2020-10-09
Una guida per non leggere Trump all’italiana
Can Merey:picture alliance via Getty Images
Dall'industria all'apparato militare fino al moloch dei media, il presidente in corsa per il secondo mandato ha rotto gli schemi a molti. Ma ha saputo dare voce a schiere di «sommersi» e, all'estero, ha imposto la diplomazia della trattativa. Chi lo ignora non può capirlo.Il saggio di Stefano Graziosi e Daniele Scalea è di estremo tempismo ed aiuterà senza dubbio coloro che lo leggeranno a farsi un'idea più completa e corretta di ciò che ruota attorno al voto americano del 3 novembre. Gli autori hanno voluto intitolare il loro volume Trump contro tutti: una scelta emblematica, che ne dimostra il desiderio di evidenziare la condizione di isolamento in cui il presidente si è venuto a trovare sin dalla sua decisione di candidarsi nel 2015. La discesa in campo di Trump, in effetti, ha disturbato un cartello di forze politiche ed economiche incredibilmente potente, capillarmente ramificato nel Congresso, nei partiti e nella burocrazia, con terminali attivi anche all'estero. Persino nel proprio entourage alla Casa Bianca, il presidente ha dovuto fare i conti con le piccole e grandi infedeltà di chi gli era vicino e lo ha ostacolato nella gestione dei dossier più importanti.Poi ci sono state le inchieste, che non hanno condotto ad alcun risultato, salvo quello di intimidirlo e fermarlo, specialmente nello sviluppo del dialogo con la Russia, e le campagne mediatiche, spesso basate proprio su quelle fake news di cui Trump è stato accusato di essere un produttore seriale. I tutti contro cui il presidente si è trovato a combattere sono questi: coloro che avevano più da temere da un drastico cambio degli orientamenti politici interni ed internazionali cui si sarebbe improntata l'azione della sua amministrazione. I media delle due coste, in primo luogo, che hanno contribuito decisivamente a plasmare in senso negativo la sua immagine, con ricadute ben visibili anche da noi. E poi quella parte dell'establishment gelosa delle prerogative e delle soddisfazioni garantite dall'esercizio di una maggiore influenza: interi settori del corpo diplomatico americano, ad esempio, e persino della gerarchia militare, contro cui recentemente Trump ha diretto i suoi strali, accusandoli di aver ostacolato il suo tentativo di porre fine alle guerre interminabili in cui sono coinvolti gli Stati Uniti. In effetti, molte scelte annunciate dal presidente hanno faticato a concretizzarsi proprio a causa di questo tipo di resistenza burocratica, con l'effetto di costringerlo a fare da solo, forse per sorprendere i suoi collaboratori più dei propri avversari dichiarati, con le inevitabili conseguenze del caso.E quindi il Congresso, nel quale democratici ed avversari interni allo stesso Partito repubblicano hanno spesso fatto comunella contro Trump. Tra gli avversari, ovviamente, troviamo anche i grandi beneficiari delle delocalizzazioni: imprenditori che hanno tratto cospicui vantaggi dal trasferimento delle loro produzioni in Paesi in cui la manodopera costa meno e che si trovano ovviamente a mal partito di fronte alla prospettiva di far marcia indietro. Possiamo però davvero concludere su queste basi che il commander in chief abbia proprio tutti contro? Probabilmente no. Ce lo dimostrano sia il successo ottenuto nel 2016 che la realtà della campagna elettorale in corso. Esiste un «popolo di Trump», infatti, che non ottiene attenzione dalla stampa e dalle televisioni, con la sola eccezione di Fox News, al quale bisogna guardare per capire i nuovi fenomeni in atto nella politica americana, che neppure Joe Biden e Kamala Harris possono ignorare. Gli alleati del presidente sono in realtà parecchi. Egli ha dalla sua, ad esempio, una parte dell'elettorato bianco del ceto medio, che ha perso terreno e non aveva trovato prima di lui alcun politico disposto a tutelarne gli interessi. Una minoranza svantaggiata, in difficoltà, e in arretramento sotto tutti gli aspetti. In posizione simile a quella di buona parte dei neri e dei latinos, ma dimenticata. Tanto dai democratici quanto dai repubblicani più elitari del vecchio establishment. Sono loro la grande forza di Trump, che è appoggiato anche da quella parte dell'imprenditoria che crede ancora alla possibilità di rilanciare la produzione manifatturiera americana e soprattutto investe nell'indipendenza energetica degli Stati Uniti. Trump ha amici anche in campo internazionale. Nell'intento di disprezzarlo, i suoi detrattori sostengono che il presidente abbia una predilezione per i dittatori. Evidentemente, però, questa presunta benevolenza non si estende ai governanti cinesi, cui l'amministrazione non ha fatto alcuno sconto, e neppure a quelli iraniani, come ben sanno i sodali del generale Qassem Soleimani. Non sono quindi i leader autoritari i suoi partner d'elezione. Lo sono invece tutti coloro che sono disponibili ad intavolare una trattativa per regolare le reciproche divergenze d'interesse a partire dal rispetto condiviso delle rispettive sovranità nazionali. Agli occhi di Trump, non esistono diavoli con cui non si possa discutere e raggiungere eventualmente un accordo. Questa è la novità che tanto dispiace a tutti coloro che ritengono sia compito dell'America cambiare il mondo anche quando il mondo non vuole essere cambiato dall'America. Non è una scelta di valori, ma una presa d'atto degli effetti controproducenti seguiti ad alcune avventure militari degli scorsi decenni, pure intraprese con le migliori intenzioni, dettata dal realismo e dalla considerazione dei limiti che incontra anche la pur straordinaria forza degli Stati Uniti. Per Trump, l'America può ancora guidare, ma deve farlo sulla base della capacità del suo sistema di generare ricchezza, benessere ed opportunità di successo. Senza imporre a nessuno un determinato tipo di governo o di religione, ognuno libero di perseguire la propria felicità, con l'unico, ovvio, limite di non nuocere agli Stati Uniti. Trump crede soprattutto nel valore della stabilità, detesta la guerra ed ha cercato per quanto possibile di archiviare la stagione dei grandi rivolgimenti che tanti problemi ha generato negli scorsi anni in Mediterraneo e nel Medio Oriente, promuovendo un'azione di ricostruzione dell'ordine che forse sta finalmente iniziando a dare i suoi frutti. Questo tratto della sua visione è stato certamente colto da chi ne ha proposto la candidatura al Premio Nobel per la Pace, che naturalmente sarà di difficile successo, all'indomani del recente accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, mettendo in crisi una consolidata narrazione che nessuno era riuscito precedentemente a scalfire. Una parte in questa operazione potrebbe averla anche il volume che avete deciso di leggere, almeno nel nostro Paese. Tale è almeno l'ambizione dichiarata dei suoi autori. Questo per quanto riguarda Trump. Va tuttavia riconosciuto che l'elezione del 3 novembre è molto incerta. Il presidente in carica è costretto a rincorrere il suo avversario nei sondaggi, che gli sono sfavorevoli come nel 2016. Probabilmente, l'esito del duello si risolverà alla fine per un pugno di voti in un circoscritto numero di Stati, sperando che non ci siano code di contestazioni e polemiche, che questa volta potrebbero essere alimentate anche dal più ampio ricorso al voto per posta. Il saggio di Graziosi e Scalea ha anche l'indubbio merito di non circoscrivere a Trump il proprio campo di analisi, dedicando ampi approfondimenti pure a Joe Biden e Kamala Harris, evidenziando i punti di contrasto del loro programma rispetto all'agenda del presidente uscente e ponendone in luce gli aspetti dovuti alla necessità di adeguare i contenuti del messaggio ai dati nuovi emersi tra gli elettori americani. Gli autori hanno ragione: siamo in presenza di un urto tra visioni contrapposte, di cui occorre essere consapevoli. Perché chiunque vinca in America, quanto accade negli Stati Uniti è destinato a riverberarsi su tutti noi, nel costume quanto sotto il profilo delle grandi scelte della politica estera. Malgrado qualsiasi simpatia o antipatia si possa nutrire nei confronti di alcuno dei due protagonisti del grande duello del 3 novembre, l'Italia non potrà voltare le spalle al suo principale alleato, sia che alla Casa Bianca continui a trovarsi Trump, sia che invece vi arrivi Biden. Bene quindi essere consapevoli fin d'ora di ciò che può attenderci. Diciamo la verità: è tremendamente difficile comprendere secondo gli schemi di lettura italiani la politica americana, tanto più la figura trumpiana. Specie se ciò che ci viene presentato è in qualche modo deformato dal pregiudizio e dalla nostra predisposizione machiavellica, per cui tutto è grigio e si presta alle doppie letture. Il «bianco o nero» ci spaventa e scambiamo la chiarezza con la banalità. Questo libro ci aiuta a leggere la politica americana per quella che è e non per quella che noi italiani vorremmo che fosse.
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