2022-10-16
Una sfilata da faraone per i 50 anni di Ricci
La casa fiorentina ha festeggiato il traguardo in Egitto, nel tempio di Hatshepsut, a Luxor. Una storia iniziata dalle cravatte che ha conquistato il mondo e personalità come Mandela. La nuova collezione però guarda al futuro e a un pubblico giovane.Nel tempio di Hatshepsut a Luxor, Stefano Ricci ha festeggiato 50 anni di dedizione, passione, amore per il suo lavoro, iniziato a Firenze nel 1972 e arrivato ai giorni nostri con la stessa abnegazione. I sacrifici sostenuti all’inizio insieme alla moglie Claudia, da sempre suo braccio destro, sono stati ripagati dall’affetto sincero degli oltre 400 ospiti, giunti da 50 Paesi di tutto il mondo, che hanno potuto ammirare una sfilata unica e irripetibile. Perché se Ricci ha potuto avere a disposizione luoghi straordinari è stato merito dei suoi stretti rapporti con importanti personaggi egiziani che da anni stimano lo stilista imprenditore fiorentino e vestono le sue inimitabili creazioni. «Per la prima volta nella storia», ha spiegato Stefano Ricci con accanto i figli Filippo e Niccolò, «l’Egitto ha aperto i propri templi a una sfilata di moda internazionale, grazie alle autorizzazioni concesse dal governo egiziano, in particolare di Ahmed Eissa Abou Hussein, ministro del Turismo e delle Antichità, e di Mostafa Waziri, segretario del Consiglio supremo delle antichità. Più un tour nel tempio e la Valle dei re sotto la guida di un archeologo di fama mondiale come Zahi Hawass».primi passiAppassionato di cravatte, il ventenne Stefano Ricci decide di realizzare una propria collezione che si caratterizza per quelli che diventeranno, negli anni, i valori di riferimento dei prodotti eponimi: qualità assoluta, lavorazione manuale, 100% fatto in Italia. Le prime proposte vengono presentate a Pitti Uomo nel 1974 e la risposta da parte dei più importanti department store internazionali, come Neiman Marcus (Usa) e Harrods (Inghilterra) arriva immediata. Nel giro di poche stagioni i buyers riconoscono in Ricci la capacità di aver trasformato il ruolo della cravatta da accessorio a protagonista della moda maschile. Progressivamente la produzione della collezione da uomo si amplia sempre più includendo abiti sartoriali, sportswear, maglieria e calzature. Viene sviluppata una linea di articoli in pelle esclusiva e, seguendo l’antica tradizione orafa fiorentina, si aggiunge una collezione di gemelli e fibbie preziose, utilizzando oro, platino, diamanti, zaffiri e altre gemme.È datata 1993 la prima boutique in Cina, in netto anticipo rispetto ai tempi. Tante le tappe significative che hanno portato la Stefano Ricci a trasformarsi da piccola azienda di manifattura familiare a gruppo internazionale, con 600 dipendenti nel mondo (tra produzione rigorosamente italiana e retail) e sede centrale sulle colline di Fiesole, in una struttura produttiva estesa su più di 9.000 metri quadrati.sogno«Questo è un sogno iniziato 20 anni fa», continua Ricci, «quando ho visitato l’Antico Egitto grazie a un gentleman, Mohamed Abou El Enein; in quei giorni decisi di dedicare un libro a Luxor grazie all’aiuto di Zahi Hawass. Immaginai di poter un giorno realizzare una sfilata in questo magnifico territorio». Il sogno è diventato realtà e la collezione è stata presentata in quel tempio dedicato all’unica donna che fu faraone, re e non regina, in quanto Hatshepsut assumerà caratteristiche maschili, come gli altri faraoni. «Ho scelto di celebrare il 50° anniversario del mio brand in una città piena di fascino, arte e tradizioni: Luxor, l’antica Tebe, terra dei faraoni. Aver ricevuto dalle istituzioni egiziane questa autorizzazione è per me un privilegio e un orgoglio. Mi sono sentito anche un grande senso di responsabilità, rispetto e attenzione verso questi luoghi unici. Una macchina che ha fatto lavorare 1.000 persone tra egiziani e italiani».Il video messaggio della figlia di Nelson Mandela, che ha rivelato il rapporto fra Madiba e «uncle Stefano», proiettato su due grandi schermi durante la cena al tempio di Luxor, è stato commovente. Tanti i ricordi raccontati da Ricci, prima della conclusione affidata a un video emozionale sulla storia del brand. «Mandela indossò una mia camicia di seta a Buckingham Palace nel 1996». La regina gli disse: «Presidente Mandela, è la prima volta che un capo di Stato si presenta di fronte a me senza indossare una giacca, ma la sua è proprio una bella camicia». E, con lui, andò da Giovanni Paolo II, mi presentò come un amico dell’Africa, responsabile del suo look».stileQuarantacinque modelli internazionali hanno presentato 90 abiti sartoriali, rigorosamente realizzati in Italia, omaggio ideale alla bellezza di un luogo unico che rappresenta millenni di cultura e rappresentativi di un’autentica passione per la qualità, l’artigianalità, lo stile e l’eccellenza assoluta. «È una sfilata celebrativa ma non retrospettiva», ha tenuto a precisare Filippo Ricci, direttore creativo del brand di famiglia. Una sfilata al contrario con la prima uscita dedicata alla gran sera: tuxedo realizzati in tessuto jaquard, impreziosito dal disegno dei geroglifici in sete dell’Antico setificio fiorentino, giacche guru e il bellissimo desert tuxedo, collo sciallato color sabbia in seta e lino. «Capi che ci sembravano molto di scena e invece sono commerciali, piaciuti moltissimo ai clienti». E saranno tutti delle limited edition. «Non c’è nulla di scontato, dalla costruzione della spalla delle giacche molto cool. D’altronde i nostri clienti sono sempre più giovani. Puntiamo su di loro ma anche sul junior con la collezione per i bambini». Un’esplosione di oro, blu e rosso ispirati dai colori della Valle dei re, innovativi look da safari nel deserto, la maglieria esaltata nella purezza del bianco con scritte sulla schiena. In più, l’uscita delle camicie in seta che riprendono quella iconica realizzata da Ricci per Mandela nei primi anni Novanta. La sfilata è stata chiusa da Andrea Bocelli che ha intonato il Nessun dorma. Poi un duetto di Matteo Bocelli con il padre e un’aria di Ennio Morricone interpretata dalla soprano Susanna Rigacci. «Questa è un’esperienza unica nella vita», ha concluso Filippo Ricci.prospettiveNuove aperture New York a fine mese sulla cinquasettesima. Verrà presto inaugurata una boutique nella città di Taiyuan e uno spazio di 500 metri quadrati nel centro commerciale Skp di Pechino. Inoltre, sempre in Asia, l’apertura di uno shop in shop a Bishkek, in Kirghizistan, e di una boutique ad Ashgabat, in Turkmenistan. Aperto ora a Sanja a Sud della Cina. In totale i negozi sono 70 per arrivare a 80 entro il prossimo 2023. Fatturato: «Dovremmo chiudere intorno ai 150 milioni, livelli pre Covid», precisa Niccolò Ricci, amministratore delegato del marchio. «L’azienda è gestita, da più di dieci anni, come se fosse in Borsa, perché se in famiglia si dovesse prendere una decisione non dovremmo aspettare un anno per fare un certo passo ma in tre, quattro mesi saremmo pronti. Ma non ci sono progetti di quotazione in vista. Soprattutto perché dopo il Covid gli scenari sono completamente cambiati e sono momenti di grande opportunità in cui il mercato ci sta aprendo tante porte per svariati motivi. Possiamo avere due anni di una crescita esponenziale e riportare dei numeri mai raggiunti prima. Scelte e direzioni diverse prese dai nostri competitor ci hanno lasciato delle fette di mercato importanti e tanti clienti importanti si stanno rivolgendo a noi. Abbiamo clienti che vanno dalla cravatta al giubbotto di coccodrillo da 150.000 euro ma ci sono 400 persone che fanno parte del nostro club esclusivo Ricci che spendono più di 50.000 euro l’anno fino ad arrivare a 2 milioni. Noi dobbiamo concentrarci per trovare altre 400 persone come loro. Affrontiamo anche delle sfide. Come quella con un signore che è entrato in negozio dicendo che voleva 20 poltrone e un divano di coccodrillo e noi in sei mesi siamo riusciti a consegnare tutto». Questo è Ricci Home. E Ricci è anche vini, sigari, orologi. Il segreto? I rapporti personali con i clienti.
c
La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
Continua a leggereRiduci
Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
Continua a leggereRiduci