2019-12-10
«Un terzo dei pusher è libero di spacciare»
Il senatore leghista Andrea Ostellari: «Ho avviato un'indagine conoscitiva sui reati legati agli stupefacenti: indaghiamo per cambiare le leggi e punire più severamente gli spacciatori. Che oggi, una volta presi, patteggiano e ricominciano. I colpevoli? Stranieri quasi al 40%».Un'indagine per fare luce su tutto ciò che riguarda il traffico e lo spaccio di droga nel nostro Paese. Un lavoro di inchiesta che vada finalmente a fondo, cercando di mettere ordine nei dati e di comprendere perché si verifichino ancora, dopo anni e anni, patenti assurdità. La scorsa settimana il senatore leghista Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia, ha ottenuto il via libera da Elisabetta Alberti Casellati per avviare un'indagine conoscitiva sui reati in materia di traffico di stupefacenti. L'iniziativa rientra nella battaglia che la Lega intende condurre contro la diffusione - in aumento - della droga nel nostro Paese. Una lotta che, da alcuni anni a questa parte, sembra essere stata completamente abbandonata, con i risultati che purtroppo abbiamo sempre più spesso sotto agli occhi.Senatore, perché questa indagine?«Il regolamento del Senato consente alle commissioni di effettuare delle indagini nelle materie di competenza. Quello che abbiamo fatto in commissione Giustizia, su stimolo di Matteo Salvini e insieme con tutti componenti del gruppo Lega, è stato semplicemente applicarlo. Di commissioni, indagini e approfondimenti si sente parlare spesso. Poi, però, prima di vedere qualcosa di concreto (sempre che lo si veda) talvolta passano mesi o anni».Voi quando inizierete a lavorare?«L'indagine partirà già dalla prossima settimana. A indagare saranno gli stessi componenti della commissione Giustizia del Senato, coadiuvati dai funzionari e coordinati dal sottoscritto. Nel giro di quattro o cinque mesi al massimo tireremo le somme, confrontando informazioni e dati raccolti da tribunali, Procure, carceri, centri di recupero oppure direttamente sul campo, a seguito di ispezioni».Tutto questo lavoro a che cosa dovrebbe servire?«Grazie a questo lavoro potremo disegnare un atlante completo dei procedimenti in merito a cessione, vendita e traffico di stupefacenti e loro esecuzione, e dare delle risposte finalmente efficaci in sede legislativa. Faccio un esempio. Nel 2018 sono state segnalate all'autorità giudiziaria 35.700 persone. Se 10.700 sono in libertà, significa che qualcosa non funziona».Beh, è abbastanza evidente. Il problema è: che cosa?«Con questa indagine vogliamo capire cosa e a che livello, per poi cambiare. Il progetto di legge della Lega e di Salvini in realtà esiste già ed è stato depositato nei giorni scorsi alla Camera, uguale a quello già depositato al Senato, a prima firma del capogruppo Massimiliano Romeo. L'idea di base è che bisogna sanzionare in modo più pesante tutte le cessioni di stupefacenti, anche di modica quantità. Che poi sono la maggior parte e a oggi sono punite con una pena ridicola, un minimo di sei mesi: e questo consente ai pusher di uscire subito di galera. Anzi, di non passarci nemmeno un giorno».Come è possibile?«Chiedono l'immediata applicazione della pena, patteggiano e tornano in strada a spacciare e sfottere le nostre forze dell'ordine. Cose che succedono solo in Italia… Un altro punto importante riguarda la provenienza degli spacciatori. Sono dati su cui troppo spesso si sorvola. Nel 2018 sono stati 14.200 gli stranieri denunciati per spaccio, cessione o traffico di droga. Poco meno del 40% per cento del totale. Ciò conferma una realtà nota: in Italia l'attività di spaccio è, specialmente in certe piazze, saldamente in mano a non italiani. Nel 2018 però è emersa una novità».Ovvero?«Mentre il dato su marocchini, albanesi e tunisini è sostanzialmente stabile, il contributo dei nigeriani allo spaccio di droga è esploso, con un +25% di denunce. E questo è davvero preoccupante. Perché mentre i maghrebini si muovono in piccoli gruppi familiari e non riescono a tessere legami con grandi organizzazioni criminali, i nigeriani operano in clan, come una vera organizzazione mafiosa, capace di radicarsi sul territorio».Che però ci fosse un problema legato anche all'immigrazione era noto. Eppure non è mai stato preso di petto. Lei pensa che non sia stato fatto abbastanza riguardo la lotta alla droga nel nostro Paese?«Non è stato fatto abbastanza e mi pare evidente. Se a ogni angolo delle nostre città ci sono spacciatori, significa che la domanda di droga è forte, anzi fortissima. Per questo servono leggi nuove, che non permettano ai pusher di farla franca. Però, sia chiaro, in Italia non c'è solo un problema di leggi. La vera sfida è l'educazione: se ai ragazzi non insegni che la vita è un dono da custodire e non un'opportunità da sfruttare a seconda di come ti gira sul momento, ci saranno sempre drogati o, quantomeno, ragazzi che vogliono provare a drogarsi».A questo proposito c'è un altro tema interessante. Quale è la vostra posizione sulla cosiddetta cannabis light? Il quadro per ora non appare chiarissimo, anzi.«Uno Stato che ti dice: prendi questa sostanza, è uguale alla droga, stesso sapore, stesso gusto, ma non ti sballa, cosa ti sta invitando a fare? Light o meno, la cannabis è pericolosa, sia per i danni sulla psiche, sia perché introduce l'idea di sballo ed educa a un comportamento sbagliato. Siamo seri: se suo figlio adolescente consumasse “solo" cannabis light, lei sarebbe contento?».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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