2019-03-05
Un altro capo ultras imbarazza la Juventus
Andrea Puntorno, ex leader della curva bianconera, arrestato dalla Dia nell'ambito di un'operazione antimafia nell'Agrigentino. Intervistato da «Report», si era vantato di essersi arricchito vendendo i biglietti ricevuti dalla società (estranea all'inchiesta).Da leader della frangia della curva juventina denominata «Bravi ragazzi» si era autoproclamato in tv re dei bagarini, ma in realtà era anche uno dei più quotati broker della droga del Sud Italia. L'ultrà siciliano Andrea Puntorno, 42 anni, sorvegliato speciale di pubblica sicurezza con relazioni pericolose nella 'ndrangheta e strette parentele nella nuova mafia siciliana di Antonio Massimino, il boss indicato dagli investigatori come un capobastone «tracotante» e spietato, «disposto a uccidere anche bambini pur di affermare il dominio della sua cosca ad Agrigento», aveva creato già diversi imbarazzi in casa Juve. E da protagonista delle indagini torinesi sul bagarinaggio all'Allianz Stadium, che avevano messo nel mirino sia alcuni ultrà della Juve sia alcuni dirigenti zebrati dopo una puntata di Report, è finito al centro anche dell'inchiesta antimafia siciliana denominata Kerkent. Con un bagaglio di precedenti penali da far invidia a più di un luogotenente del boss Massimino, Puntorno aveva il compito di mantenere buone relazioni con gli altri cartelli della droga. L'accusa: «Concorso esterno in associazione mafiosa». La fama lo precedeva. Gli investigatori, che già sapevano della parentela (tramite la sorella che ha sposato il fratello del boss), hanno ascoltato una conversazione intercettata a bordo di un'automobile nella quale uno degli indagati affermava che il leader dei «Bravi ragazzi» (gruppo oggi ai margini della tifoseria juventina) «con i suoi agganci si può permettere di prendere qualsiasi cosa (per gli investigatori in questo punto della telefonata si fa riferimento alla droga ndr), con pagamento posticipato». I due interlocutori, con il classico gergo della mala, lo hanno definito «uno grosso», ossia con appoggi importanti. Aveva lasciato Torino un anno fa, dopo due arresti per droga nel 2012 e nel 2014, una condanna a sei anni di reclusione e una confisca di beni per 500.000 euro, ed era tornato a casa, ad Agrigento. Lì, con la sfrontatezza di sempre, che lo aveva portato a dichiarare in tv che «la Juve ha sempre dato delle quote di biglietti e di abbonamenti agli ultrà per quieto vivere» e che «con i biglietti faccio dai 25 ai 40.000 euro a settimana», si è imposto come «un criminale di spessore, molto cinico, capace di ogni nefandezza». Le parole sono del capocentro della Dia di Palermo Antonio Amoroso. Ma la stessa descrizione è stampata nell'ordinanza di custodia cautelare che ieri mattina è stata notificata a Puntorno, al boss Massimino e ad altri 32 esponenti del clan. Alla cosca vengono contestati traffico di droga, sequestri di persona e addirittura stupri. Un'accusa che nasce da una truffa ai danni di un commerciante di auto. L'acquirente avrebbe pagato con un assegno scoperto. Ma il commerciante, invece di denunciare, si è rivolto al boss. Uno dei picciotti della cosca ha dato appuntamento al truffatore in un capannone della periferia di Agrigento che per qualche ora è diventata la sua prigione. Armi in pugno e alla presenza del capo clan è stato costretto a restituire l'auto. In quella occasione, secondo l'accusa, Massimino si sarebbe spinto a molestare la compagna dell'uomo, palpandola nelle parti intime. Fin qui la criminalità organizzata. Gli investigatori, però, ricostruiscono anche l'area grigia «di promiscuità tra le tifoserie estreme degli ultrà e la criminalità organizzata». È il perimetro in cui Puntorno si sarebbe mosso con nonchalance, nonostante le prescrizioni che gli erano state imposte dal giudice di sorveglianza di Torino che, insieme al sequestro di due case e di una moto, lo obbligò «a non allontanarsi dalla propria dimora senza preavviso e a non associarsi a pregiudicati». Ma anche a «non rincasare la sera dopo le 21, a non uscire la mattina prima delle sette e a non partecipare a pubbliche riunioni». Le riunioni, infatti, le faceva di nascosto. Soprattutto con i corrieri della droga che mandava in Calabria, come descritto nell'ordinanza d'arresto, per gli approvvigionamenti. L'area grigia, raccontata in più occasioni dalla Verità, è la stessa che appariva sullo sfondo di altre inchieste. Era stata la moglie di Puntorno, Patrizia Fiorillo, a svelarne alcuni retroscena ai pm torinesi: «La Juve pratica il prezzo normale, poi sta a loro fare il sovrapprezzo. Andrea riceve le somme provento della vendita dei biglietti, paga la Juve, ottiene il suo margine, una parte del quale va versato ai carcerati». Tipico del mondo malavitoso. Quelle indagini divennero ancor più delicate dopo la morte, nel 2016, di Raffaello Bucci, il collaboratore della Juventus che si è suicidato lanciandosi da un ponte dopo essere stato interrogato in Procura. Puntorno era uno dei personaggi centrali di quell'inchiesta su tifoserie malate e spaccio che già allora puntava verso Agrigento. La seconda parte di quella storia l'ha raccontata ieri l'antimafia siciliana. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini, soddisfatto, ha commentato: «Le nostre forze dell'ordine e gli inquirenti ci regalano l'ennesima grande operazione per cui essere orgogliosi. Avanti così, senza fermarsi».
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