2025-01-31
L’Ue «tifa» Mercosur: dramma per l’export
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea (Ansa)
Iniziata la discussione sugli accordi commerciali con il Sudamerica che rischiano di affossare l’agricoltura e di creare una frattura con gli Usa che anche in quell’area sono in competizione con Pechino. Intanto sulle multe auto ci vorranno tre mesi per una decisione.Dopo aver presentato la nuova bussola europea per il futuro dell’industria, bussola che non è stata sottoscritta dai sindacati Ue perché rema nella direzione della disoccupazione, ieri Ursula von der Leyen si è concentrata sul mercato dell’auto. promettendo di dare nuova linfa a quella pianta che la sua maggioranza e il suo governo hanno pensato bene di potare fino alle radici. «L’industria automobilistica», ha detto la Von der Leyen, «si trova in un momento cruciale e riconosciamo le sfide che deve affrontare. Ecco perché stiamo agendo rapidamente per affrontarle». Ogni persona di buon senso dovrebbe fermare qui la registrazione della conferenza e uscire all’aria aperta. Donald Trump affronta con celerità i problemi dell’auto. Infatti, ha firmato un ordine esecutivo e guarda caso l’indomani John Elkann era al suo cospetto garantendo 5 miliardi di investimenti in Illinois e altri Stati. Investimenti che serviranno a produrre nuovi pick up, vetture molto diverse da quelle che Stellantis vorrebbe produrre in Spagna con il partner cinese da poco finito nella black list Usa. Questo è essere rapidi. Invece, la Commissione ha ricevuto le prime denunce sui rischi delle multe per le extra emissioni di CO2 lo scorso ottobre. Prima reazione: non rispondere. Poi si sono mossi anche gli Stati, Italia in primis. Risultato: a gennaio è scattata la tagliola delle multe per le case automobilistiche e la risposta è stata fissare una serie di incontri con i cosiddetti stakeholder. La discussione terminerà a marzo e poi si prenderanno delle decisioni. Sarà un «ni». Le multe saranno ridotte e modificati i target. Tutto qui. Una minestra riscaldata dal sapore cattivo. Intanto le case automobilistiche hanno preso due strade. Alcune hanno avviato accordi con società cinesi per cercare di mantenere i livelli produttivi delle fabbriche e non licenziare troppe persone. Altre hanno fatto accordi con aziende come Tesla per scambiarsi crediti verdi e ridurre gli importi delle multe. Nel primo caso si abdica a produrre e nel secondo si portano profitti all’estero. Ecco la situazione è semplicemente questa. E proseguendo nell’ascolto delle dichiarazioni della Von der Leyen l’ottimismo non bussa di certo. «La domanda fondamentale a cui dobbiamo rispondere insieme è cosa ci manca ancora per liberare il potere innovativo delle nostre aziende e garantire un settore automobilistico solido e sostenibile», ha proseguito il numero uno della Commissione. «La giornata di oggi (ieri, ndr) segna l’inizio di un dialogo che ci aiuterà a superare i cambiamenti futuri. Il risultato di questo dialogo sarà un piano d’azione globale, che presenteremo il 5 marzo. Questo piano d’azione traccerà un percorso chiaro per garantire che la nostra industria possa prosperare in Europa e competere con successo sulla scena globale». L’impressione è che al di là delle parole non ci sia alcuna svolta. Per carità, sempre dalla presentazione della bussola si evince che finalmente la Commissione vuole aprire al tema della neutralità tecnologica. Il che porta a ottime possibilità su alcuni temi anche cari all’Italia, come il biocarburante. Ma nel complesso sembra mancare la cognizione di quello che sarà il rapporto fra tutte le normative burocratiche e le necessità di export dei Paesi Ue. Ieri, molto in sordina e ciò è un grosso peccato, è iniziata la discussione sull’accordo con il Mercosur in Agri, la commissione dell’Europarlamento con il compito di vagliare il testo- Ecr e altri gruppi politici hanno sottolineato tutti i rischi del comparto agricolo. Comprese le disparità di obblighi rispetto alle aziende brasiliane che rappresentano la fetta più ampia di produttori agricoli e di carne. L’idea del Mercosur, benedetta persino da Sergio Mattarella, appariva già molto pericolosa prima del 20 gennaio. Adesso che Trump è stato eletto alla Casa Bianca stringere accordi multilaterali con il Sudamerica può diventare ancor più pericoloso. Al momento non è chiaro quale sarà la strategia Usa per riavvicinarsi ai Paesi a Sud di Panama, da anni abbandonati e quasi spinti verso l’influenza cinese. Il Brasile è uno di questi. Usa tecnologia cinese perché esporta materie prima in Cina. E se gli scontri commerciali tra Washington e Pechino dovessero aumentare noi ci troveremmo in mezzo. Almeno in quella parte di mondo. Se ne valesse la pena, sarebbe il caso di valutare la strada. Ma in questo caso non ci sono vantaggi per l’Europa o almeno non ci sono per l’Italia. Anche il Mercosur rischia di essere una scelta perdente su entrambe i lati. Ecco perché in questo momento sembra regnare la massima confusione. La Von der Leyen ha ribadito che il Green deal non si abbandona. Che lo stop ai motori termici, previsto per il 2035 non si archivia. Come se si voglia a tutti i costi andare allo scontro con gli Usa. Chi pensa che l’inversione di rotta sul green sia una scelta di Trump, si lascia ingannare dagli slogan. Ad aver svoltato del tutto è l’intero apparato americano. Dalla finanza, alle Big tech fino a Camera e Senato. Per cui, o la Commissione ha deciso di abbandonarsi mani e piedi alla Cina, altrimenti sarà un lungo stillicidio. In entrambe i casi l’Europa può scordarsi di dire qualcosa sul futuro del globo.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)