2019-05-19
Umbria, la Marini senza vergogna. Vota contro le dimissioni e si salva
Indagata per la Sanitopoli, resta governatrice grazie alla fronda dei renziani tra i dem. A orchestrare la rivolta pare sia stata la vicepresidente nazionale del Pd Anna Ascani che alle primarie ha corso in ticket con Roberto Giachetti contro Nicola Zingaretti e che da tempo aspira a sostituire Maria Elena Boschi nel cuore dei renziani.Finisce in farsa e apre una nuova stagione di guerra per bande nel Pd la vicenda, cavalcata dai renziani contro Nicola Zingaretti, delle dimissioni di Catiuscia Marini da presidente della Regione Umbria. Siamo al «mi dimetto, ma voto contro le mie dimissioni». La Marini è indagata per i concorsi truccati nella sanità che hanno portato agli arresti domiciliari l'assessore alla Sanità Luca Barberini - poi rimesso in libertà - e Gianpiero Bocci, ex sottosegretario agli Interni con Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni e già segretario regionale del Pd, e ieri si è presentata in Consiglio regionale per confermare le sue dimissioni impostele dal segretario del partito Nicola Zingaretti all'indomani dell'avviso di garanzia. Dimissioni che erano «irrevocabili» e che - come rivelato due settimane fa dalla Verità - sono però diventate revocabilissime. Ma andiamo per ordine anche se di ordine nel Pd ce n'è davvero poco. Ieri il Consiglio regionale ha respinto con 11 voti contro 8 , compreso quello decisivo della Marini senza il quale non sarebbe stata raggiunta la maggioranza assoluta necessaria alla mozione democratica, le dimissioni della stessa Marini. A orchestrare la rivolta come anticipato da questo giornale nelle scorse settimane pare sia stata la vicepresidente nazionale del Pd Anna Ascani - è di Citta di Castello - che alle primarie ha corso in ticket con Roberto Giachetti contro Zingaretti e che da tempo aspira a sostituire Maria Elena Boschi nel cuore dei renziani, compreso quello del capo. L'Ascani ha ordinato ai suoi di appoggiare la Marini che dopo le dimissioni ha cominciato il suo martirologio, ripetuto anche ieri, dicendo d'esser stata discriminata in quanto donna. Non a caso ieri il primo a parlare in Consiglio regionale per illustrare la mozione di maggioranza che respingeva le dimissioni della Marini è stato Silvano Rometti (Socialisti) che è di Città di Castello. Per lui «la legislatura non arriverà a scadenza naturale, ma le dimissioni della Marini sono frettolose; e stupisce l'atteggiamento del Pd». Era il segnale che la Marini attendeva; sa che può farcela anche se deve ricorrere al proprio voto e va giù durissima contro il suo partito: «Il presidente di una Regione non può essere sottoposto a ricatto, né da parte della società, né da parte delle forze politiche, né dalla comunità politica di appartenenza. Ho riflettuto sulle dimissioni, voglio condurle e guidarle». Arriva la bordata contro Zingaretti: «Non è accettabile il comportamento di chi ha provato a parlare a nome del Pd senza ascoltare il Pd. Non lascio macerie in questa regione, neppure nella sanità, so di avere rispettato la legge e spero un giorno di poterlo dimostrare». Nelle dichiarazioni di voto c'è solo un mal di pancia nel Pd, quello di Giacomo Leonelli che ribadisce la necessità delle dimissioni, ma viene spiazzato dal vicepresidente della giunta Fabio Paparelli che si allinea alla Marini e al capogruppo del Pd Gianfranco Chiacchieroni che rivendica la bontà della guida dell'Umbria e avverte che ci sono ancora molte cose da fare. Si va alla conta: 11 contro 8 e Catiuscia Marini che si autovota può dire: «Ci rifletterò, ma deciderò in fretta sulla dimissioni», quasi una presa in giro perché lei resterà al suo posto e anzi ironicamente dice ai cronisti: «Beh salutatemi Zingaretti». Ora ci sono le europee e le amministrative che in Umbria interessano quasi il 60% degli elettori. Arriva pure l'excusatio non petita della Marini: «Voterò Pd convintamente, mi auguro che abbia un notevole successo». Ma i renziani non aspettano altro che crocifiggere Zingaretti al risultato elettorale. La battaglia non è più a Perugia. Alea iacta est, il Pd umbro ha varcato il Tevere: la guerra ora si fa a Roma.
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.