Michelangelo Socci
(Siena, 1997). Ha studiato a Bologna, dove ha conseguito la maturità al liceo linguistico Malpighi. Attualmente studia lettere all'Università di Siena. Suona la chitarra ed è appassionato di letteratura anglo-americana. È famoso per le sue collaborazioni con il giornalista e scrittore Antonio Socci, nei cui libri si è ritrovato coinvolto qua e là (spesso e volentieri a sua insaputa), già a partire dalla più tenera età. Con i suo i20 anni è il più giovane collaboratore della Verità.
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Nell'ipocrisia di quella nuova religione imperiale che è il «politically correct», i due campioni che s'impongono – almeno sui media - sono Barack Obama e Giorgio Mario Bergoglio.
Infatti ieri – il gran sacerdote dell'ideologia dominante, Eugenio Scalfari – li ha celebrati insieme, con grande uso di incenso, per due loro discorsi dal «medesimo contenuto».
La sintesi dell'omelia scalfariana è la seguente: «Entrambi i discorsi chiedono di lottare contro la violenza e la tirannide, per far trionfare la pace, la libertà e l'uguaglianza».
Infatti Obama ha fatto quel discorso pacifista all'Onu poche ore dopo che la sua aviazione – che si trova abusivamente in Siria – aveva compiuto una strage di soldati siriani (ne ha ammazzati 63), sostenendo ipocritamente che è stato «un errore» (senza peraltro scusarsi). Di fatto spazzando via così la tregua e rischiando di dar fuoco alle polveri di una guerra più vasta.
Mentre Bergoglio ha pronunciato le sue parole – per la pace, come dice Scalfari – alla parata sincretista di Assisi, dove il Papa argentino aveva invitato tutti i capi religiosi, tranne il Dalai Lama per non dispiacere al regime comunista cinese. Questo per dire quanto si voglia «far trionfare la pace e la libertà», come dice Scalfari.
Del resto basterebbe considerare l'atteggiamento di Obama verso il regime saudita o quello pachistano e l'atteggiamento di Bergoglio verso i regimi cinese e cubano, per capire se davvero possiamo considerarli due paladini della lotta alla tirannide.
Nel discorso di Assisi – andando sempre a caccia di slogan – Francesco ha affermato che «solo la pace è santa, non la guerra». Una banalità che – a ben vedere – è anche falsa, perché le dittature più disumane – come la suddetta Cina o la Corea del Nord o i regimi islamisti – vivono in regime di «pace», in quanto reprimono crudelmente ogni dissenso e ogni opposizione, ma non si vede cosa abbia di santo questa loro «pace». Invece talvolta è moralmente giusto impugnare le armi per difendere la propria terra, per difendere gli innocenti e gli indifesi.
Non è forse giusto – ad esempio – che il popolo curdo combatta contro l'Isis che minaccia di infliggergli gli orrori che ha inflitto agli yazidi (e soprattutto alle yazide)? E noi italiani il 25 aprile di ogni anno non celebriamo forse la lotta armata all'occupatore nazista, fatta da resistenti italiani, dalle truppe alleate e dall'esercito italiano del governo del Sud?
E coloro che – su esortazione dei papi del tempo – combatterono a Lepanto o sotto le mura di Vienna per impedire ai Turchi di invadere l'Europa e ridurla come avevano ridotto Bisanzio, non combatterono forse una guerra giusta?
Naturalmente ha del tutto ragione il Papa quando afferma che «non si uccide in nome di Dio», ma anche questa è una mezza verità (quindi una falsità) se non si aggiunge che ci sono religioni che si impongono così, con la forza e la violenza.
Affermare, per esempio, come fanno Obama e il Papa, che l'Isis non è musulmano è una grande menzogna (come ha spiegato padre Samir, un grande esperto di Islam).
Non si combatte veramente il terrorismo se non si riconosce anzitutto la verità dei fatti. Tanto meno lo si combatte se si minimizza e quasi si giustificano certe reazioni, come quando il Papa, dopo la strage di Charlie Hebdo, fece quell'infelice dichiarazione sul «pugno» che spetta a chi offende la mamma.
O quando, di ritorno da Cracovia, non volendo qualificare come islamico il terrorismo ha affermato che «tutti i giorni sui giornali» legge di «violenze in Italia ad opera di Cattolici battezzati».
O addirittura quando, in un'intervista alla Croix del 17 Maggio scorso, dichiarava che «l'idea di conquista è inerente all'anima dell'islam. Ma si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni».
Si minimizza e si banalizza il crimine del terrorismo anche quando si dichiara (come Papa Bergoglio alla Giornata mondiale della gioventù) che «le chiacchiere sono una forma di terrorismo». Se tutto è terrorismo, nulla è terrorismo.
Lo scorso 22 settembre nella Sala Clementina rivolgendosi ai giornalisti, Francesco è tornato a parlare di «terrorismo» anche in riferimento alla stampa e ha aggiunto: «Il giornalismo non può diventare un'arma di distruzione di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame».
Se si cade sotto questi anatemi solo perché si vorrebbe limitare e contenere la marea migratoria, allora si capisce che c'è pure un secondo motivo per cui il Papa non vuole avere a che fare col Dalai Lama, il quale in un'intervista ad un giornale tedesco ha affermato che, nonostante la comprensibile compassione che si prova di fronte ai migranti, «sono troppi. L'Europa e la Germania non possono diventare arabe».
Del resto anche la posizione che gli Stati Uniti di Obama hanno assunto nella guerra in Siria, e in genere verso i Paesi musulmani, non può certo essere qualificata come lotta senza quartiere al terrorismo, alla tirannide e come difesa dei diritti umani. La presidenza di Obama non sarà ricordata come un contributo alla stabilità e alla pace. Nonostante Scalfari.