
Imposte sugli imprenditori, accise, aliquote sulle plusvalenze: manovra lacrime e sangue da Downing street.Di fronte alle notizie sulle grooming gangs pachistane in Uk c’è chi preferisce spostare l’attenzione dall’elefante nella stanza dando la colpa a Elon Musk che ha fatto affiorare lo scandalo della sistematica violenza sui minori e dell’insabbiamento da parte delle autorità, per paura di apparire razzisti. C’è chi parla di strumentalizzazione politica ribattendo che la questione «è complessa», che si tratta di una storia vecchia e che le inchieste sono state bloccate per anni dai conservatori mentre i laburisti sono al governo solo da cinque mesi.Di certo, a fare i conti con quella che è solo l’ennesima conferma di un drammatico problema sociale, è il governo di Keir Starmer. Nei confronti del quale sta montando l’insoddisfazione degli inglesi anche, o forse soprattutto, per questioni economiche. Ovvero per i 41 miliardi di sterline (quasi 50 miliardi di euro) di tasse in più all’anno, uno degli aumenti percentuali più alti di sempre, tra contributi per i datori di lavoro, accise varie e aliquote sulle plusvalenze. Si tratta degli effetti della finanziaria laburista varata nell’autunno scorso (la prima firmata da una donna, la cancelliera Rachel Reeves, che si è fatta fotografare nel suo studio con il ritratto di Ellen Wilkinson, tra i fondatori del Partito comunista britannico). La manovra, che ha alzato i salari al settore pubblico per chiudere lunghe vertenze sindacali mentre l’aumento principale delle tasse riguarda i datori di lavoro, è stata bocciata dalla Confederazione dell’industria britannica: «Il budget ha reso la situazione ancora più difficile per le nostre aziende, con la metà di esse che prevede di ridurre il personale», ha detto a novembre la direttrice generale Rain Newton-Smith parlando a Londra davanti alla platea degli imprenditori riuniti per la conferenza annuale. Ha sottolineato, inoltre, che l’aumento dell’imposta sui contributi previdenziali della cosiddetta National insurance per la parte a carico delle aziende, voluta dalla Reeves, «ha colto di sorpresa» il mondo del business così come il cospicuo incremento del salario minimo. Oltre agli industriali, altri settori dell’economia britannica hanno protestato per la finanziaria, come gli agricoltori che a migliaia hanno manifestato nel centro di Londra tra Westminster e Whitehall.Non solo. Lo scorso 17 dicembre il governo laburista ha escluso la concessione di un risarcimento a più di tre milioni di donne, nate negli anni Cinquanta e penalizzate dall’innalzamento dell’età pensionistica introdotto in passato nel Regno Unito, che avevano lanciato una vasta campagna di mobilitazione chiamata Women against State pension inequality (Waspi). La decisione della ministra del Lavoro e delle Pensioni, Liz Kendall, giustificata col fatto che «non sarebbe giusto» per gli altri contribuenti, ha scatenato forti polemiche. La campagna Waspi ha descritto la decisione come un «insulto», contestando la scelta di ignorare un parere presentato nei mesi precedenti. In marzo, infatti, era stato stabilito il diritto a un risarcimento da parte del governo, compreso tra 1.000 e 3.000 sterline per ogni donna, in base al rapporto (non vincolante) del Parliamentary and Health service ombudsman, l’autorità garante a cui erano stati sottoposti i casi di numerose lavoratrici che avevano dovuto attendere più a lungo prima di godersi il meritato riposo e avevano lamentato una mancanza di trasparenza e informazione da parte dello Stato.La manovra del governo Starmer ha, inoltre, scatenato la reazione di chi ha attività finanziarie o legami con il Regno Unito: il 42% di essi ora cerca attivamente di trasferire la propria ricchezza e i propri beni fuori dalla Gran Bretagna e in giurisdizioni più favorevoli alle tasse, secondo i sondaggi più recenti come quello condotto la settimana prima di Natale da deVere group, una delle più grandi organizzazioni indipendenti di consulenza finanziaria e gestione patrimoniale al mondo.Famiglie, titolari di aziende e investitori stanno esplorando opzioni alternative per mitigare l’impatto del nuovo panorama fiscale che include maggiori plusvalenze e modifiche dell’imposta di successione sulle pensioni, l’abolizione dello status fiscale di non domiciliato e aumenti dei contributi previdenziali nazionali.Secondo un altro studio di Oxford economics, quasi due terzi (63%) degli investitori facoltosi hanno dichiarato di voler lasciare il Regno Unito entro due anni o «a breve» se il governo laburista andrà avanti con i piani per eliminare la concessione fiscale dell’era coloniale, mentre il 67% ha affermato che non sarebbe emigrato in Gran Bretagna in primo luogo. Il riferimento è al regime non-dom, una norma fiscale vecchia di 200 anni che consente alle persone che vivono nel Regno Unito ma che sono domiciliate altrove di evitare di pagare le tasse sui redditi e sulle plusvalenze all’estero per un massimo di 15 anni. I laburisti hanno deciso di abolire lo status. In generale, lo studio stima che i cambiamenti varati con la nuova manovra costeranno ai contribuenti 1 miliardo di sterline entro il 2029/30.
Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.





