2024-07-10
L’utero in affitto fa male alle mamme: «Hanno più problemi gravi di salute»
Secondo lo studio su quasi un milione di parti, la surrogata causa il triplo di emorragie e di casi di ipertensione rispetto ai concepimenti naturali o alla pma. «Zero rischi» per i piccoli ma solo perché non si investiga a fondo.Passa la legge pugliese sull’omotransfobia: corsi arcobaleno per studenti e famiglie.Lo speciale contiene due articoli.Le madri surrogate hanno un rischio tre volte più elevato di complicanze materne gravi rispetto alle donne che hanno avuto una gravidanza naturale. È il dato principale di uno studio canadese presentato al meeting annuale della Società europea di riproduzione umana (Eshire) in corso ad Amsterdam.A pochi giorni dal via libera della commissione Giustizia del Senato al ddl che introduce il reato universale di maternità surrogata, la pratica dell’utero in affitto che, per il politicamente corretto, è la gestazione per altri, non è quindi solo un problema etico e politico, ma anche di salute vera e propria per la madre e forse anche per il nascituro. Ma andiamo con ordine.Lo studio, pubblicato in Human reproduction, rivista di riferimento per il settore, ha analizzato 937.938 nascite singole in Ontario, Canada, tra il 2012 e il 2021, confrontando i risultati tra concepimenti non assistiti, in vitro (Ivf) e maternità surrogata. I numeri sono chiari. Le madri surrogate hanno un tasso di morbilità materna grave, quindi complicanze che possono essere anche fatali, del 7,1%, rispetto al 2,4% di quelle che hanno concepito naturalmente e al 4,6% delle madri che hanno ricorso alla fertilizzazione in vitro (Ivf). Nel dettaglio, tra queste donne che portano avanti gravidanze di bambini geneticamente estranei, i tassi di emorragie post partum erano del 13,9%, rispetto al 5,7% dei concepimenti naturalmente e al 10,5% di quelli con Ivf. Anche l’ipertensione, il problema medico più comune in gravidanza, ha colpito le madri surrogate a un tasso del 13,9%, rispetto al 6,6% delle donne che hanno avuto una gravidanza naturale e all’11,6% di coloro che hanno ricorso all’Ivf.Particolarmente interessante quanto riportato dall’autrice dello studio, Marina Ivanova, della Queen’s University di Kingston, ovvero che tra i «diversi potenziali meccanismi che potrebbero spiegare l’aumento del rischio di grave morbilità materna tra le portatrici gestazionali», elenca «differenze nella salute di base o nelle caratteristiche sociodemografiche di coloro che scelgono di diventare madri surrogate, potenziali differenze nell’assistenza e nel monitoraggio prenatale, l’impatto fisiologico e psicologico associato alla gravidanza di un’altra persona, nonché gli effetti dei trattamenti utilizzati durante il processo di fecondazione. Queste donne avevano anche meno probabilità di appartenere alla fascia di reddito più alta e sappiamo che uno status socioeconomico inferiore è associato a tassi di morbilità materna grave più elevati. Tuttavia, nell’analisi sono state prese in considerazione le caratteristiche sociodemografiche e i risultati erano simili, il che suggerisce potenziali meccanismi diversi». Anche gli studi clinici confermano che, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori di questa pratica, a portare avanti una gestazione per coppie, soprattutto omosessuali, non sono facoltose e disinteressate signore dell’alta società ma, piuttosto, donne che, sulla base di contratti commerciali, si sottopongono a cure ormonali, effetti collaterali compresi, e affittano il proprio utero rischiando, a loro insaputa, più delle mamme che non ricorrono a pratiche di procreazione medicalmente assistita.Alla luce di questi dati, ci si potrebbe aspettare qualche ripensamento, un punto di domanda. Niente di tutto ciò, anzi. L’autrice si affretta, invece, a segnalare di essersi «sorpresa» che, nonostante l’elevato rischio di grave morbilità materna e di esiti avversi della gravidanza, non si sia riscontrato «alcun aumento significativo della grave morbilità neonatale rispetto ai concepimenti non assistiti». Gravi problemi di salute erano presenti rispettivamente nel 6,5%, 6% e 9,1% dei neonati di madri surrogate, con procreazione naturale e assistita. «Anche se le madri surrogate sperimentano più complicazioni», sottolinea Ivanova, «queste non portano necessariamente a risultati peggiori per i neonati, il che è un risultato positivo. Al contrario, tra le donne della popolazione generale, la grave morbilità materna è associata a un rischio più elevato di grave morbilità neonatale. Questa differenza merita quindi ulteriori indagini».Certo, sopratutto se consideriamo che i dati relativi ai neonati si riferiscono a quelli registrati fino a 28 giorni di età. E qui si apre un’altra questione su cui però, curiosamente, non ci sono dati definitivi e nessuno nemmeno pare interessato a cercarli, forse per non turbare il business. Da anni, per dimostrare che la maternità surrogata non danneggia i bambini, si cita uno studio del 2020 di Susan Golombok, ex direttrice del Centre for family research dell’Università di Cambridge, che ha seguito dal punto di vista del benessere psicologico, fino ai 14 anni, un campione originario di 42 bambini nati da surrogata, ma che si sono ridotti a soli 28. Da notare che la valutazione era fornita dalla madre.Un po’ pochino, visto che mancano anche dati a lungo termine sulla salute fisica. Eppure questa è anche l’unica ricerca sul benessere psicologico dei bambini che i legislatori di New York hanno utilizzato per sostenere la legalizzazione della maternità surrogata su base commerciale. C’è una grande differenza tra nessun danno e nessun danno noto, ma questo sembra poco importante, anche alla scienza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/utero-affitto-danni-2668721453.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-regno-di-emiliano-approva-il-suo-ddl-zan" data-post-id="2668721453" data-published-at="1720610717" data-use-pagination="False"> Il regno di Emiliano approva il suo ddl Zan A Michele Emiliano l’autonomia fa così schifo che ai pugliesi la somministra in dosi massicce. Sui porti, sulle relazioni con i cinesi, sui vaccini per gli operatori sanitari. E adesso persino sui temi etici. Ieri, il suo Consiglio regionale è riuscito ad approvare, dopo un percorso a ostacoli durato nove anni, la controversa legge contro l’omotransfobia che ha, come primi firmatari, i piddini Donato Metallo e Francesco Paolicelli. La Puglia, in questo modo, sorpassa ancora una volta Roma. Rigorosamente a sinistra. Quello degli attivisti per i presunti diritti è un vasto programma che immediatamente contamina il proposito di contrastare le discriminazioni con il tentativo di imporre l’ideologia arcobaleno. La norma, infatti, blinda la nozione di «identità di genere», cioè l’idea che il sesso sia un mero dato biologico, mentre il gender un elemento culturale e personale, modellabile a piacimento. Soprattutto, il testo diventa lo strumento perfetto per introdurre il lavaggio del cervello in scuole e atenei, mascherandolo da difesa delle diversità. Alessandro Zan, al quale non riuscì il blitz in Parlamento, sarà orgoglioso. Non solo le presunte minoranze oggetto di vessazioni godranno di percorsi di inserimento lavorativo e riqualificazione professionale, ma insegnanti e persino genitori verranno caldamente invitati a seguire corsi di formazione a sfondo Lgbt. Beninteso, sotto la nobile etichetta della lotta al cyberbullismo motivato dall’orientamento sessuale. Dalla nota del Consiglio regionale pugliese si apprende, poi, che la legge «prevede altresì interventi a favore degli studenti e delle studentesse in ambito universitario». Toccherà che qualcuno si metta a protestare lo stesso: dai commendevoli progetti sono stati esclusi gli «student*»... Nel mirino del Leviatano barese finiranno pure le famiglie, rese oggetto di interventi di consulenza e percorsi di formazione. A Emiliano, il Grande fratello orwelliano può giusto infornare i taralli. La Puglia non dovrà partorire più figli discoli come Antonio Cassano, l’uomo (si può dire uomo?) che liquidò con disprezzo i gay della Nazionale di calcio: «Sono froci? Problemi loro». L’Emilianistan coinvolgerà anche il Corecom: l’autorità vigilerà sui contenuti dei programmi tv e radio, garantendo adeguati spazi di informazione ed espressione sui temi oggetto della legge. Le quote arcobaleno a Telenorba e a Radio Ciccio Riccio. Farebbe ridere, se non fosse inquietante. Ma lo zelo della Regione non s’arresta qui: essa collaborerà con esperti del settore per adottare «modelli comunicativi non discriminatori». Il tutto costerà 240.000 annui, a copertura delle attività avviate già nel 2023, da proseguire, per ora, fino al 2025. Per spuntarla, la maggioranza ha dribblato i 321 emendamenti dell’opposizione, ricorrendo a un subemendamento sostitutivo dell’intera legge. Quando comanda la sinistra, la democrazia diventa ostruzionismo. A proposito di autonomia: che ne pensa il governo di impugnare la legge?
Simona Marchini (Getty Images)