2019-06-22
Utero in affitto senza limiti in Inghilterra
Il governo lancia una consultazione per abbattere gli ultimi diritti delle madri biologiche. La riforma vorrebbe abolire la possibilità di ripensarci, eliminare ogni legame biologico e alzare i compensi alle donne. Quello dei figli venduti diventa business a tutti gli effetti.Vi sembrerà strano, ma nella Gran Bretagna dove si sopprimono i bambini malati nel loro «miglior interesse» e le adozioni gay sono legali già dal 2002, la normativa sull'utero in affitto risale alla metà degli anni Ottanta. E gli attivisti che vorrebbero la liberalizzazione di questa orrenda pratica, con la foglia di fico di conservare la surrogazione «altruistica», la considerano ormai vetusta. Perciò il governo ha lanciato una consultazione pubblica, che si è aperta lo scorso 6 giugno e si chiuderà il 27 settembre, per avviare un processo di revisione di quella legge sulla base delle indicazioni che una commissione di esperti ha sottoposto al giudizio del pubblico. Sul sito Lawcom.gov.uk si trova il testo della proposta di riforma (nella versione estesa, si tratta di un faldone di 500 pagine). Un progetto aberrante, che punta a eliminare due capisaldi della norma vigente. Due aspetti che la rendevano scarsamente appetibile per le coppie, sempre più numerose, che vogliono ricorrere all'utero in affitto (triplicate negli ultimi sette anni in Gran Bretagna).Punto primo. I «saggi» vorrebbero sottrarre alle madri biologiche il diritto di tornare sui loro passi e riconoscere i loro figli, diritto che oggi esse possono esercitare entro sei mesi dalla nascita dei bebè. La nuova legge vorrebbe consentire agli «acquirenti» di registrare il bambino automaticamente alla nascita, concedendo a chi lo ha messo al mondo una finestra molto più breve per opporsi. E come si chiama questa roba? Semplice: strappare i bambini dal ventre delle mamme. Non a caso, nei Paesi in cui vigono accordi stringenti di surrogazione, come gli Stati Uniti, è molto difficile per la madre biologica, che magari ha imparato ad amare la creatura che porta in grembo durante la gravidanza, tornare sui suoi passi. Tanto per fare un esempio: sul suo sito, un'agenzia americana di surrogazione, Growing generations, ci tiene a spiegare che «una sentenza di genitorialità verrà emessa durante il processo di surrogazione da una Corte di giustizia o da un ente statale e porrà fine a ogni diritto della madre surrogata». Appunto, ecco lo scopo: porre fine a ogni diritto delle mamme. In pratica, le donne non devono rivendicare un'ovvietà: che quei figli sono i loro. È qui che vogliono arrivare i legislatori britannici. La scusa è evitare che gli aspiranti genitori si rivolgano a strutture estere. E non è questione di sovranismo, ovviamente, ma di guadagno: perché regalare agli stranieri un business che si può condurre fruttuosamente in patria?Punto secondo. La proposta di riforma mira a eliminare il requisito in base al quale chi «affitta» l'utero della gestante deve avere con quest'ultima qualche legame biologico. Dunque, porte spalancate al mercimonio dei bambini, anche se la nuova legge dovrebbe conservare il divieto di esercitare attività di mediazione. Ossia, non vuole lasciare che sorgano delle vere e proprie agenzie di madri in affitto, come è successo Oltreoceano, con tanto di cataloghi e profili biografici e professionali delle offerenti.Il fatto è che la commissione per la riforma vorrebbe che fosse ridiscusso anche il tariffario, alla luce dei costi che la madre surrogata è chiamata a sostenere. Per ora, infatti, in Gran Bretagna è lecito solo un rimborso spese. E le cifre si aggirano tra le 12.000 e le 15.000 sterline. Ma visto che non sarebbe più necessario intrattenere alcun legame con le gestanti, non ci vuole molto a capire in quanti modi si potrà aggirare la logica del rimborso, per trasformare l'utero in affitto in una fonte di guadagno (o magari di sostentamento, per le donne più povere).Com'è avvenuto anche altrove (Italia inclusa, si veda la vicenda Cgil), a opporsi al tentativo di liberalizzare la maternità surrogata in Gran Bretagna, sono state le femministe. Giorni fa, sul Guardian, un pezzo di Catherine Bennett aveva già sottolineato che i membri della commissione giuridica, «incaricati di modernizzare la legge, sono tutti maschi». Per cui, non c'è possibilità che costoro «capiscano cosa si prova a portare nel grembo un bambino, a subire questo sconvolgimento fisico che consuma integralmente, a dare la vita e poi a coesistere con gli irreversibili postumi fisici, o che essi giungano a un compromesso nel valutare se la surrogazione sia un'industria di genere, che il Paese è moralmente legittimato a incoraggiare». E nel contesto delle discussioni sulla consultazione pubblica, ci sono state anche femministe che hanno definito questa riforma un tentativo di introdurre un «patriarcato 2.0». Su Newstatesman, a tal proposito, si legge che «i cambiamenti proposti potrebbero indurre a sfruttare le pressioni economiche e a limitare il periodo di tempo entro cui queste donne sono autorizzate a cambiare idea». D'altronde, pare che anche l'ideatrice della normativa vigente, Mary Warnock, in tarda età avesse maturato un qualche pentimento. Anche stavolta arriverà qualcuno a dire che essere strappato dalle braccia di sua mamma tutela il «miglior interesse» del bambino comprato?
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