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2022-11-13
Una voragine da 43 miliardi: l’insostenibile eredità di Franco sul Superbonus
Daniele Franco (Ansa)
Un buco da 43 miliardi di euro. Questa l’eredità lasciata dal governo Draghi all’esecutivo Meloni sulla questione del Superbonus. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Enea, e ripetuti più volte, dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, le detrazioni a carico dello Stato per l’agevolazione al 110% pesano, al 31 ottobre 2022, per 60 miliardi di euro. Dato che risulta essere in enorme crescita se si va a considerare la situazione in essere al 31 dicembre 2021, quando il peso per le casse dello Stato si fermava a «soli» 17,8 miliardi di euro. Periodo nel quale l’allora governo Draghi decise anche, attraverso la legge di Bilancio, di rifinanziare la misura, mettendo dei paletti quasi esclusivamente sulle villette unifamiliari.
L’allora relazione tecnica stimava come la proroga del Superbonus sarebbe costata 14,1 miliardi di euro. Somma che secondo la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio presentava già qualche problema dato che «nel complesso emerge la difficoltà di prevedere l’effettivo impatto dei maggiori incentivi sulle decisioni di spesa, circostanza resa più problematica dal fatto che il Superbonus per la prima volta copre integralmente i costi, con massimali di spesa agevolabile più elevati rispetto a quelli previsti per altri interventi di incentivo riguardanti gli immobili». Somma, quella stanziata dal governo Draghi, che dunque non ha coperto nemmeno lontanamente i conti dello Stato, lasciando di fatto un buco di 43 miliardi di euro da far gestire al governo Meloni.
Viene però da chiedersi, a fronte dei dati, come mai, il 29 settembre, quando è stata aggiornata la Nota del documento di economia e finanza, l’ex premier Mario Draghi non abbia evidenziato la preoccupante situazione dei numeri legati al Superbonus. Stando ai dati Enea al 30 settembre le detrazioni a carico dello Stato risultavano essere pari a 56,3 miliardi di euro. Somma non così trascurabile. Possibile dunque che Draghi non fosse a conoscenza della situazione? O forse ha preferito non evidenziare la problematica in modo che fosse l’attuale governo a doversi farsi carico della questione?
Quale che sia la risposta quello che conta è che stando ai fatti è l’esecutivo Meloni che sta cercando di risolvere il pasticcio del Superbonus lasciato dal precedente governo. Da qui dunque l’esigenza di voler anticipare le modifiche al Superbonus, rendendolo meno appetibile e introducendo un décalage di spesa dal 110 al 90% dal 2023, inserendolo all’interno del dl Aiuti quater. L’obiettivo è dunque quello di dare un forte segnale di discontinuità, cercando da una parte di tutelare chi aveva già avviato i lavori e dall’altra di salvaguardare le casse dello Stato. Ricordiamo infatti che se si presenta la Cila (la Comunicazione di inizio lavori asseverata) entro il 25 novembre si potrà ottenere la detrazione al 110% anche se, all’atto pratico, i lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico inizieranno nel 2023.
L’agevolazione scenderà al 90% per chi invece inizia le pratiche nell’anno nuovo, comprese anche le villette unifamiliari che hanno tempo per presentare le domande fino al 31 marzo 2023.
Le modifiche apportate al Superbonus non hanno riscosso particolari simpatie, fin da quando sono state annunciate, tra le diverse associazioni del mondo edilizio in particolar modo perché non si sono presi provvedimenti per sanare le situazioni pregresse relative alla cessione dei crediti. «Il nuovo blocco del sistema del Superbonus corre il pericolo di generare una crisi di liquidità per decine di migliaia di aziende italiane e di fermare, conseguentemente, una parte rilevante dei cantieri edilizi. Il problema ruota attorno alla capienza fiscale delle banche e di Poste italiane, i principali soggetti coinvolti nella macchina del Superbonus per la cessione dei crediti che lo Stato ha reso possibili per favorire la ripresa del settore edilizio e delle costruzioni», si legge nell’ultima analisi fatta del Centro studi di Unimpresa, alla quale si aggiunge l’appello di Tiziano Pavoni, presidente di Ance Lombardia che sottolinea come sia da «mesi che chiediamo di risolvere i problemi degli operatori delle costruzioni che stanno sviluppando interventi agevolati dai Superbonus mentre ora, oltre a registrare un nuovo e ulteriore blocco delle piattaforme per la cessione dei crediti, arriva un decreto-legge che stravolge le tempistiche e la disciplina dei bonus edilizi. Un vero tsunami per imprese, lavoratori e famiglie».
Sulla questione della cessione dei crediti di imposta è intervenuto il ministro dell’Economia, Giorgetti, spiegando come il governo stia lavorando per cercare di trovare una via di uscita ma che la cessione dei crediti non deve essere considerata come un diritto ma solo come un’opzione possibile di detrazione, legata all’agevolazione fiscale Superbonus. Concorde con l’esecutivo anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ieri a margine del forum piccola industria ha dichiarato di capire l’operato del governo dato che «credo abbia fatto una riflessione su quello che è lo stock dei crediti che potenzialmente ha in sé il rischio di creare una moneta parallela. Ha quindi dovuto per forza intervenire per bloccare questo rischio. Le dichiarazioni che sono state fatte dal ministro Giorgetti sono comunque quelle di continuare a sostenere il settore e ci tranquillizzano».
«Troveremo un accordo sulla data». Forza Italia spinge per fine anno
«Un accordo si troverà. Questa è una maggioranza politica, è normale che ci sia una dialettica, ma alla fine si raggiungerà un punto di equilibrio»: così una fonte autorevole di governo commenta le frizioni sul Superbonus tra Forza Italia e gli alleati di centrodestra. Frizioni fisiologiche, destinate, salvo pericolose impuntature di principio, a produrre un’intesa quando il decreto Aiuti quater, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 10 novembre, arriverà in parlamento per la conversione in legge.
Forza Italia chiede alcune modifiche, e annuncia in proposito la presentazione di un emendamento: «Era doveroso», spiegano in una nota i capigruppo di Fi alla Camera e al Senato, Alessandro Cattaneo e Licia Ronzulli, «intervenire sul Superbonus per contenere la spesa pubblica e per correggere distorsioni. È altrettanto doveroso dare certezze agli operatori del settore. Per questo, Forza Italia lavorerà per spostare la data di scadenza delle agevolazioni almeno di un mese per chi ha già deliberato in assemblea di condominio e ha già stipulato contratti». L’emendamento in questione proporrà di procrastinare le modifiche alle norme dal 25 novembre al 31 dicembre. «Siamo certi», dice alla Verità il deputato forzista Giorgio Mulè, «che al governo hanno compreso la necessità di prevedere una norma transitoria per chi sta definendo le pratiche, e dunque che per tutto il 2022 sia garantito il 110% per chi ha in corso la procedura».
Entra più nel dettaglio la deputata forzista Erica Mazzetti: «Primo lo sblocco di quei crediti fermi da oltre un anno che stanno soffocando le imprese», propone la Mazzetti a TgCom 24, «e poi, a stretto giro, un tavolo tecnico-politico per definire una cornice normativa chiara e stabile sui bonus edili, a sostegno del settore. Non si possono cambiare le regole in corsa un’altra volta e per questo Forza Italia ha chiesto un periodo transitorio, con lo spostamento delle scadenze di almeno un mese. Tra le varie proposte che vorremmo sottoporre al governo», aggiunge la Mazzetti, «abbiamo pensato a un bonus proporzionale all’aumento di classe energetica dell’immobile e non in base al reddito, visto che già l’anno scorso abbiamo contrastato l’uso del parametro Isee. Per far questo occorre un tavolo tecnico-politico insieme alle categorie economiche e agli ordini professionali», conclude la Mazzetti, «dove insieme decidere come strutturare gli incentivi per il settore. Noi di centrodestra non possiamo certo colpire le imprese, a maggior ragione quelle della filiera edile motrice del paese, e il ceto medio».
Viene da chiedersi perché i cinque ministri di Forza Italia, ovvero Antonio Tajani, Anna Maria Bernini, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Gilberto Pichetto e Paolo Zangrillo non abbiano sollevato il problema in Consiglio dei ministri.
Fatto sta che né Fratelli d’Italia né la Lega hanno voglia di creare una spaccatura nella maggioranza su un tema così residuale: «Sicuramente», dice alla Verità un altro big di maggioranza, «il provvedimento andrà in porto e si troverà un accordo, ci mancherebbe altro». Apre alla possibilità di modificare il decreto il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso di Fratelli d’Italia: «La risposta del nostro governo», dice Urso all’Agi, «che è rispettosa di tutte le parti sociali e delle associazioni d’impresa, è sempre che il parlamento è sovrano e ogni modifica può essere fatta in parlamento. Certo è che è un provvedimento assolutamente necessario per rimettere in ordine una materia su cui evidentemente non c’era stata sufficiente consapevolezza all’inizio».
Va all’attacco il leader del M5s Giuseppe Conte: «La revisione del Superbonus dal 110% al 90%», dice Giuseppi, «rompe il patto con famiglie e imprese, danneggiando chi aveva già programmato investimenti. Il governo cambia le regole in corsa. Non solo agisce in perfetta linea di continuità con il governo Draghi, quanto piuttosto rafforza il boicottaggio di questa misura. E meno male che la Meloni era all’opposizione. Meloni e il governo si fermino», aggiunge Conte, «prima di dare un ulteriore colpo ai cittadini già colpiti dalla crisi».
Si schiera con il governo il sindaco Pd di Bergamo, Giorgio Gori: «Giusta», twitta Gori, «la decisione di contenere il Superbonus. La vecchia misura è costata un’enormità (60 miliardi, 38 di buco per lo Stato) a beneficio di pochi, e causato truffe e inflazione. Fa incavolare che a cambiare sia il governo di destra, con la sedicente sinistra sulle barricate». «Sindaco», replica il senatore del M5s Stefano Patuanelli, «quando vuoi e dove vuoi possiamo confrontarci sul Superbonus, non si possono sparare numeri a caso e lasciare Forza Italia a difendere una misura che è stata un volano incredibile per il Paese».
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L’allora relazione tecnica stimava che la proroga del 110% sarebbe costata 14 miliardi Il massiccio ricorso alle agevolazioni è diventato un problema per la legge Finanziaria.Nessuna intenzione di spaccare la maggioranza. Il pd Giorgio Gori: «Avremmo dovuto farlo noi».Lo speciale contiene due articoliUn buco da 43 miliardi di euro. Questa l’eredità lasciata dal governo Draghi all’esecutivo Meloni sulla questione del Superbonus. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Enea, e ripetuti più volte, dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, le detrazioni a carico dello Stato per l’agevolazione al 110% pesano, al 31 ottobre 2022, per 60 miliardi di euro. Dato che risulta essere in enorme crescita se si va a considerare la situazione in essere al 31 dicembre 2021, quando il peso per le casse dello Stato si fermava a «soli» 17,8 miliardi di euro. Periodo nel quale l’allora governo Draghi decise anche, attraverso la legge di Bilancio, di rifinanziare la misura, mettendo dei paletti quasi esclusivamente sulle villette unifamiliari. L’allora relazione tecnica stimava come la proroga del Superbonus sarebbe costata 14,1 miliardi di euro. Somma che secondo la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio presentava già qualche problema dato che «nel complesso emerge la difficoltà di prevedere l’effettivo impatto dei maggiori incentivi sulle decisioni di spesa, circostanza resa più problematica dal fatto che il Superbonus per la prima volta copre integralmente i costi, con massimali di spesa agevolabile più elevati rispetto a quelli previsti per altri interventi di incentivo riguardanti gli immobili». Somma, quella stanziata dal governo Draghi, che dunque non ha coperto nemmeno lontanamente i conti dello Stato, lasciando di fatto un buco di 43 miliardi di euro da far gestire al governo Meloni. Viene però da chiedersi, a fronte dei dati, come mai, il 29 settembre, quando è stata aggiornata la Nota del documento di economia e finanza, l’ex premier Mario Draghi non abbia evidenziato la preoccupante situazione dei numeri legati al Superbonus. Stando ai dati Enea al 30 settembre le detrazioni a carico dello Stato risultavano essere pari a 56,3 miliardi di euro. Somma non così trascurabile. Possibile dunque che Draghi non fosse a conoscenza della situazione? O forse ha preferito non evidenziare la problematica in modo che fosse l’attuale governo a doversi farsi carico della questione?Quale che sia la risposta quello che conta è che stando ai fatti è l’esecutivo Meloni che sta cercando di risolvere il pasticcio del Superbonus lasciato dal precedente governo. Da qui dunque l’esigenza di voler anticipare le modifiche al Superbonus, rendendolo meno appetibile e introducendo un décalage di spesa dal 110 al 90% dal 2023, inserendolo all’interno del dl Aiuti quater. L’obiettivo è dunque quello di dare un forte segnale di discontinuità, cercando da una parte di tutelare chi aveva già avviato i lavori e dall’altra di salvaguardare le casse dello Stato. Ricordiamo infatti che se si presenta la Cila (la Comunicazione di inizio lavori asseverata) entro il 25 novembre si potrà ottenere la detrazione al 110% anche se, all’atto pratico, i lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico inizieranno nel 2023.L’agevolazione scenderà al 90% per chi invece inizia le pratiche nell’anno nuovo, comprese anche le villette unifamiliari che hanno tempo per presentare le domande fino al 31 marzo 2023. Le modifiche apportate al Superbonus non hanno riscosso particolari simpatie, fin da quando sono state annunciate, tra le diverse associazioni del mondo edilizio in particolar modo perché non si sono presi provvedimenti per sanare le situazioni pregresse relative alla cessione dei crediti. «Il nuovo blocco del sistema del Superbonus corre il pericolo di generare una crisi di liquidità per decine di migliaia di aziende italiane e di fermare, conseguentemente, una parte rilevante dei cantieri edilizi. Il problema ruota attorno alla capienza fiscale delle banche e di Poste italiane, i principali soggetti coinvolti nella macchina del Superbonus per la cessione dei crediti che lo Stato ha reso possibili per favorire la ripresa del settore edilizio e delle costruzioni», si legge nell’ultima analisi fatta del Centro studi di Unimpresa, alla quale si aggiunge l’appello di Tiziano Pavoni, presidente di Ance Lombardia che sottolinea come sia da «mesi che chiediamo di risolvere i problemi degli operatori delle costruzioni che stanno sviluppando interventi agevolati dai Superbonus mentre ora, oltre a registrare un nuovo e ulteriore blocco delle piattaforme per la cessione dei crediti, arriva un decreto-legge che stravolge le tempistiche e la disciplina dei bonus edilizi. Un vero tsunami per imprese, lavoratori e famiglie». Sulla questione della cessione dei crediti di imposta è intervenuto il ministro dell’Economia, Giorgetti, spiegando come il governo stia lavorando per cercare di trovare una via di uscita ma che la cessione dei crediti non deve essere considerata come un diritto ma solo come un’opzione possibile di detrazione, legata all’agevolazione fiscale Superbonus. Concorde con l’esecutivo anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ieri a margine del forum piccola industria ha dichiarato di capire l’operato del governo dato che «credo abbia fatto una riflessione su quello che è lo stock dei crediti che potenzialmente ha in sé il rischio di creare una moneta parallela. Ha quindi dovuto per forza intervenire per bloccare questo rischio. Le dichiarazioni che sono state fatte dal ministro Giorgetti sono comunque quelle di continuare a sostenere il settore e ci tranquillizzano». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/una-voragine-da-43-miliardi-linsostenibile-eredita-di-franco-sul-superbonus-2658639267.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="troveremo-un-accordo-sulla-data-forza-italia-spinge-per-fine-anno" data-post-id="2658639267" data-published-at="1668296807" data-use-pagination="False"> «Troveremo un accordo sulla data». Forza Italia spinge per fine anno «Un accordo si troverà. Questa è una maggioranza politica, è normale che ci sia una dialettica, ma alla fine si raggiungerà un punto di equilibrio»: così una fonte autorevole di governo commenta le frizioni sul Superbonus tra Forza Italia e gli alleati di centrodestra. Frizioni fisiologiche, destinate, salvo pericolose impuntature di principio, a produrre un’intesa quando il decreto Aiuti quater, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 10 novembre, arriverà in parlamento per la conversione in legge. Forza Italia chiede alcune modifiche, e annuncia in proposito la presentazione di un emendamento: «Era doveroso», spiegano in una nota i capigruppo di Fi alla Camera e al Senato, Alessandro Cattaneo e Licia Ronzulli, «intervenire sul Superbonus per contenere la spesa pubblica e per correggere distorsioni. È altrettanto doveroso dare certezze agli operatori del settore. Per questo, Forza Italia lavorerà per spostare la data di scadenza delle agevolazioni almeno di un mese per chi ha già deliberato in assemblea di condominio e ha già stipulato contratti». L’emendamento in questione proporrà di procrastinare le modifiche alle norme dal 25 novembre al 31 dicembre. «Siamo certi», dice alla Verità il deputato forzista Giorgio Mulè, «che al governo hanno compreso la necessità di prevedere una norma transitoria per chi sta definendo le pratiche, e dunque che per tutto il 2022 sia garantito il 110% per chi ha in corso la procedura». Entra più nel dettaglio la deputata forzista Erica Mazzetti: «Primo lo sblocco di quei crediti fermi da oltre un anno che stanno soffocando le imprese», propone la Mazzetti a TgCom 24, «e poi, a stretto giro, un tavolo tecnico-politico per definire una cornice normativa chiara e stabile sui bonus edili, a sostegno del settore. Non si possono cambiare le regole in corsa un’altra volta e per questo Forza Italia ha chiesto un periodo transitorio, con lo spostamento delle scadenze di almeno un mese. Tra le varie proposte che vorremmo sottoporre al governo», aggiunge la Mazzetti, «abbiamo pensato a un bonus proporzionale all’aumento di classe energetica dell’immobile e non in base al reddito, visto che già l’anno scorso abbiamo contrastato l’uso del parametro Isee. Per far questo occorre un tavolo tecnico-politico insieme alle categorie economiche e agli ordini professionali», conclude la Mazzetti, «dove insieme decidere come strutturare gli incentivi per il settore. Noi di centrodestra non possiamo certo colpire le imprese, a maggior ragione quelle della filiera edile motrice del paese, e il ceto medio». Viene da chiedersi perché i cinque ministri di Forza Italia, ovvero Antonio Tajani, Anna Maria Bernini, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Gilberto Pichetto e Paolo Zangrillo non abbiano sollevato il problema in Consiglio dei ministri. Fatto sta che né Fratelli d’Italia né la Lega hanno voglia di creare una spaccatura nella maggioranza su un tema così residuale: «Sicuramente», dice alla Verità un altro big di maggioranza, «il provvedimento andrà in porto e si troverà un accordo, ci mancherebbe altro». Apre alla possibilità di modificare il decreto il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso di Fratelli d’Italia: «La risposta del nostro governo», dice Urso all’Agi, «che è rispettosa di tutte le parti sociali e delle associazioni d’impresa, è sempre che il parlamento è sovrano e ogni modifica può essere fatta in parlamento. Certo è che è un provvedimento assolutamente necessario per rimettere in ordine una materia su cui evidentemente non c’era stata sufficiente consapevolezza all’inizio». Va all’attacco il leader del M5s Giuseppe Conte: «La revisione del Superbonus dal 110% al 90%», dice Giuseppi, «rompe il patto con famiglie e imprese, danneggiando chi aveva già programmato investimenti. Il governo cambia le regole in corsa. Non solo agisce in perfetta linea di continuità con il governo Draghi, quanto piuttosto rafforza il boicottaggio di questa misura. E meno male che la Meloni era all’opposizione. Meloni e il governo si fermino», aggiunge Conte, «prima di dare un ulteriore colpo ai cittadini già colpiti dalla crisi». Si schiera con il governo il sindaco Pd di Bergamo, Giorgio Gori: «Giusta», twitta Gori, «la decisione di contenere il Superbonus. La vecchia misura è costata un’enormità (60 miliardi, 38 di buco per lo Stato) a beneficio di pochi, e causato truffe e inflazione. Fa incavolare che a cambiare sia il governo di destra, con la sedicente sinistra sulle barricate». «Sindaco», replica il senatore del M5s Stefano Patuanelli, «quando vuoi e dove vuoi possiamo confrontarci sul Superbonus, non si possono sparare numeri a caso e lasciare Forza Italia a difendere una misura che è stata un volano incredibile per il Paese».
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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