
La banca: «Uso illegittimo del golden power e campagne aggressive e fuorvianti». Unicredit non molla. Anzi, carica a testa bassa. Un comunicato con il tono di chi non ha più intenzione di utilizzare il velluto della diplomazia. Altro che fair play istituzionale. Andrea Orcel, amministratore delegato del gruppo di Piazza Gae Aulenti, pare aver scelto la linea di scontro. Una comunicazione al vetriolo, quasi scomposta. Stavolta l’obiettivo non è (solo) un concorrente bancario ma direttamente il governo. Nel mirino: l’uso del golden power, quello «scudo» con cui Palazzo Chigi può bloccare operazioni ritenute «sensibili per l’interesse nazionale». Solo che, secondo Unicredit, qui il patriottismo c’entra poco e l’interesse nazionale anche meno. Anzi c’è un «uso illegittimo», dei poteri speciali condito da prescrizioni «fumose», «fuorvianti» e da comunicazioni tese a screditare la stessa Unicredit. Un atteggiamento che denota un forte nervosismo e il tentativo di coprire una partita che ormai appare persa. Era dai tempi di Raul Gardini che le cronache finanziarie non registravano uno scontro di questo livello fra un gruppo privato e il governo in carica. Unicredit sostiene che l’intervento del governo ha alterato le dinamiche di mercato. Il golden power sta bloccando il possibile rilancio che certamente sarebbe andato a vantaggio degli azionisti del gruppo guidato da Giuseppe Castagna: «In questo contesto di profonda incertezza», si legge nel comunicato, «gli azionisti di Bpm potrebbero essere stati privati di un’opzione, i cui termini erano stati equamente stabiliti». In realtà il Tar ha stabilito che l’intervento del governo è stato legittimo tanto che è rimasta in piedi la prescrizione più importante. Quella che impone l’uscita dalla Russia Insomma, il messaggio che arriva dal governo alla alla banca guidata da Andrea Orcel, è abbastanza chiaro e la risposta appare assai poco diplomatica. Uno scontro a testa bassa con il rischio di farsi molto male.Il tono del comunicato di Unicredit non lascia spazio a fraintendimenti: si parla di «campagne ingiustificatamente aggressive», e di un’interpretazione del golden power che sembra più politica che istituzionale. senza però tenere conto, come ha ricordato il ministro Giorgetti che la sicurezza finanziaria è un aspetto della sicurezza nazionale. Una partita in cui sono cadute tutte le ipocrisie. Il rischio, ovviamente, è quello di farsi molto ma molto male. Ma tant’è. Unicredit ha scelto: niente più understatement. Se guerra deve essere, che sia combattuta a colpi di carte bollate, comunicati taglienti e accuse non troppo velate. Una partita a questo punto ad altissimo rischio. La morale? La finanza è potere e le banche non sono aziende come le altre e i governi hanno in mano il pallino Basta vedere quello che accade in Spagna con l’Opa di Bbva su Sabadell o la trincea tedesca a difesa di Commerzbank. E ora che Unicredit ha rotto gli indugi, prepariamoci al secondo tempo del match. Nelle prossime ore, infatti, è attesa la lettera da Bruxellles con le valutazioni sul golden power italiano. Sullo sfondo la Consob, che potrebbe disporre un’altra sospensione.
2025-10-21
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(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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