- Dopo il nostro diplomatico, l’Eliseo chiama quello americano in seguito alle accuse di antisemitismo. Eppure il presidente francese avrebbe altre grane a cui badare, come la fiducia all’esecutivo tra due settimane e il debito pubblico, su cui lancia l’allarme François Bayrou.
- Matteo Renzi e Pd attaccano il ministro: «Politica da bar sport». La Lega: «Parigi si rassereni».
Lo speciale contiene due articoli
Chi la fa, l’aspetti. L’antico adagio sembra calzare perfettamente per il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron che, da un paio di settimane, convoca ambasciatori di Paesi alleati al suo, come è successo con quello italiano. Domenica sera, il Quai d’Orsay, ovvero il ministero degli Esteri transalpino guidato da Jean-Noël Barrot, ha annunciato la convocazione dell’ambasciatore americano a Parigi, Charles Kushner. Il motivo? Il diplomatico di Washington ha scritto una lettera a Macron, di cui l’agenzia di stampa France Presse ha pubblicato alcuni stralci. Nella missiva si poteva leggere, tra l’altro, che l’ambasciatore americano a Parigi prova una «profonda inquietudine di fronte alla fiammata di antisemitismo in Francia» e lamenta «l’assenza di azioni sufficienti del governo, per combatterla». Il diplomatico Usa, che è il consuocero del presidente americano Donald Trump, visto che suo figlio Jared Kushner ha sposato la figlia del tycoon, Ivanka Trump, ha usato parole infuocate. «In Francia non passa giorno senza che degli ebrei siano aggrediti per strada» che «delle sinagoghe e delle scuole» vengano «danneggiate» e che «delle imprese appartenenti a degli ebrei» subiscano «atti vandalici». A supporto di queste affermazioni, Charles Kushner ha citato il ministero dell’Interno dello stesso governo francese. L’ambasciatore americano ha anche criticato le «dichiarazioni che vilipendono Israele e gesti in riconoscimento di uno Stato palestinese» che «incoraggiano gli estremisti, fomentano la violenza e mettono in pericolo il giudaismo in Francia». Poi la conclusione lapidaria: «Oggi non si può più tergiversare: l’antisionismo è antisemitismo, punto».
La risposta del Quai d’Orsay non si è fatta attendere dato che, già domenica sera, è stato diffuso un comunicato contenente un «fermo rifiuto» delle «accuse inaccettabili» da parte dell’ambasciatore statunitense a Parigi. La Farnesina francese ha scritto che «l’aumento degli atti antisemiti in Francia, dal 7 ottobre 2023, è una realtà che noi deploriamo e rispetto alla quale le autorità mostrano una mobilitazione totale». Lo stesso ministero ha poi richiamato la Convenzione di Vienna del 1961, relativa alle relazioni diplomatiche tra le nazioni, per ricordare a Washington il «dovere di non immischiarsi negli affari interni degli Stati».
E così il ministero degli Esteri di un Paese che, almeno da quando a Roma governava la coalizione gialloverde guidata da Giuseppe Conte, non lesina dichiarazioni offensive nei confronti dell’Italia, non ha gradito le parole critiche dell’ambasciatore della prima potenza mondiale. E dire che, nel 2018, quando l’Italia si era rifiutata di accogliere la nave Aquarius, il futuro premier Gabriel Attal non aveva esitato a dire che «la linea del governo italiano» era «vomitevole». Come dimenticare poi le uscite infelici, poco dopo la vittoria della coalizione di centrodestra guidata da Giorgia Meloni, dell’ex premier Elisabeth Borne e dell’allora ministro francese agli affari Ue, Laurence Boone? La prima, aveva dichiarato su Bfm Tv che sarebbe stata «attenta» affinché i «diritti umani» e il «diritto all’aborto siano rispettati da tutti». La seconda, su Repubblica, aveva promesso che lei e i suoi colleghi di governo sarebbero stati «molto vigilanti sul rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto». Chissà se qualcuno avrà mai parlato loro della Convenzione di Vienna citata da Barrot l’altro ieri. Sta di fatto che i governi che si sono succeduti a Parigi negli ultimi 10-15 anni hanno malcelato il loro disprezzo nei confronti dell’Italia, considerata un Paese debole e subalterno. Un atteggiamento che è stato più o meno accettato dagli esecutivi passati da Palazzo Chigi i cui membri, talvolta, ricevevano le medaglie della Légion d’Honneur francese.
Comunque sia, a Macron è bastata una battuta in milanese pronunciata dal vicepremier Matteo Salvini per scatenare una tempesta diplomatica. D’altra parte il presidente francese, nei suoi sette anni all’Eliseo, ha mostrato spesso quanto sia allergico alle critiche.
In ogni caso, basta leggere i media d’Oltralpe per capire meglio perché Macron possa avere i nervi a fior di pelle. Ieri il premier François Bayrou ha annunciato che l’8 settembre prossimo chiederà la fiducia al parlamento prima ancora di iniziare il dibattito sulla prossima finanziaria. Bayrou ha ricordato che «il rischio di sovraindebitamento» è un «pericolo immediato». Due giorni dopo il voto di fiducia la Francia potrebbe fermarsi su invito del collettivo «blocchiamo tutto il 10 settembre». Questa formazione potrebbe forse rilanciare le tensioni dell’epoca dei gilet gialli, interrotta anche a causa del Covid. Forse nelle stanze dei bottoni transalpine si spera che il movimento (nato come qualcosa di apolitico) si divida a causa del sostegno dichiaratogli dal leader di estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon. Se non fosse il caso, altri ambasciatori a Parigi potrebbero essere convocati dai collaboratori di Macron.
L’opposizione spara contro Salvini. Donzelli (Fdi): «Governo compatto»
«A Milano si direbbe «taches al tram»: attaccati al tram. Vacci tu se vuoi. Ti metti il caschetto, il giubbetto, il fucile e vai in Ucraina». Con queste parole Matteo Salvini, ministro dei Trasporti, ha risposto a un giornalista, che gli chiedeva un commento sull’ipotesi avanzata dal presidente francese Emmanuel Macron, di inviare soldati europei a combattere in Ucraina. Il leader leghista ha anche elogiato il presidente americano Donald Trump per il suo impegno nel cercare una soluzione al conflitto russo - ucraino: «Con i suoi modi che a volte possono sembrare bruschi o irrituali, sta riuscendo laddove hanno fallito tutti»; e ha definito «macronate» le iniziative che prevedono «eserciti europei, riarmi europei, debiti comuni europei per comprare missili». Apriti o cielo! (Mini) crisi diplomatica in corso. Da qui un’escalation di botta e risposta - coronata dalla convocazione dell’ambasciatrice italiana a Parigi, Emanuela D’Alessandro, da parte del «permaloso» Macron - che ha provocato diverse reazioni anche all’interno del mondo politico italiano. La sinistra «imbarazzata» non tarda a farsi sentire. Matteo Renzi, leader di Italia viva, ha affidato a un post su X un commento al vetriolo: «In un Paese normale la frase di Salvini contro Macron sarebbe inaccettabile. Macron usa la diplomazia, Meloni la demagogia. E con Tajani la nostra politica estera è ridotta a un bar dello sport, è insignificante». In un’intervista a Repubblica l’ex premier ha rincarato la dose: «Questi qui stanno rappresentando l’immagine della vecchia italietta che speravamo di avere archiviato». Perché gioco delle parti? Perché a Salvini serve strizzare l’occhio ai sovranisti francesi e a Giorgia Meloni serve vestire i panni della saggia».
Dal Meeting di Rimini, è intervenuto anche il capogruppo del M5s, Stefano Patuanelli: «Il governo italiano è diviso sulla politica estera in tre pezzi e lo dimostra anche la diversa adesione a famiglie europee nel Parlamento Ue. Credo che non sia soltanto Macron che in questo momento sta interferendo in un percorso di pace, ma siano la maggior parte dei leader europei, compresa Giorgia Meloni».
In tutta risposta Antonio Tajani, ministro degli affari Esteri, ospite ad Agorà su Rai3 ridimensiona la situazione, ricordando che la politica estera italiana spetta a premier e Farnesina, dichiarando: «Il presidente del Consiglio si sente con Macron, io mi sento col ministro degli Esteri. C’è collaborazione, poi possono esserci delle vedute differenti ma questo non significa che si debbano lacerare i rapporti». Sempre da Rimini, Giovanni Donzelli, deputato di Fdi, evidenzia la strumentalizzazione da parte della sinistra e ribadisce la coesione del governo: «Accade di tutto e uno attacca a dire che il centrodestra è diviso ma il centrodestra è sereno, compatto, va avanti porta le soluzioni capisco che uno cerchi qualche volta qualche crepa o qualche notizia, ma non ce ne sono». Neppure la segretaria del Pd, Elly Schlein, è rimasta in silenzio: accusa Salvini di «imbarazzare il Paese», di non essere all’altezza della «grande tradizione diplomatica» italiana e lo invita a «occuparsi dei ritardi cronici dei treni».
Dalla Lega tengono il punto: «Prima la reazione eccessiva alle opinioni di Salvini contro l’invio di soldati europei in Ucraina, ora la convocazione dell’ambasciatore Usa. La situazione internazionale è molto delicata: confidiamo che tutti ritrovino la necessaria serenità, e che a Parigi evitino di investire altro tempo per convocare gli ambasciatori di mezzo mondo», ha dichiarato il deputato Paolo Formentini, responsabile del dipartimento Esteri della Lega.
- Negoziati al Cairo: l’organizzazione islamista sarebbe pronta a un parziale disarmo in cambio della propria sopravvivenza politica. Il Sud Sudan puntualizza: «Nessuna intesa per far venire qui gli abitanti della Striscia».
- Al via la quattordicesima operazione di evacuazione sanitaria, ieri portati qui 31 bambini e 86 accompagnatori. In totale già soccorse da Roma 580 persone.
Lo speciale contiene due articoli.
Il capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (Idf), il generale Eyal Zamir, ha approvato le linee guida della nuova offensiva terrestre, volta alla presa di Gaza City. Lo hanno reso noto le stesse Idf, precisando che il «concetto strategico principale del piano operativo a Gaza» è stato discusso ieri mattina in un incontro del General staff forum, alla presenza di alti ufficiali e rappresentanti dello Shin Bet.
Secondo fonti militari il documento stabilisce i prossimi passi nella Striscia, in linea con le direttive del governo, puntando a un’azione decisiva contro Hamas nella sua roccaforte principale.
Le Idf hanno precisato che, pur non essendo imminente l’avvio dell’operazione, Zamir ha sottolineato la necessità di aumentare il livello di prontezza delle unità, intensificando l’addestramento e richiamando riservisti, ma concedendo anche momenti di recupero in vista di missioni future.
Parallelamente, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele consentirà ai palestinesi di lasciare la Striscia di Gaza, mentre l’esercito amplia il raggio dell’offensiva. «Non li stiamo spingendo via, ma permettendo loro di partire», ha spiegato a i24News, precisando che la priorità è offrire la possibilità di abbandonare le aree di combattimento e, se lo desiderano, il territorio nella sua interezza. Netanyahu ha confermato che saranno consentiti sia spostamenti interni durante le operazioni, sia l’uscita dalla Striscia.
Le parole del premier israeliano si inseriscono in un contesto di polemiche internazionali alimentate da un’inchiesta dell’Associated Press (Ap), secondo cui Israele starebbe valutando un accordo con il Sud Sudan per trasferire parte della popolazione palestinese di Gaza in quel Paese africano. Il ministero degli Esteri di Juba ha smentito, con una nota ufficiale, qualsiasi negoziato in tal senso, definendo le notizie «prive di fondamento» e invitando i media «a verificare le informazioni attraverso i canali istituzionali».
Secondo la ricostruzione di Ap, l’iniziativa rientrerebbe in un più ampio progetto per favorire una migrazione di massa da Gaza, in linea con una visione già sostenuta da Donald Trump. Sul fronte diplomatico, ieri una delegazione di Hamas, capitanata da uno dei suoi leader, Khalil Al Hayya, è giunta al Cairo per colloqui indiretti con Israele su invito delle autorità egiziane.
Secondo il quotidiano israeliano Ynet, l’Egitto ha presentato una nuova proposta per un accordo complessivo che includerebbe il rilascio simultaneo di tutti gli ostaggi, la cessazione delle ostilità, la smilitarizzazione di Gaza - dove ieri le Idf e lo Shin Bet hanno ucciso Abdullah Saeed Abd Al Baqin, vicecomandante di una compagnia Nukhba, coinvolto nel rapimento di Ron Sherman, Nik Beizer e Tamir Nimrodi - e l’esilio di alcuni dirigenti del movimento jihadista. Sempre ieri l'Idf, ha eliminato a Khan Yunis anche Muhammad Abu Shamala, vice comandante della Jihad Islamica, che si occupava del settore armamenti.
Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdel Aaty, ha confermato che il piano rientra nell’iniziativa congiunta con Qatar e Stati Uniti per una tregua di 60 giorni finalizzata a riaprire la strada a un negoziato politico.
Un funzionario arabo coinvolto nei colloqui ha spiegato a Ynet che l’arrivo di Hamas al Cairo è stato accelerato dalla minaccia israeliana di entrare a Gaza City. Secondo la stessa fonte, «il movimento è disposto a discutere un disarmo parziale in cambio di garanzie internazionali sulla propria sopravvivenza politica», definendo il clima «di cauto ottimismo». Ma tali garanzie sono impossibili anche solo da ipotizzare: fin dall’8 ottobre 2023 Israele ha ribadito l’obiettivo di distruggere Hamas, eliminare tutti i suoi leader a Gaza e all’estero e mantenere una presenza permanente nella Striscia, creando una fascia di sicurezza per impedire il ripetersi di un nuovo 7 ottobre.
La posizione di chiusura del governo israeliano trova conferma nelle parole del ministro degli Esteri, Gideon Saar, che durante un briefing a Gerusalemme con giornalisti statunitensi ha escluso categoricamente l’ipotesi di uno Stato palestinese. «Uno Stato palestinese nel cuore della terra di Israele sarebbe la soluzione per chi vuole distruggerci. Non permetteremo che accada», ha affermato per poi invitare i Paesi favorevoli a questa prospettiva a «realizzarla nei propri territori, se lo desiderano». Saar ha aggiunto che un’entità palestinese entro i confini del 1967, con capitale a Gerusalemme Est, «metterebbe in grave pericolo i centri abitati israeliani e costringerebbe Israele a confini indifendibili».
Sul fronte umanitario l’Italia ha completato ieri la più ampia missione di evacuazione finora realizzata dalla Striscia di Gaza. Il premier Giorgia Meloni, che ha seguito personalmente la missione, ha ribadito l’impegno del governo a proseguire le operazioni di soccorso, in coordinamento con partner internazionali.
Altri 117 palestinesi salvati dall’Italia
Nella serata di ieri sono atterrati negli scali di Milano Linate, Ciampino e Pisa, i tre C-130, dell’aeronautica militare italiana, con a bordo 31 piccoli pazienti e 86 accompagnatori, per un totale di 117 persone. Una volta giunti in Italia i pazienti sono stati indirizzati alle strutture sanitarie disponibili più adeguate, mentre per gli accompagnatori il supporto sarà garantito dalle prefetture. I tre aerei da trasporto tattico militare erano decollati lunedì scorso dall’Italia con destinazione Cairo e Ramon (Eilat). Lo hanno reso noto fonti di Palazzo Chigi, sottolineando che «si tratta dell’operazione più rilevante finora realizzata, sotto il coordinamento della presidenza del Consiglio, nell’ambito delle azioni umanitarie assicurate dall’Italia per aiutare la popolazione civile di Gaza». Giorgia Meloni segue direttamente il corso dell’operazione, la quattordicesima evacuazione sanitaria da Gaza, con cui si tocca il traguardo di 580 persone giunte in Italia tramite queste missioni: 181 pazienti e 399 accompagnatori. Gli interventi, coordinati dalla presidenza del Consiglio, coinvolgono anche il ministero della Difesa, degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’Interno e il Dipartimento della Protezione civile, in collaborazione con l’Oms e nell’ambito del Meccanismo europeo di protezione civile. La determinazione di Meloni è stata ribadita anche nel corso della telefonata di lunedì pomeriggio con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas. In una nota, l’ufficio stampa di Palazzo Chigi ha riferito che il leader palestinese ha espresso un profondo apprezzamento per «il ruolo fondamentale dell’Italia, per il sostegno umanitario sinora assicurato e per le posizioni assunte». Durante la conversazione il primo ministro italiano ha condiviso la «preoccupazione per le recenti decisioni israeliane che appaiono andare verso un’ulteriore escalation militare», ha ribadito «come la situazione umanitaria a Gaza sia ingiustificabile e inaccettabile» e ha riaffermato «l’impegno italiano sul versante umanitario, attraverso l’iniziativa Food for Gaza». Nel salutarsi i due leader si sono dati appuntamento a New York, «in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite», prevista per settembre. Gli aiuti italiani a Gaza comprendono anche la «realizzazione di un ponte aereo tra la Giordania e la Striscia di Gaza con l’obiettivo di garantire la consegna di aiuti umanitari vitali per la popolazione civile, duramente colpita dal protrarsi del conflitto». Come si legge nel comunicato del ministero della Difesa, la mattina del 9 Agosto scorso, è decollata la seconda fase dell’iniziativa Solidarity Path Operation 2, missione umanitaria per il sostegno alla popolazione civile della Striscia di Gaza. Per circa una settimana, un aviolancio al giorno, dai velivoli C-130 dell’Aeronautica militare, distribuirà circa 100 tonnellate di generi alimentari e beni di prima necessità. Questa iniziativa rientra nel programma più ampio Operazione Levante, della Difesa italiana che coinvolge tutte le forze armate: dalla nave ospedale Vulcano della Marina Militare, che ha fornito cure salvavita a numerosi feriti, navigando per prima nelle acque internazionali al largo delle coste di Gaza, all’iniziativa Air-Bridge for Gaza, che prevede l’impiego di elicotteri dell’esercito per il trasporto diretto di farmaci e attrezzature sanitarie nelle aree più colpite e difficilmente accessibili. L’Italia prosegue, senza sosta, il suo impegno per alleviare la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza.




