2020-04-03
Un quinto dei soldi regalati agli ospedali se lo prende il fisco
Le cliniche aiutate dalle offerte degli italiani pagano l'Iva al 22% sui dispositivi medici. L'erario fa sconti solo per gli assorbenti.La torta delle donazioni continua a lievitare e fa gola a molti. Ai malintenzionati che piazzano annunci farlocchi in giro per la Rete, alle piattaforme for profit di crowfunding che vivono di questo (ognuna con la sua dose di trasparenza), ma soprattutto al fisco, che si è già tagliato la fetta più grossa. Sì, perché mentre ci facevamo distrarre dalla gazzarra che il Codacons montava contro Fedez e Chiara Ferragni, «colpevoli» di aver tirato fuori di tasca loro 100.000 euro e di aver mobilitato i fan a raccogliere 4 milioni su Gofundme per il San Raffaele (4.473.000 euro, mentre questo giornale va in stampa), ci siamo dimenticati dell'Erario. Ma lui era lì, sotto porta, puntuale e implacabile come un bomber di razza, quando il campionato non è sospeso. E così, mentre gli italiani donavano, aderendo a una miriade di campagne per aiutare i malati di Covid-19 e aumentare i posti in terapia intensiva, lui già pensava a riscuotere. Il meccanismo è talmente banale da far spavento: gli ospedali italiani - quelli con gli infermieri allo stremo e senza mascherine - ricevono i soldi (non solo, ma anche dai fan dei Ferragnez, da quelli di Totti, dai tifosi della nazionale campione del mondo del 2006...) e si avventurano nel Far West globale per acquistare ventilatori, caschi e attrezzature per la rianimazione. Proprio quando, per miracolo, riescono a rimediare quello che gli serve, ecco la doccia fredda: sui dispositivi medicali c'è l'Iva, al 22% (da pagare, senza scaricare, perché gli ospedali vengono considerati «utenti finali»). Ma come, più di un quinto delle donazioni rischia di finire in tasse? L'avrà abbassata la gabella Winston Conte in uno dei suoi mille e un decreto (notturno), giusto? Sbagliato. Qualche esempio. È successo all'ospedale di Civitanova Marche, che aveva bisogno di un ecografo, pagato dall'intermediario filantropico fondazione Italia per il dono Onlus (6.950 euro per il macchinario, 1.529 per le Entrate). Spartito identico quando il medesimo ente no profit ha procurato 400 mascherine all'Istituto dei tumori di Milano (1.940 euro di costo, 426,80 di tasse) e un'unità di terapia intensiva al Niguarda (70.000 euro, Iva ahinoi compresa). È capitato allo stesso San Raffaele, come conferma l'istituto alla Verità, senza specificare le cifre, perché da quelle parti di polemiche ne hanno già avute troppe (il conto, anche se a spanne, lo faranno agilmente i lettori). Adesso l'importante è accogliere i pazienti nella seconda tensostruttura, per un totale di 14 nuovi posti letto in rianimazione, dotati di macchinari all'avanguardia (compreso il costosissimo Ecmo, che permette di far riposare cuore e polmoni). Il tutto per una spesa di circa 7 milioni di euro. Ma, ovviamente, accade e accadrà in ogni struttura sanitaria d'Italia. Perché per le tasse non c'è zona franca o eccezione. Neanche - azzardiamo un'ipotesi estrema? - una pandemia globale da quasi 14.000 morti, solo in Italia. Da noi, per pagare e morire c'è sempre (meno) tempo. E non è finita, perché nel dramma non poteva mancare lo sberleffo. Ovvero, se il dispositivo viene comprato da un'azienda tricolore l'imposta si paga senza fiatare. Se la strumentazione viene donata dall'estero, da Panama o dallo Stato libero di Bananas, il dazio sparisce (grazie al decreto n. 633 del 1972, che interviene in caso di «catastrofe»). Mentre se le attrezzature vengono importate dall'estero, l'Iva dovrebbe rimanere, ma una circolare dell'Agenzia delle dogane (n. 93201 del 17 marzo 2020) lascia intendere che anche in questo caso ci sarà un'esenzione. Per la gioia delle imprese straniere che ci fanno concorrenza.In tutto questo - diamo a Cesare quello che è di Giuseppi - il governo giallorosso una piccola cosa buona l'ha fatta. Con il decreto legge del 17 marzo 2020, n.18, l'esecutivo ha previsto per le erogazioni liberali «una detrazione dall'imposta lorda pari al 30% (per un importo non superiore a 30.000 euro)». Questo significa che se un cittadino dona 100 euro, 30 li può detrarre dalle tasse (e questo è un innegabile incentivo a donare). Ma se poi l'esecutivo non abbassa l'Iva ai manager della sanità (almeno al 10%, chiedere il 5% come per gli assorbenti forse è troppo) che possono spendere i soldi donati dagli italiani, 22 di quei 100 finiscono nelle casse dello Stato e non nelle corsie degli ospedali. Non è la stessa cosa, sia perché queste partite di giro fanno perdere un sacco di tempo e disperdono risorse (togliendole subito da dove c'è bisogno per riportarle nel calderone). Sia perché così il principio di sussidiarietà viene usato dallo Stato come sgravio di responsabilità verso il basso per giustificare la sua assenza di azione (come lasciavano intuire le parole del commissario Domenico Arcuri in una recente conferenza stampa) e non come sostegno al livello più vicino possibile ai cittadini. Se il potere centrale, nel momento del bisogno, al posto di aiutare gli enti locali e la società civile (essendo appunto «sussidiario»), prima li invita ad arrangiarsi e poi ci fa pure la cresta, allora il modello che hanno in testa a Roma non è nemmeno Churchill, ma lo sceriffo di Nottingham. E, in confronto, la società californiana di crowfunding Gofundme sembra la Caritas. Perché è vero che il portale preferito dai Vip prova a tenersi il 10%, preselezionando l'opzione «mancia» e magari molti utenti non se ne accorgono (per la cronaca, Fedez&Ferragni ne hanno ottenuto giustamente la rimozione). Ma dal fisco ti aspetteresti almeno che chieda la stessa fetta di torta. Non una grande il doppio.
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