Modificati gli articoli 9 e 41, la tutela dell’ambiente riconosciuta dalla norma fondamentale sull’onda degli allarmi di Greta Thunberg. Ormai si procede solo per blitz e urgenze, ma così la democrazia è a rischio.
Modificati gli articoli 9 e 41, la tutela dell’ambiente riconosciuta dalla norma fondamentale sull’onda degli allarmi di Greta Thunberg. Ormai si procede solo per blitz e urgenze, ma così la democrazia è a rischio.Greta Thunberg entra in Costituzione. In virtù della riforma approvata martedì alla Camera, la nostra beneamata Repubblica s’impegna non più solo a promuovere cultura e ricerca e a custodire paesaggio e patrimonio storico-artistico, ma altresì a tutelare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». D’ora in avanti, «la legge dello Stato» disciplinerà «i modi e le forme di tutela degli animali» (nuovo articolo 9). Il legislatore è intervenuto pure sull’articolo 41 della Carta fondamentale, chiarendo che «l’iniziativa economica privata», già sottoposta ai vincoli della «utilità sociale», della «sicurezza», della «libertà» e della «dignità umana», non potrà recare pregiudizio «alla salute» e «all’ambiente». Anzi, dovrà essere coordinata «a fini sociali e ambientali». Una svolta «storica», come da esultanza del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani? Indubbiamente. Ma non in senso positivo. Diradato il fumo verde, si scorgono almeno cinque motivi per essere preoccupati.Primo: esiste un problema di metodo. Una legge di modifica costituzionale, depositata a giugno 2021 su iniziativa bipartisan - da Loredana De Petris di Leu, a Roberto Calderoli della Lega - è stata licenziata, con sollecitudine, senza che l’opinione pubblica fosse significativamente coinvolta nella discussione. Era materia parlamentare? Sì; ma per ovvie ragioni di trasparenza e responsabilità, gli italiani andavano informati. Al confronto, dentro e fuori l’Aula, è stato sostituito un insolito unanimismo (l’unica a votare contro la riforma è stata Maria Cristina Caretta, deputata di Fdi), al netto del negoziato condotto nei mesi, a colpi di emendamenti, prima di arrivare al testo finale. Con l’aggravante che, essendo stati superati, in seconda deliberazione, i due terzi dei consensi in Parlamento, non sarà nemmeno necessario indire un referendum. Tutto in regola sul piano formale, però i politici hanno fatto comunella e il «popolo sovrano» non ha sfiorato palla. È lecito essere un tantinello stizziti? Secondo: si è prodotto un allarmante cortocircuito istituzionale. Ieri, con un post sui social, la Consulta salutava, giubilante, «una storica riforma costituzionale sulla tutela dell’ambiente». Esposizione inopportuna, con un linguaggio inutilmente celebrativo, da parte dell’organismo che, in teoria, dovrebbe vigilare affinché la Costituzione sia conservata - almeno nel suo spirito - e non festeggiare, sui suoi canali informatici, le occasioni in cui viene emendata. È normale che sorvegliante e sorvegliato procedano a braccetto e non si sforzino neanche di nasconderlo?Terzo: si profila un potenziale conflitto di attribuzioni tra diversi livelli di governo. Se spetta alla legge dello Stato definire i novelli imperativi animalisti, qualsiasi disposizione regionale, in ambiti quali l’allevamento e la caccia, diventa potenzialmente censurabile. Un ulteriore passo in direzione della centralizzazione, che si somma al carattere tecnocratico e verticistico del Pnrr e alla spinta altrettanto centripeta impressa dall’Ue, sulla scorta della pandemia. Mettere a dieta il Leviatano mai, eh? Quarto: si staglia un’ombra inquietante sul nostro sistema politico. Nel giro di dieci anni, la Costituzione è stata modificata due volte - nel 2012, per inserirvi il pareggio di bilancio; ora, per introdurre la tutela di ambiente e animali - e di fatto sospesa in una circostanza, per un lungo periodo, sulla scorta delle sempre susseguentisi emergenze: lo spread, il Covid, la «crisi climatica». Tuttavia, una Costituzione è per essenza il pilastro della comunità, concepito per rimanere saldo, stabile, fermo, a maggior ragione quando la situazione precipita. Ci si inventa un documento che sancisce diritti e frena il potere non tanto per i tempi normali, quanto per quelli straordinari. Ciò non significa che una Carta debba restare immota; però - è il caso della sterzata ecologista - una riforma potrebbe essere trascinata da mode, propaganda, allarmi opportunistici, financo illusioni di massa. Se, nell’era del governo per emergenze, a ogni imprevisto, a ogni ipotetica sfida epocale, si interviene sulla legge fondamentale della Repubblica, la natura stessa dell’architettura politica risulta stravolta. Penetra, nel genoma delle istituzioni, la logica perniciosa dello stato d’eccezione permanente. La risolviamo con uno sciopero contro il climate change? Quinto: s’intravedono dei trappoloni. A cominciare da un inaudito scrutinio pubblico preventivo dell’intrapresa economica. Tanto più che qualsiasi attività genera un impatto ambientale, incluso ricoprire il crinale di una collina di pannelli fotovoltaici, o piantare un parco eolico in mezzo al mare. Lo sentite l’olezzo del dirigismo deteriore? Dello Stato che, anziché limitarsi a sorvegliare i settori strategici, vaglia e indirizza minuziosamente l’impresa privata? Senza contare l’insidioso richiamo ai posteri: chiunque si preoccupa di figli e nipoti; ma nessuno vorrebbe che, nel nome delle generazioni future, si vessino quelle presenti. Magari, sottoponendole a una sorta di comunismo ecoanimalista. È il solito ambientalismo-cocomero: verde fuori, rosso dentro. Giulio Andreotti ci aveva visto giusto. Ma perché la destra ci ha messo la firma (e i voti)?
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






