2020-11-24
Ufficiale: il Recovery fund non c’è. I soldi per ora ce li mettiamo noi
Christine Lagarde (Getty images)
La manovra in discussione stanzia 120 miliardi per il prossimo triennio che dovrebbero essere rimborsati dai prestiti dell'Ue. Il meccanismo assurdo dimostra che i sussidi servono solo a introdurre vincoli politici.Il Recovery fund non esiste. Quello che appariva chiaro da mesi semplicemente osservando lo stato confusionale in cui giacciono le trattative europee, ora è nero su bianco nel testo della Legge di bilancio che si appresta al solito passaggio monocamerale cui ormai il Paese si è abituato. Non si tratta di scetticismo preconcetto, ma di semplice lettura della norma attualmente in discussione - con tempi contingentati e in clamoroso ritardo - alla Commissione competente di Montecitorio. L'articolo 184 vede, rispetto alle bozze dell'articolato circolate un paio di settimane fa, tre numeri che sostituiscono le tragiche «XXX» dietro cui i tecnici del Mef avevano celato l'imbarazzo di non sapere quanti miliardi, della famosa «pioggia» di aiuti europei, avremmo avuto nei prossimi anni. Qui i numeri ci sono, ma poiché l'esito delle negoziazioni europee è tuttora in alto mare a causa dei veti di Ungheria, Polonia e Slovenia, al Mef sono stati costretti a fare di necessità virtù e hanno messo mano al portafogli.L'articolo citato istituisce il «Fondo di rotazione per l'attuazione del Next Generation Eu - Italia», sotto forma di «anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall'Unione europea»: al posto delle «XXX» delle bozze, il comma interessato parla di 34.775 milioni di euro (34,8 miliardi) per il 2021, 41.305 milioni (41,3 miliardi) nel 2022 e 44.573 milioni (44,5 miliardi) nel 2023. Tradotto: in assenza di Recovery fund (il regolamento è al centro di una complicata trattativa tra Commissione, Consiglio ed Europarlamento, di cui non si intravvede ancora l'esito), la manovra stanzia circa 120 miliardi di euro per i prossimi tre anni. Una domanda pare inevitabile: da dove arriveranno questi soldi? Da dove sono arrivati quelli - per un importo paragonabile - fin qui spesi in extradeficit per il 2020: formalmente dal mercato, a cui però la Banca centrale europea lascerà le briciole, perché trasformatasi (de facto, se non de iure) in compratore netto di ultima istanza. Quel denaro sarà raccolto e destinato a quel fondo a prescindere dal ritardo o dal (poco probabile) mancato avvio del Next Generation Eu. Il tribolato varo dei regolamenti europei, quando avverrà, consentirà l'approvazione dei progetti da parte della Commissione e la destinazione delle somme del fondo alle varie amministrazioni incaricate della sua attuazione, che saranno poi seguiti dai rendiconti e dai rimborsi provenienti da Bruxelles. Malgrado le rassicurazioni, aspettarseli nella prima metà del 2021 pare utopico. Ma intanto il nostro fondo è già là, da subito. Prova ne è che circa 9 di quei 35 miliardi stanziati per il 2021 sono già destinati a finanziare (5,3 miliardi) il credito di imposta per industria 4.0 e la decontribuzione per il Sud (3,5 miliardi). Senza attendere nemmeno l'approvazione del progetto. Evidentemente il governo si sente certo dell'ok (ex post nel 2021) di queste destinazioni di spesa e, per farle partire subito, ha dovuto allargare i cordoni della borsa.Qui comincia a intravvedersi un'ombra di surrealtà che si staglia su tutta la procedura: perché, se il governo può impegnare 120 miliardi di cui quasi 35 nel 2021, serve il Recovery fund? Si può obiettare che parte dei sussidi europei non prevedono restituzione, e dunque quando arriveranno andranno in qualche modo a rimborsare i fondi stanziati. Ma siccome anche i sussidi si tradurranno in un futuro prossimo in maggiori contributi dell'Italia verso il bilancio Ue, la domanda si ripropone con maggior forza: perché? Il Rf, con i suoi tempi tragici, funzionerà così: gli Stati si impegnano a versare al bilancio Ue maggiori somme affinché esso faccia da garanzia per l'emissione di bond da parte della Commissione, e la Commissione li redistribuirà alle sue duplici condizioni: finanziarie e politiche. Finanziarie, perché con ogni probabilità si tratterà di prestiti «senior», dunque da rimborsare prima degli altri debiti, come accadrà per il Sure e, in caso di accesso, per il Mes. E soprattutto politiche. Infatti, come si legge nero su bianco, la Legge di bilancio stanzia decine di miliardi in attesa che la Commissione li rimborsi attraverso un giro molto più complesso che finisce comunque con la creazione di denaro della Bce. Sono tutti matti? No. Questo «giro lungo» contiene un fattore politico gigantesco, altrimenti detto vincolo esterno: il controllo sulla spesa. A parità di soldi stanziati per la stessa destinazione (esempio: costruire 100 ospedali), infatti, l'unica differenza nell'usare il Recovery fund (oltre alla citata seniority del debito) è un «passaggio a livello» che può sospendere l'erogazione dei fondi, attraverso meccanismi complicatissimi e iperburocratici, o attraverso «trappole» come il pretestuoso condizionamento dei prestiti alle regole dello stato di diritto di cui tanto si discute. Cosa che, ovviamente, non accade attraverso il normale approvvigionamento sul mercato. Tale condizionamento è stato ribadito quattro giorni fa dal Commissario Paolo Gentiloni: «La Commissione non dispensa bonifici, non è un intermediario finanziario». A conti fatti, dunque, non è neppure vero che il Recovery non serve: è, peggio ancora, un ostacolo alla spesa di cui il tessuto socioeconomico del Paese ha un disperato bisogno.