Il colosso Uniqlo apre a Milano. E il «fast fashion» giapponese vale 17 miliardi

- Ha aperto stamattina, in piazza Cordusio, il primo negozio italiano del marchio nato a Hiroshima nel 1984. E il successo è immediato.
- Non solo Uniqlo: il re del fast fashion giapponese possiede otto marchi. Tutti di successo. Tadashi Yanai, patrimonio stimato a 24.8 miliardi di dollari: «In questo Paese vorrei aprire almeno 100 negozi».
- Sette capi che uniscono il made in Japan all'unicità di Milano: ecco cosa non perdersi nel nuovo store milanese.
Lo speciale contiene tre articoli.
Che Milano fosse affascinata dal Giappone non era certo un mistero. Ristoranti di sushi, aperture di bistrot di cucina autentica nipponica che si rincorrono per tutte le vie della città, negozi che ricordano un po' i kombini (i negozi aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7) che spopolano a Tokyo, addirittura un megastore con tanto di mostre ed eventi ad hoc a due passi dai Navigli e marimo (le alghette a forma di palla porta fortuna) che ormai sono così di moda da risultare - nella loro bruttezza estetica - quasi piacevoli anche a chi non conosce niente di Oriente.
A due passi da piazza Duomo, e più precisamente in piazza Cordusio, c'è un motivo in più per immergersi nell'atmosfera tokyota. Uniqlo, il colosso dei moda creato da Tadashi Yanai, dopo anni di tentennamenti sbarca finalmente in Italia. Per il suo primo negozio nel nostro Paese la scelta è ricaduta su Milano. Tre piani in cui la cultura giapponese si fonde con quella meneghina. A colpire, oltre alla grande scala bianca che accompagna i visitatori dello store, è il mica video wall su cui vengono trasmesse a ripetizione alcune delle aree più belle di Tokyo. Tra le immagini scelte ci sono quelle del Senso-ji, il tempio buddhista più antico della città, illuminato di notte con la sua pagoda a cinque piani, ma anche il fiume Sumida durante l'hanami, la stagione in cui Tokyo si riempie di fiori di ciliegio, con le sue imbarcazioni a forma di cigno tanto apprezzate dalle coppiette locali. E poi ci sono Akihabara, la città elettrica degli appassionati di manga e anime, scorci di auto che sfrecciano nelle strade cittadine. Insomma, se non fosse che alzando lo sguardo si riesca a scorgere, dalle vetrate del negozio, un tipico palazzo meneghino, sembrerebbe quasi che i 9.700 chilometri che separano in linea d'aria la capitale della moda italiana da Tokyo si siano annullati proprio sotto la Madonnina.
Ma torniamo al negozio. Uniqlo, che in principio si chiamava Unique clothing warehouse, non è il classico luogo in cui si trovano capi fast fashion. L'ispirazione è totalmente opposta. Uniqlo si basa infatti sul concetto del «fudan-ghi». In giapponese, il termine «fudan» si utilizza per indicare un qualcosa du quotidiano, casual. «Fudan-ghi» significa dunque abiti che possono essere utilizzati ogni giorno, in ogni tipo di contesto. Il design essenziale, la durevolezza dei materiali e il basso costo (un maglione in cachemire costa circa 79 euro) sono le chiavi del successo di questo colosso che, nei sogni di Tadashi Yanai, «potrebbe aprire 100 negozi in tutta Italia».
«L'abbigliamento è come una scatola di attrezzi da lavoro» ha spiegato Tadashi Yanai durante la presentazione del megastore meneghino «con dei capi semplici si possono comporre look anche complessi. Uniqlo è anche questo e offre la possibilità di associare a capi di alta moda, della tradizione italiana, qualcosa di semplice che può essere rivoluzionato in base a come lo si porta».
All'interno dello store milanese oltre a tutte le collezioni del marchio, compresa la vasta selezione di felpe e tshirt UT con stampe grafiche create in collaborazione con artisti da tutto il mondo, convivono realtà tutte italiane. Se da un lato a dipingere le vetrine e le borse del brand è l'italianissima Olimpia Zagnoli, dall'altra a condurre al secondo piano del negozio sono le scalinate progettate da Kenji Matsuki, architetto e designer che ha portato a Milano il più classico ed essenziale stile nipponico.
L'approccio minimal di Uniqlo si incontra anche all'interno di un giardino d'inverno, progettato con Odd garden, in cui piante giapponesi e italiane convivono in un luogo in cui il silenzio e il relax aiuteranno a migliorare la qualità dello shopping di chi varcherà la soglia dello store di Cordusio.
L'Uniqlo milanese rappresenta una vera e propria evoluzione del concetto di retail a cui il marchio giapponese ha abituato i suoi fan. Oltre a essere un punto vendita è al tempo stesso un museo grazie alle opere di Hokusai esposte al secondo piano del negozio del museo d'arte orientale collezione Mazzocchi. Ma non solo. Alla base del negozio c'è l'essenza giapponese del rispetto del passato, del presente e del futuro e la capacità di guardare con occhi attenti al benessere delle persone e del pianeta su cui viviamo.
Non solo Uniqlo: il re del fast fashion giapponese possiede otto marchi. Tutti di successo
È l'uomo più ricco del Giappone ma guai a chiamarlo milionario. Il fondatore di Uniqlo Tadashi Yanai, con un patrimonio stimato a 24.8 miliardi di dollari ha, in 35 anni di carriera, aperto ben 2.000 punti vendita in 20 paesi.
Presidente di Fast Retailing Co. Ltd - la principale holding giapponese di vendita al dettaglio - Tadashi vanta un portfolio di otto marchi. Oltre a Uniqlo, suo brand di punta, ci sono GU, Theory, Helmut Lang, PLST, Comptoir des Cotonniers, Princess tam.tam e J Brand. La società ha chiuso il 2018 con vendite globali pari a 2,13 trilioni di yen, pari a 17 miliardi di euro. Il motto di Fast Retailing si riassume in una semplice frase: «Cambiare i vestiti. Cambiare il senso comune. Cambiare il mondo».
Yanai nasce nel 1949 nel sud del Giappone. Il padre ha un negozio di abbigliamento per uomo chiamato «Men's shop ogori shoji». La moda è da subito parte della vita del giovane che dopo la laurea nel 1917 inizia a lavorare insieme a suo padre, non avendo altri posti dove andare. Il lavoro, ha raccontato lo stesso Tadashi non è mai stato una delle sue priorità. Passando sempre più tempo tra i vestiti però inizia a divertirsi e qualche anno dopo, prende le redini del progetto iniziato da suo padre e gli cambia nome, facendolo diventare «Fast Retailing». Nel 1984, a Hiroshima, aprono le porte del primo punto vendita di Uniqlo e la compagnia continua a crescere esponenzialmente negli anni Novanta, arrivando a vantare 200 punti vendita in giro per il Giappone. Si stima che nel 1998, un giapponese su quattro indossasse la giacca di felpa da 15 dollari di Uniqlo.
Negli ultimi cinque anni, con l'apertura di negozi Uniqlo in giro per il mondo, il patrimonio di Yanai è passato da 15.5 miliardi a quasi 25 miliardi di dollari. Fast Retailing si posiziona oggi come il terzo rivenditore più grande al mondo dopo H&M e Inditex (proprietario di Zara). Ma il suo obiettivo è quello di raggiungere la prima posizione, espandendosi anche in India, Vietnam e Danimarca, entro la fine dell'anno. Sebbene nel 2017, Yanai avesse dichiarato al Nikkei Asian Review che avrebbe ceduto la carica di presidente (preferibilmente a una donna), il magnate non ha ancora fatto alcun annuncio ufficiale, dopo il suo compleanno a febbraio.
In perfetto stile giapponese, il fondatore di Uniqlo odia ostentare la sua ricchezza - basta guardargli il polso per vedere un comodo ed economico Swatch invece che un orologio di valore - sebbene sia finito al numero 41 nella lista dei miliardari 2019 stilata dalla rivista Forbes.
«Non mi interessa offrire i prezzi più bassi. Voglio essere riconosciuto perché offro dei buoni vestiti. Essere noto per essere economico è triste» ha affermato in un'intervista al Telegraph. Il suo Uniqlo infatti non è guidato dai trend ma dallo sviluppo dei prodotti. Più che un marchio di moda, è una vera industria high tech. Ma qual è il segreto del suo successo? Mai fermarsi. «Se continui a scalare finisci per vedere un'altra montagna ancora più alta. Devi arrivare in vetta e poi ripartire». Un concetto che ben spiega nella sua autobiografia «One Win and Nine Losses» (Una vittoria, nove sconfitte, ndr).
Sette capi che uniscono il made in Japan all'unicità di Milano: ecco cosa non perdersi nel nuovo store milanese
«Come molte città italiane, Milano ama i classici, dall'architettura alla cucina, all'abbigliamento e i milanesi si auspicano il meglio da tutto: oggetti autentici, funzionali, personali e senza tempo, ma con stile». Queste le premesse dietro l'apertura del primo punto vendita italiano di Uniqlo. Per l'occasione, il marchio giapponese lancia la campagna «Today's Classic». Sette capi che al meglio identificano l'essenza del brand, interpretati da sette «ambassador» locali, provenienti da realtà diverse: gastronomia, arte, design, innovazione e business.
Marco Ambrosino, chef, indossa il parka Block tech con cappuccio (69,90 euro)
Marco è uno chef campano arrivato a Milano sette anni fa. Si è affermato nella scena gastronomica grazie alla sua continua ricerca sul cibo e all'uso innovativo delle tecniche primordiali nella sua lavorazione. L'attenzione verso prodotti e produttori etici e sostenibili è una parte fondamentale del suo lavoro.
Alessandra Bisogni, modella, indossa il maglione cashmere girocollo (89,90 euro) disponibile in 50 variazioni di colore
Alessandra è una modella italiana nata in Kenya. Oltre alla carriera di modella, Alessandra è molto impegnata nelle questioni sociali. Le sue parole: «Ho vissuto in Kenya fin da quando avevo 6 anni, quindi sento un vero legame con ciò che mi circonda, in particolare la natura e la madre terra. L'ambiente e i diritti umani sono fondamentali per me».
Cristiana Picco, artista e designer, indossa il piumino ultra leggero compatto (59,90 euro)
Cristiana è uno dei membri fondatori di Gioforma, un premiato studio milanese di designer, artisti e architetti. Il suo lavoro è noto per essere sempre inaspettato e significativo, sia che si tratti di un teatro d'opera o di una mostra non convenzionale. Combinando sempre il classico con il contemporaneo, Cristiana vede lo spazio come una sfida artistica, attraverso la quale può esprimere una narrazione personale e visionaria.
Stefano Seletti, direttore creativo di Seletti SPA indossa la classica camicia in cotone extra fino (24,90 euro)
Stefano può essere considerato l'imprenditore creativo più democratico del design italiano del momento. Sotto la guida di suo padre, ha appreso i più svariati processi produttivi che, uniti al suo esuberante genio, hanno portato alla creazione di oggetti che oggi sono diventati classici, mantenendo l'accessibilità economica fondamentale per la mission di Seletti. Le collaborazioni con artisti e fotografi di fama mondiale hanno portato le sue collezioni nei negozi dei migliori musei del mondo.
Federico Valvassori, gallerista, indossa una tshirt della collezione UT con la «Grande onda» di Hokusai (14,90 euro)
Federico è un gallerista milanese. Fondata nel 2011, la Galleria Federico Vavassori rappresenta artisti italiani e internazionali, sostenendo un dialogo senza precedenti tra pratiche emergenti e tradizionali, con mostre periodiche presso la sede della galleria in Via Giorgio Giulini, situata nel centro storico di Milano.
Camilla e Giulia Venturini, designer, indossano il cappotto Chesterfield misto cashmere (149,90 euro)
Camilla e Giulia Venturini hanno iniziato la loro carriera in Italia e New York, lavorando con artisti e fotografi. Nel 2018 hanno fondato il loro marchio di moda MEDEA. Le due sorelle lavorano su borse di pelle come se fossero tele bianche, lasciandosi ispirare da immagini fisse e in movimento, relazioni ed esperienze. La loro offerta è una vibrante selezione di borse in pelle monocromatica, nonché edizioni limitate create in collaborazione con artisti e fotografi di fama mondiale.


















