del Mar Caspio e da Nizhny Novgorod». A proposito di questi ultimi lo Stato maggiore dell’esercito ucraino ritiene che siano partiti anche dalla Bielorussia. Mentre scriviamo il bilancio degli attacchi è ancora provvisorio, tuttavia, le prime stime parlano di undici persone uccise e sarebbero almeno 64 quelle ferite. Il bilancio più grave è a Kiev, dove secondo le autorità cittadine nel quartiere di Shevchenkivskyi sono rimaste uccise otto persone, mentre alcuni nostri lettori ucraini che vivono in Italia ci segnalano di non avere più notizie da congiunti che si trovavano nella zona dell’università della Capitale. Nell’attacco a Kiev è stato colpito anche il ponte Klitschko, posto sulla riva destra del fiume Dnepr, una struttura pedonale nel centro della Capitale ucraina, ideale per le passeggiate. Gli abitanti della città l’hanno così soprannominato in onore dell’attuale sindaco, Vitali Klitschko. E tra di loro, come ha raccontato Repubblica raccogliendo i commenti sul campo, non manca chi critica la linea del proprio Paese: «Perché abbiamo fatto saltare il ponte della Crimea?».La città di Leopoli, fino a oggi in gran parte risparmiata dai combattimenti, è stata pesantemente bombardata come ha confermato su Telegram il governatore regionale, Maxime Kozitskiï: «Dopo gli attacchi sono stati registrati blackout nella regione di Leopoli», poi ha invitato i cittadini residenti «a rimanere nei rifugi di fronte alla minaccia di ulteriori attacchi». Attacco missilistico anche a Zaporizhzhia dove un palazzo è stato colpito, come ha reso noto Anatoly Kurtev, segretario del Consiglio comunale della città: «Questa notte, i terroristi russi hanno ancora una volta tolto la vita a un civile. Alle 6 del mattino il bilancio era di un morto. Altre cinque persone sono rimaste ferite. Tra i feriti c’è un bambino che ha riportato tagli da frammenti di vetro». E dopo aver finito la conta dei danni, Kiev ha annunciato l’interruzione dell’esportazione di elettricità verso l’Europa.Paura anche in Moldavia, che ha denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte dei missili russi lanciati contro le diverse città dell’Ucraina. Il ministero della Difesa di Mosca, citato dall’agenzia di stampa Interfax, in una nota ha detto che «le forze armate russe hanno colpito tutti gli obiettivi che si erano prefissati». Ieri, mentre erano in corso gli attacchi, il presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, prima ha accusato Kiev «di preparare un attacco contro la Bielorussia», poi ha convocato una riunione urgente con i vertici delle forze armate e della sicurezza di Minsk. In seguito, è arrivata la comunicazione citata dalla Ria Novosti nella quale si è ufficializzato il fatto che russi e bielorussi «hanno deciso di schierare un gruppo regionale congiunto di truppe. In relazione all’aggravamento della situazione ai confini occidentali dello Stato dell’Unione, abbiamo deciso di schierare un raggruppamento regionale della Federazione russa e della Repubblica di Bielorussia». In precedenza, Lukashenko aveva addirittura accusato la Nato e altri Paesi europei: «Stanno valutando la possibilità di lanciare un’aggressione contro la Bielorussia. In Occidente c’è la convinzione diffusa che l’esercito bielorusso parteciperà in modo diretto all’operazione militare speciale sul territorio dell’Ucraina. Dopo aver creduto a queste teorie, la leadership politico militare dell’Alleanza atlantica e un certo numero di Paesi europei stanno valutando una possibile aggressione contro il nostro Paese, fino all’attacco nucleare». Tornando al campo di battaglia cosa sta succedendo e come sta procedendo la mobilitazione russa? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni: «L’esercito russo è in grandissima difficoltà sul terreno e credo che le nostre analisi debbano essere sostenute, in questo momento, da qualche dato effettivo di riscontro, ancorché drammatico, per poter pienamente valutare la gravità della situazione. Alla vigilia dell’invasione l’esercito russo era in grado di esprimere una forza terrestre operativa reale di poco meno di 200.000 soldati attivi e regolarmente addestrati, e la forza d’invasione russa era costituita da circa 190.000 uomini. Le stime sulle perdite parlano di più di 50.000 tra morti, feriti e dispersi, senza contare le defezioni. Si è già superato abbondantemente il limite oltre il quale ogni esercito dovrebbe fermarsi». Infine, la Germania ha consegnato ieri il primo di quattro sistemi missilistici aria-aria Iris-T Slm all’Ucraina. 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Ad alzare ulteriormente la tensione ci ha pensato, nel frattempo, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev. «Il primo attacco è stato sferrato, ce ne saranno altri», ha dichiarato, per poi aggiungere: «Dal mio punto di vista, l’obiettivo deve essere lo smantellamento totale del regime politico in Ucraina». Dello stesso tenore sono state le dichiarazioni del leader ceceno, Ramzan Kadyrov. «Ora sono soddisfatto al 100 per cento del modo in cui l’operazione militare speciale si sta conducendo», ha scritto su Telegram, per poi aggiungere minacciosamente: «Ti avevamo avvertito, Volodymyr Zelensky, che la Russia non aveva ancora iniziato. Smettila di lamentarti come una feccia. È meglio che scappi prima di essere colpito. Scappa. Scappa, Zelensky, scappa senza guardare l’Occidente». Ricordiamo che Kadyrov aveva di recente criticato apertamente i vertici militari russi: queste sue nuove dichiarazioni evidenziano quindi che l’ala dei falchi (di cui il leader ceceno è un esponente) si sta ulteriormente rafforzando a Mosca. Frattanto, il ministero della Difesa russo ha dichiarato di aver colpito «tutti gli obiettivi designati» nei nuovi attacchi missilistici contro l’Ucraina. In tutto questo, mentre la tensione sale, Recep Tayyip Erdogan sta cercando di intestarsi nuovamente il ruolo di mediatore. Parrebbe, in particolare, che il presidente turco stia cercando di organizzare dei colloqui tra Mosca, Washington, Londra, Parigi e Berlino. Ieri tuttavia il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo quanto riferito dalla Tass, ha smentito di aver (almeno per ora) ricevuto una «proposta specifica» in tal senso. Reuters ha comunque riferito che Putin ed Erdogan potrebbero incontrarsi questa settimana in Kazakistan e che, nell’occasione, potrebbero discutere sulla possibilità di questi colloqui. Va forse anche sottolineato che, al di là della crisi ucraina, Usa, Russia, Francia, Germania e Gran Bretagna sono tutti coinvolti nel tentativo di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Non è quindi escluso che questo dossier possa fare capolino. Ricordiamo che Teheran intrattiene stretti legami politici, economici ed energetici con Mosca e che, secondo l’Occidente, sta fornendo droni militari ai russi: un’accusa che ieri è stata respinta dal ministro degli esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vendetta-putin-puntuale-missili-ucraina-2658423074.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="berlino-convoca-un-g7-con-zelensky-pechino-frena-ora-de-escalation" data-post-id="2658423074" data-published-at="1665470066" data-use-pagination="False"> Berlino convoca un G7 con Zelensky. Pechino frena: «Ora de-escalation» Gli attacchi russi di ieri contro l’Ucraina hanno scatenato ferme condanne dall’Occidente. Di «atrocità e crimini di guerra» ha parlato Joe Biden, che ha anche assicurato «il supporto necessario alle forze ucraine per difendere il loro Paese e la loro libertà». Tutto questo, mentre il presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, ha dichiarato: «Un regime che colpisce senza discriminazione bimbi e civili è un regime criminale e bisogna continuare a combatterlo». «La Francia condanna con la massima fermezza gli attacchi deliberati della Russia su tutto il territorio ucraino e contro i civili, che rappresentano un profondo cambiamento nella natura della guerra», ha affermato dal canto suo l’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, mentre il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato di «attacchi orrendi». «L’Italia è inorridita dai vili attacchi missilistici che hanno colpito il centro di Kiev e altre città ucraine. Ribadiamo il fermo e convinto sostegno all’Ucraina ed esprimiamo al contempo piena condanna e massima indignazione per un gesto che aggrava le responsabilità russe nel contesto della sua ingiustificabile aggressione», ha dichiarato la Farnesina, mentre il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta «scioccata e sconvolta dai feroci attacchi russi». Parole di condanna sono arrivate anche dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha parlato di «escalation inaccettabile della guerra». In tutto questo, la Germania ha convocato per oggi una riunione urgente del G7, a cui è stato invitato anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il quale ha reso noto ieri di aver incontrato l’ambasciatrice americana in Ucraina, Bridget Brink, e di aver avuto anche una conversazione telefonica con la premier britannica, Liz Truss. «L’odierno bombardamento russo di città e civili ucraini è un atto di barbarie e un crimine di guerra. La Russia non può vincere questa guerra. Siamo con te, Ucraina!», ha twittato il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau. «È un’escalation inaccettabile», ha invece dichiarato il primo ministro belga, Alexander De Croo. Ieri si è anche tenuta una telefonata tra Jens Stoltenberg e il presidente polacco, Andrzej Duda. «La Russia continua la sua aggressione non provocata contro una nazione sovrana indipendente. Manteniamo la rotta», ha affermato il segretario generale della Nato. Parole contro la guerra sono state pronunciate ieri anche da papa Francesco, parlando ai partecipanti al pellegrinaggio di giovani dal Belgio. «Stiamo attraversando momenti difficili per l’umanità, che è in grande pericolo. Pertanto vi dico, siate artigiani di pace intorno a voi e dentro di voi; ambasciatori di pace, affinché il mondo riscopra la bellezza dell’amore, del vivere insieme, della fraternità, della solidarietà», ha dichiarato il Pontefice. Se dall’Occidente sono arrivate ferme condanne, Cina e India hanno mantenuto una posizione meno netta. «Speriamo che la situazione si allenti al più presto», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, invocando una de-escalation. «Pechino sostiene sempre che la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi dovrebbero essere rispettate e che le legittime preoccupazioni per la sicurezza dovrebbero essere prese sul serio», ha proseguito. «Ribadiamo che l’escalation delle ostilità non è nell’interesse di nessuno. Sollecitiamo l’immediata cessazione delle ostilità e il ritorno urgente sulla via della diplomazia e del dialogo», ha invece dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Arindam Bagchi. Ricordiamo che finora, pur a fronte di qualche attrito, Pechino e Nuova Delhi non hanno assunto delle posizioni troppo severe nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.
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Prima di essere lapidati da musicofili inflessibili o da fanatici ammiratori di Beethoven (lo siamo anche noi) lasciamo allo stesso Ludwig Vchean l’ultima parola sull’argomento: «Solo i puri di cuore», affermò il genio tedesco, «possono cucinare una buona zuppa». Capito? Il sommo compositore a tavola amava i piatti semplici e disprezzava quelli troppo complicati. Adorava la zuppa, soprattutto quella di pane e uova: era il suo piatto preferito insieme ai maccheroni con il formaggio. Era sordo, ma le papille gustative gli funzionavano alla grande.
Una vera e propria zuppa di verdure musicale la serve al pubblico un gruppo austriaco formato da musicisti, designer, scenografi, autori. Si chiama The Vegetable Orchestra, che usa le verdure come strumenti musicali: una carota intagliata in una certa maniera diventa un flauto, la zucca uno strumento di percussione, le melanzane diventano dopo un sapiente lavoro di intaglio delle nacchere, le zucchine strumenti a fiato e così via. Con questi strumenti suonano pezzi di jazz o di dub, un genere musicale che deriva dal reggae giamaicano, e altra musica. Finito il concerto, dopo gli applausi del pubblico stupito da tanta musica «verde», i musicisti si trasformano in cuochi, gettano gli strumenti in pentoloni e preparano una bella zuppa per il pubblico dopo aver lavato gli strumenti, soprattutto quelli a fiato.
La zuppa vanta una storia vecchia come l’homo sapiens. Fu uno dei primi piatti elaborati dai nostri cavernicoli progenitori centinaia di migliaia di anni fa. Gli studiosi del periodo paleolitico ci documentano che la scoperta dell’acqua calda e il suo impiego per cuocere verdure e altri cibi avvenne nell’età della pietra antica, in incavi di roccia pieni d’acqua nella quale gli uomini primitivi tuffavano pietre roventi per farla bollire. Fu così che nacquero i primi minestroni. La parola «zuppa» arriverà molti millenni dopo, ma sempre in tempi molto antichi rispetto a noi, mutuata dal termine germanico suppa che definiva la fetta di pane inzuppata. Il pane era nell’antichità il cucchiaio dei poveri, le dita della mano la forchetta. La «posateria» delle classi più umili era tutta lì. Una sorta di brodaglia nera molto spartana chiamata melas zomos, nera zuppa, fatta con sangue di porco, budella e vino era la zuppa dei duri soldati di Sparta. A loro, che non cercavano mollezze, piaceva così, brutta da vedere ma semplice e nutriente, adatta a sostenere il fisico durante le campagne militari. Spostandoci in altre parti dell’antica penisola ellenica troviamo una cucina meno rigorosa, ma sempre con un menu nel quale zuppe e piatti brodosi a base di verdure, cereali, erbe spontanee e legumi vari, abbondavano.
Cotture e metodi a parte, quelle preparazioni sono le bis-bis-bisnonne delle zuppe che mangiamo noi oggi fatte, come allora, con cereali tipo orzo e farro, o con legumi, ceci, lenticchie, fave. Borlotti e cannellini erano al di là dell’Atlantico che aspettavano di essere scoperti. Il Phaseolus vulgaris arriverà dopo i viaggi di Colombo e degli altri viaggiatori su caravelle dirette verso il Nuovo mondo. Dalla Grecia a Roma le zuppe sostanzialmente non cambiano: erano piatti che facevano parte della dieta quotidiana dei Romani. Fonti di proteine e nutrienti, erano il comfort food delle classi plebee e dei contadini. Tra le altre zuppe, i legionari amavano quella fatta con pane, aglio, olio e aceto. Furono loro a introdurla in Spagna dove si evolverà fino a diventare il moderno gazpacho, zuppa fredda che si arricchì dal Cinquecento in poi con il pomodoro e i peperoni venuti dall’America.
Una zuppa leggendaria è la soupe à la pavoise, la zuppa pavese, che ha trovato posto nei libri di storia gastronomica dove si racconta di Francesco I di Valois, re di Francia sconfitto e fatto prigioniero dagli spagnoli di Carlo V nella battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525. L’accasciato François du grand nez, come lo chiamavano i suoi sudditi per via del nasone che gli troneggiava sopra la bocca, fu portato dai nemici vincitori in un cascinale di campagna dove trovò ristoro e consolazione nella povera zuppa preparatogli dalla contadina del casolare che mise in una rozza scodella due croste di pane raffermo sopra le quali scocciò un uovo versando poi sul tutto il brodo bollente di erbe spontanee che gorgogliava quotidianamente nella marmitta sul camino. Francesco I, con il morale a terra per la sconfitta («Tutto è perduto fuorché l’onore»), apprezzò talmente quella zuppa villana che quando ritornò sul trono convocò i cuochi di corte insegnando loro la ricetta della zuppa pavese che fu perfezionata dagli chef i quali aggiunsero altri ingredienti ricchi elevandola da contadina che era ad aristocratica.
C’è da dire che la zuppa in Francia troverà il successo che merita grazie a una figura più leggendaria che reale, tale Monsieur Boulanger marchand de bouillon, mercante di brodo. Siamo a Parigi 25 anni prima della presa della Bastiglia e dello scoppio della rivoluzione. Il mitico Boulanger vende zuppe restaurateurs, restauratrici, che sistemano lo stomaco dei clienti cagionevoli rimettendoli in salute in un ambiente tutto sommato comodo con i tavoli accoglienti. Nasce da queste zuppe il restaurant, il ristorante che prende il nome dal ristoro, il conforto, che regalano le zuppe. Dando ragione in questo all’antico e saggio proverbio italiano regalatoci dalla civiltà contadina fin dal Medioevo: «Sette cose fa la zuppa: cava la fame e la sete tutta, empie il ventre, netta il dente, fa dormire, fa smaltire e la guancia fa arrossire».
Il più alto riconoscimento a questo piatto umile ma tanto utile alla sopravvivenza della povera umanità, lo firmano, tra gli altri, alcuni grandi artisti moderni: Paul Cézanne con la sua Natura morta con zuppiera (1884), Pablo Picasso che affronta il tema della povertà ne La zuppa, opera del periodo blu che mostra una vecchia paurosamente magra che porge una scodella di zuppa a una bambina, ma soprattutto Andy Warhol. Il re della Pop art che confessò di aver mangiato a pranzo per vent’anni i barattoloni di zuppa Campbell’s rivoluzionò i concetti di natura morta e di bellezza immortalando le stesse lattine zuppesche in una serie di opere seriali la più importante delle quali è la Campbell’s Soup Cans che presenta tutta la produzione di zuppe della Cambell’s: al pomodoro, agli asparagi, alla carne, al pollo, ai fagioli neri, e così via per 200 volte. Paradossalmente a dare importanza alla zuppa nell’arte sono stati anche le attiviste per il clima che il 28 gennaio dello scorso anno lanciarono la zuppa contro la Gioconda di Leonardo, ben protetta dal vetro antiguai, invocando un’agricoltura mondiale sana.
È profondamente ingiusto nei confronti della zuppa il detto «Se non è zuppa è pan bagnato». Come sopra detto la zuppa è salvifica, ristoratrice, ristoro e medicina attraverso i secoli dell’umanità misera. E poi la famiglia zuppesca è molto varia. Oltre alla zuppa-madre ci sono la minestra, il minestrone, la crema, la vellutata, il passato. Non sono sinonimi, ogni piatto ha la sua caratteristica che riguarda gli ingredienti e le tecniche di preparazione per le quali rimandiamo ai libri di cucina.
Concludiamo con la mistica zen. Un allievo chiede al maestro: «Cosa devo fare per raggiungere l’Illuminazione?». Gli risponde il maestro: «Hai mangiato la zuppa?» «Sì». «Allora lava la scodella».
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Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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