2024-11-20
Sul patriarcato ha ragione Valditara. Basta chiedere a psicologi ed esperti
Giuseppe Valditara (Ansa)
Il ministro è stato criticato perché non crede nella rieducazione del maschio. Ma chi studia il tema sa che il disagio nasce altrove.Se un problema continua a presentarsi nonostante tutti ribadiscano di volerlo risolvere, è evidente che le soluzioni fornite sono sbagliate. È esattamente ciò che accade con i femminicidi: da anni tutti - a destra e a sinistra - insistono sulla necessità di affrontare l’emergenza, ma a quanto pare l’emergenza permane, dunque è evidente che qualcosa non va. Purtroppo, invece di cambiare approccio di fronte all’evidenza, si continuano a ripetere slogan e formulette stantie, e si attacca ferocemente chiunque provi a sviluppare una visione appena differente. Ieri, ad esempio, gli eserciti della banalità si sono scatenati contro Giuseppe Valditara, colpevole di non aver recitato a memoria la litania sul femminicidio figlio del patriarcato. Anche il segretario dem, Elly Schlein, ha voluto aggrapparsi al caso per attaccare il governo, dicendo: «Il patriarcato non esiste solo agli occhi di ha il privilegio di non vederlo. Strumentalizzare anche questo tema non sta portando agli strumenti che servono». Ad ogni modo, il ministro - con una certa faccia tosta - è intervenuto alla presentazione della fondazione dedicata a Giulia Cecchettin e ha proferito alcune frasi a cui ieri i suoi detrattori lo hanno crocifisso. Poco male, fa parte del gioco politico. Il punto è: Valditara ha molte ragioni che meriterebbero d’essere ascoltate e indagate se davvero si volesse tentare un salto di qualità nel contrasto alla violenza sulle donne. Partiamo dalle parole più brutalmente contestate. Il ministro dell’Istruzione ha dichiarato che «occorre non far finta di vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegale». Qualcuno, mistificando, ha confuso i dati sugli omicidi di donne con quelli sulle violenze, ma si tratta di questioni differenti. Le aggressioni sessuali sono un cosiddetto reato spia e stando ai dati forniti dal Sole 24 Ore alla fine dello scorso anno, sono effettivamente in crescita da tempo (anche se pare che nel 2023 si sia registrato un leggero calo, vedremo col tempo se confermato). I numeri più affidabili, per ora, mostrano che «per le violenze sessuali si rileva un importante aumento, pari al 40% (4.488 casi nel 2013 a fronte dei 6.291 nel 2022)». Come sempre accade, non appena viene tirata in ballo la provenienza degli autori dei reati, scatta il riflesso condizionato e tutti gridano che a delinquere di più sono sempre gli italiani. Secondo alcune stime - tipo quelle riportate ieri dall’Huffington Post - «la percentuale di autori italiani si attesta al 72% nel 2023, 28% sono gli autori stranieri. Questo vuol dire che tre quarti degli autori di reati sono italiani. Ed è una percentuale più o meno stabile da un anno all'altro». Dunque poco meno del 30% delle violenze è commesso da stranieri: contando che questi ultimi sono circa l’8,7% della popolazione, non c’è bisogno di una laurea per capire che un problema esiste eccome. E forse sarebbe il caso di prenderlo di petto, o almeno di provarci. Ma evidentemente non è concesso, perché parlare di crimini degli stranieri pare non sia ammissibile. Se ci si concentrasse un attimo di più sulla questione, per altro, si scoprirebbe che un gran numero di reati violenti sono commessi da stranieri comunitari, in particolare romeni: una evidenza che sbriciola le opposte narrazioni. Veniamo adesso agli omicidi. Qui la faccenda si complica, perché non esistono dati chiari e manca una definizione condivisa di femminicidio. Se per femminicidio si intende la violenza contro la donna in quanto donna (così la Treccani) diviene difficile farsi una idea corretta. Se si utilizzano metri differenti e si considerano le uccisioni commesse da partner, conoscenti e molestatori assidui, la situazione italiana rimane comunque vaga, perché mancano informazioni rilevanti. In ogni caso, possiamo fare riferimento ai dati citati più di frequente che si fermano al 2021 e mostrano che i femminicidi sono stati «in totale 104, considerando: 70 donne uccise da un partner o ex partner; 30 donne uccise da un altro parente; e quattro uccise da “conoscenti in ambito affettivo o relazionale”. Nel 2019 il numero era stato pari a 101 e nel 2020 a 106». Possiamo dunque affermare che gli omicidi di donne stanno diminuendo da tempo (come del resto quelli di uomini), ma i femminicidi sono più o meno stabili. Come spiegare questo fenomeno? La versione dominante sostiene che sia colpa del patriarcato, e che si renda di conseguenza necessaria una profonda rieducazione dei maschi in senso femminista. Valditara, a riguardo, afferma che «in genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo. E la visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato».Sull’argomento, negli ultimi tempi, si sono cimentati alcuni dei più valenti filosofi, psicologi e psicoanalisti italiani, personalità non certo assimilabili alle orde sovranista e populiste. Massimo Cacciato, Luigi Zoja, Claudio Risé, persino per certi versi Massimo Recalcati hanno spiegato che il patriarcato è defunto da anni, e che le cause del disagio e della violenza vanno ricercate altrove. Secondo Valditara il femminicidio «una volta era frutto di una concezione proprietaria della donna, in specie in famiglia una concezione proprietaria della moglie. Oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare i “no”». Ora dite: che cosa c’è di sconvolgente o offensivo in questa tesi? In che modo essa sarebbe insultante per le donne? Il ministro ha messo l’accento su un dramma reale, per altro indagato da una pletora di studiosi, e ha sostenuto la necessità di una importante «battaglia culturale» utile a contrastare le tendenze nichilistiche e distruttive del nostro tempo. Certo, non è affatto detto che al punto in cui siamo sia possibile invertire la rotta, ma di sicuro continuare a insistere sul patriarcato e la demolizione della mascolinità non sta portando risultati apprezzabili. Ma mettiamo pure che le neo femministe abbiano ragione, e che sia necessario smontare e rimontare i maschi per renderli meno violenti. Mettiamo pure che in Italia il patriarcato esista e sia così forte e mortifero: continuando a importare giovani maschi dall’estero (da nazioni in cui il sistema patriarcale è in teoria ancora più potente) pensate che la situazione possa migliorare? Una volta che avranno rieducato tutti gli uomini italici, i progressisti si metteranno a convertire al femminismo anche gli stranieri? Ci auguriamo che succeda: pur nel contesto tragico, sarà interessante osservare i risultati con i popcorn in mano.
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