- Molti degli accusati nel racket dei minori sono militanti Lgbt. Per i quali i nuclei naturali «padroni dei figli» vanno combattuti.
- Tra i trucchi perversi con i quali terapeuti e soggetti affidatari lavavano il cervello ai bimbi c'erano persino giochi sessuali con travestimenti da lupo. Il procuratore assicura: «L'inchiesta non è finita qui».
- Massimiliano Camparini si vide togliere la figlia da esperti e psicologi i cui nomi tornano nell'inchiesta «Angeli e demoni» e in altri casi analoghi. «Sono persone capaci di qualsiasi cosa, certe dell'impunità».
Lo speciale contiene tre articoli.
Bisogna leggerle e rileggerle le parole di Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, ex ministro e illustre esponente del Partito Democratico. Bisogna tenersi a mente quello che ha detto a proposito della vomitevole storia dei poveri bambini e ragazzini del reggiano che venivano vessati (pure con impulsi elettrici) e strappati alle loro famiglie per permettere a una Onlus di fare soldi.
Sostiene Delrio assieme ai suoi colleghi democratici emiliani Vanna Iori, Antonella Incerti e Andrea Rossi: «Su questo drammatico fatto di cronaca registriamo che diversi rappresentanti politici abbiano già emesso una sentenza sostituendosi alla magistratura, un atteggiamento patetico che strumentalizza ai meri fini di propaganda una vicenda oscura». Certo: secondo costoro il problema vero sono le parole del leader del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio, secondo il quale «il modello Emilia proposto dal Pd è diventato un film dell'orrore».
Beh, se ne facciano una ragione: Di Maio è nel giusto. Perché tutta questa vicenda orribile è frutto di una ideologia precisa, si è interamente sviluppata nell'ambiente progressista e si è nutrita delle fissazioni politiche che lo caratterizzano. Anche perché nel Reggiano non si muove foglia che Pd non voglia.
Facciamo alcuni esempi, giusto per capire meglio di che cosa stiamo parlando. Tra gli arrestati c'è la dirigente del Servizio di assistenza sociale dell'Unione Comuni Val d'Enza, Federica Anghinolfi, 57 anni. Basta scorrere il suo profilo Facebook per capire da che parte stia. Giusto l'altro giorno scriveva sul social: «Ognuno ha i capitani che si merita. Io scelgo Carola Rackete». Sì, poco prima di finire in manette inneggiava agli attivisti pro invasione di Sea Watch.
Il Corriere della sera definisce la Anghinolfi «omosessuale e già legata ad alcune donne affidatarie di minorenni». Secondo il giudice, sarebbero «la sua stessa condizione e le sue profonde convinzioni a renderla portata a sostenere con erinnica perseveranza la causa dell'abuso da dimostrarsi a ogni costo». Ovvio, la signora è intrisa di ideologia Lgbt. Per lei la famiglia naturale è cattiva a prescindere. Nel 2016, presentando le sue attività con i minori assieme al sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti del Pd (arrestato anche lui), la Anghinolfi spiegava che «in questo Paese è ancora troppo forte l'idea della famiglia patriarcale padrona dei figli». Ecco perché bisognava togliere i bambini ai genitori e, magari, affidarli a coppie arcobaleno.
E proprio a una coppia di donne è stata affidata una delle bimbe seguite dalla psicoterapeuta Nadia Bolognini. Costei è la moglie di Claudio Foti, 68 anni, psicoterapeuta della Onlus degli orrori, la Hansel e Gretel. «Dell'inchiesta non so dire molto. Non conosco i dettagli. Respingo le accuse. Sono assolutamente tranquillo. Sono uno stimato terapeuta. Credo di essere vittima di una volontà persecutoria», ha detto Foti alla Stampa dopo che gli hanno notificato i domiciliari.
Anche lui è un «intellettuale impegnato». Cura un sito che si presenta come «il quotidiano dell'infanzia inascoltata». Nel corso dei mesi ha pubblicato articoli molto duri contro il ddl Pillon sull'affido condiviso, ha rilanciato l'appello degli psicologi contro il decreto Sicurezza. Ma, soprattutto, Foti si è molto speso per i diritti Lgbt.
In un articolo sul suo giornaletto online scriveva che nel nostro Paese «permangono aree di intolleranza sul piano sociale e le radici dell'omofobia risultano ancora ben piantate sul piano culturale ed educativo». Nelle interviste sosteneva che «di sessualità con i bambini si può parlare. È una dimensione fondamentale della crescita e bisogna insegnar loro che paure e desideri possono essere espressi con rispetto per le emozioni e le persone coinvolte». A suo dire, in Italia «l'educazione affettiva e sessuale nelle scuole continua a essere accantonata e negata. Rimane lontana dall'agenda politica perché la cultura cattolica fa resistenza». E aggiungeva: «Se la componente più integralista è impossibile da coinvolgere, basta pensare allo spauracchio del gender, bisogna invece rassicurare quella moderata, chiarendo che questi percorsi non attivano una sessualità precoce ma comportamenti più rispettosi e attenti rispetto a malattie e gravidanze». Chiaro: Foti è sempre stato favorevole alla educazione sessuale nelle scuole, proponeva progetti contro il «bullismo omofobico» e l'intolleranza.
Abbiano portato solo un paio di esempi, ma indicativi. Eccolo il radioso modello Pd. Tutto basato sulla più pura ideologia progressista che tifa per i migranti e supporta le recriminazioni arcobaleno. Delrio e i suoi compagni si ostinano a difendere il «modello» emiliano, osano ancora parlare di eccellenza. Sapete che cosa ha partorito la loro ideologia nemica della famiglia, legata a Onlus e Ong e serva delle minoranze? Una storia mostruosa di abusi e violenze psicologiche sui minori. E questi hanno pure il fegato di difendere l'indifendibile.
Per violentare le menti dei piccini «funerali» al papà e finti esorcismi
La bambina era stata affidata ad una coppia omosessuale e le due nuove mamme, complici del sadico disegno, volevano a tutti i costi convincerla di essere stata abusata dai veri genitori. La spaventavano costringendola a nascondersi tra i sedili dell'auto durante le soste per evitare di essere «rapita dal papà». Le urlavano contro, accusandola di rovinare il loro rapporto perché incapace di «tirare fuori» i ricordi degli abusi subiti. E la descrivevano come una bambina cattiva convincendola di aver torturato il gatto di casa perché vittima degli abusi del padre, anche se al gatto la bimba non aveva fatto proprio nulla. E poi, il 25 dicembre, riunite intorno all'albero, facevano notare alla piccola, annichilita dalla sofferenza, come quello fosse «il primo Natale sereno» per lei e non quelli, più modesti e semplici, passati con i veri genitori.
Un altro bambino finito nel business dell'inchiesta «Angeli e Demoni», che in provincia di Reggio Emilia ha portato a 27 avvisi di garanzia, 16 misure cautelari a carico di politici, professionisti e assistenti sociali accusati di aver sottratto minori alle famiglie ipotizzando abusi sessuali mai commessi per fini di lucro, era costretto a subire periodicamente dei riti, quelli sì, dai gravi connotati sessuali, da parte dello psichiatra che avrebbe dovuto aiutarlo. Come si legge nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari quest'ultimo «si travestiva da lupo o da altri personaggi cattivi tratti da racconti popolari e inseguiva il bambino all'interno del proprio studio urlandogli contro e inseguendolo, col dichiarato fine di punirlo e sottometterlo anche con chiaro significato sessuale», associando al termine del gioco «la figura del lupo cattivo a quella del padre».
Ad un altro piccolo, strappato alla famiglia, veniva sistematicamente ribadito dai terapeuti che bisognava «elaborare il lutto e considerare emotivamente morto il padre», suggerendogli che «occorreva fare un funerale al papà». E come se non bastasse su una delle piccole vittime sono stati messi in atto rituali simili all'esorcismo. I terapeuti avevano convinto la piccina che all'interno del suo corpo «a seguito degli abusi si era creata una doppia personalità malvagia che riusciva a prendere il sopravvento sulla parte buona, inducendola a compiere atti aggressivi» e la terapeuta era arrivata ad «effettuare anche una sorta di atto esorcistico in cui tentava di interloquire con tale entità malvagia chiedendo che quest'ultima autorizzasse fisicamente la bambina a rispondere alle sue domande muovendo una parte del corpo». Va oltre l'immaginazione il lavaggio del cervello attuato, per anni secondo l'accusa, da professionisti del settore sulla mente di questi bambini inermi, allontanati all'improvviso dalla famiglia e sottoposti a disumane pressioni emotive.
L'inchiesta ha colpito al cuore il sistema dell'assistenza all'infanzia e i protagonisti sono tutt'altro che di secondo piano. Ai domiciliari oltre al sindaco Pd di Bibbiano, Andrea Carletti, è finita la dirigente dei Servizi sociali dell'Unione Val d'Enza Federica Anghinolfi, la coordinatrice Maria Pia Veltri, una lunga serie di assistenti sociali sono stati interdetti dalla professione e, tra gli indagati c'è anche il direttore generale dell'Ausl di Reggio Emilia, Fausto Nicolini.
E l'indagine potrebbe essere solo all'inizio. A confermare che potrebbero esserci a breve nuovi sviluppi è stato il procuratore capo di Reggio Emilia Marco Mescolini che, ieri, in conferenza stampa, ha motivato le misure cautelari con un «possibile inquinamento delle prove» e ha spiegato che dagli inquirenti «è stato sequestrato altro materiale ora al vaglio degli investigatori» e che «le indagini proseguiranno». Che si trattasse di un vero e proprio sistema, che ha trovato terreno fertile nei protocolli utilizzati nella presa in carico dei minori da parte dei servizi sociali, pare chiaro.
«Il copione era sempre lo stesso», spiegano gli stessi inquirenti. «Ad una segnalazione» o ad una minima «rivelazione del bambino alle insegnanti» relativa ad una difficile situazione in famiglia o nel caso di una «denuncia di uno dei due genitori verso l'altro» (per una causa di separazione ad esempio) seguivano immediatamente una serie di provvedimenti atti a separare definitivamente il minore dalla famiglia.
Il primo era «l'allontanamento in via d'urgenza da parte del servizio sociale», a cui seguivano le «le relazioni delle assistenti sociali all'autorità giudiziaria minorile e alla Procura della Repubblica» con una «tendenziosa rappresentazione dei fatti».
Queste relazioni, con una prassi denunciata da anni da parte degli avvocati di parte (e già riportate un anno fa sulla Verità) venivano evidentemente vidimate senza particolari controlli da parte dei giudici incaricati, dando il via, anche «sulla scorta di indicazioni terapeutiche spesso ottenute mediante pressioni da parte degli assistenti sociali» all'affidamento del bambino a terzi e «all'invio dei minori presso la struttura pubblica (denominata La Cura) gestita, poi, dalla Onlus Hansel e Gretel, ritenuta al centro del sistema criminale.
Da quel momento in poi l'intera l'attività degli psicologi era finalizzata alla creazioni di falsi ricordi da instillare nella mente del bambino con l'intento di rendere credibile l'abuso (mai) subito. Attività che diventava particolarmente intensa in vicinanza delle audizioni dei minori davanti ai togati che dovevano decidere la loro collocazione e che, in nessun caso, si sono accorti che qualcosa non funzionava.
«Si presero la nostra Anna Giulia. Ora paghino per le vite rovinate»
Massimiliano Camparini con la moglie Gilda
«Adesso voglio che chi ha rovinato la nostra vita paghi». Massimiliano Camparini stringe forte la mano della moglie Gilda. Non vedono la loro figlia Anna Giulia da 9 anni e secondo la legge non dovrebbero vederla mai più. Due anni fa è stata data infatti in adozione dopo una vicenda dolorosissima che ora viene messa in dubbio fin dalle sue fondamenta dall'inchiesta «Angeli e demoni» che ha travolto comuni, servizi sociali e strutture di accoglienza dell'intera provincia di Reggio Emilia.
Nella storia compare tra le 18 persone arrestate con l'accusa di aver falsificato atti e strumentalizzato situazioni familiari per togliere decine di bambini ai loro genitori, collocarli in strutture di accoglienza e poi renderli adottabili, il nome di Sara Gibertini: «Si tratta di quell'assistente sociale che nel 2007 ci fece portare via nostra figlia», continua Massimiliano. «Stilò una relazione dalla quale risultava che io e mia moglie eravamo tossicodipendenti, spacciatori e genitori indegni».
Massimiliano e Gilda avevano davvero avuto problemi di droga, molti anni prima, ma a seguito di una maldicenza all'alba di una mattina di marzo piombarono a casa loro i carabinieri convinti di trovare droga ovunque. Di stupefacenti, invece, nemmeno l'ombra. «Da quel momento, però, io e Gilda venimmo letteralmente marchiati, messi sotto il controllo degli assistenti sociali che giorno dopo giorno, senza venire nemmeno una volta a casa nostra, iniziarono a compilare relazioni nelle quali non solo si parlava di droga, facendo perfino riferimento ad arresti mai avvenuti e addirittura si diceva che facevamo vivere la nostra bambina nella sporcizia. Tutto questo - lo ripeto - senza mai avere nemmeno messo piede nella nostra abitazione né visto davvero quale fosse il nostro rapporto con Anna Giulia».
Massimiliano oggi non ha più remore nel parlare di relazioni false. «In realtà tutto era già venuto a galla quando la stessa assistente sociale, chiamata a testimoniare davanti a un giudice, ammise sfacciatamente di aver fatto tutto basandosi su dei sentito dire».
L'occasione fu un processo per sequestro di persona al quale Massimiliano e Gilda vennero sottoposti perché, per ben due volte, tentarono di rapire la loro bambina dalla casa famiglia. «Ci è costato un anno e mezzo di prigione, ma lo rifarei», dice Massimiliano picchiando il pugno contro il muro, «ce lo aveva chiesto proprio Anna Giulia durante uno dei pochi colloqui che ci erano stati concessi. Non aveva ricevuto il mio regalo di Natale malgrado glielo avessi fatto recapitare e piangendo mi diceva che era stata lasciata in piedi per tutto il tempo del pranzo per punizione: mia figlia, una bambina ubbidiente e dolcissima! Ho fatto quello che era giusto fare e lo rifarei».
Ad un certo punto della vicenda ci fu un cambio di assistente sociale, la nuova operatrice iniziò a produrre relazioni favorevoli ai genitori di Anna Giulia.
Non fu così, però, per i rilievi fatti dalla responsabile della casa famiglia gestita dal Centro aiuto bambini di Reggio Emilia Valeria Donati, che parlava invece di profondi malesseri psicologici della bambina.
A firmare quei rilievi - e qui si aggiunge incubo all'incubo - una psicologa, responsabile della struttura, indagata per la spaventosa inchiesta «Veleno» che una ventina di anni fa - sempre in Emilia - stravolse la vita di altre famiglie, alle quali erano stati sottratti i figli con spaventose accuse di satanismo e pedofilia. «Quando l'abbiamo saputo siamo rimasti sconvolti - ricorda ancora Massimiliano - ma mai avremmo pensato di ritrovarci in un tunnel senza uscita di queste dimensioni. Ora voglio solo che chi ha fatto tutto questo finalmente si assuma le sue responsabilità, perché in questi 12 anni purtroppo io e mia moglie abbiamo visto solo persone capaci di qualsiasi cosa con la sicurezza di rimanere impunite».
L'inchiesta «Angeli e demoni» riporta nei suoi atti tanti altri casi e documenta quello che sembra essere il preciso intento di sottrarre bambini alle loro famiglie con qualsiasi mezzo. Un sistema che secondo gli inquirenti comprenderebbe psicologi, periti, gestori di case famiglia, assistenti sociali e amministratori di istituzioni locali come diretti responsabili gerarchici.
La vicenda di Anna Giulia e dei suoi genitori, però, sembra aprire scenari ancora più vasti disegnando una realtà forse perfino più grave di quella descritta dagli investigatori. «So che nostra figlia è stata adottata da una famiglia che risiede nella provincia di Milano. Sono sicuro che sta bene, ma non riesco a non sentire il cuore che mi scoppia nel petto quando penso che me l'hanno tolta che era una bimba e ora è una ragazza di quasi 14 anni. La vita mia e di mia moglie è stata distrutta, ma non deve essere così per Anna Giulia, quindi non voglio certo che lei torni da noi, ma se ve ne fosse la possibilità che sappia che esistiamo, che la ricordiamo in ogni momento e magari - se volesse - che possa rivederci».
La casa è una stanza di quattro metri per due. Dentro gli stendini per il bucato, il frigorifero e quattro letti. Ci vivono Alessandra - che ha 38 anni - con tre figli. Una condizione per la quale normalmente interverrebbero giudici minorili e servizi sociali: peccato che siano stati proprio loro a far vivere lì madre e bambini, in quella che risulta essere una struttura di accoglienza a Marghera, vicino a Venezia, insomma una casa-famiglia, una di quelle strutture dove chi la gestisce può arrivare a incassare anche 150 euro al giorno per ogni ospite.
Il fatto è che madre e figli vivono in casa famiglia da ormai quasi tre anni, malgrado Alessandra continui a chiedere ogni santo giorno di tornare a casa sua. Vorrebbe una vita normale e cercare di dimenticare il dramma che è all'origine di tutta questa assurda (e dolorosa ) storia: un giorno di tre anni fa, rientrando a casa- a Verona- sorprese il marito che cercava di stuprare la figlia più grande, allora tredicenne, avuta da un precedente matrimonio. Si scoprì che le molestie sessuali andavano avanti da tempo. Alessandra denunciò, l'uomo venne subito allontanato, poi arrestato, quindi condannato a 6 anni di galera.
Nel frattempo, però, madre e figli vennero presi in carico dai servizi sociali e alloggiati in una comunità, perché il marito-patrigno-stupratore, oltre ad abusare della ragazzina, faceva vivere tutti in condizioni di degrado, in un alloggio fatiscente. Tutto bene? No, perché a questo punto la vicenda prende una piega assurda. L'uomo riesce a scappare in Sudamerica, Alessandra e i figli rimangono in casa-famiglia. Da allora sono passati tre anni: lui è libero, loro inspiegabilmente costretti a una sorta di domicilio coatto, oltretutto costosissimo per il contribuente.
Nel frattempo la famiglia è pure stata divisa. La ragazzina vittima del patrigno è stata separata da Alessandra e dai suoi fratellini, come se di prove emotive non ne avessero subite a sufficienza. Tutti impazziti, tra servizi sociali e tribunali? Certamente no, ma tutto il sistema qualcosa di bizzarro ce l'ha. Nei verbali e nelle relazioni, di cui chi scrive è entrato in possesso, si legge che all'ennesima richiesta da parte di Alessandra di potersene tornare a casa con i bambini, viene risposto no, «considerate la precarietà delle condizioni in cui il nucleo famigliare viveva e le difficoltà personali della donna». Come se non si potesse cambiare casa.
Certo sarebbe necessario che la donna lavorasse per potersi pagare un affitto, ma in un'istanza presentata già all'inizio della vicenda si dice che la donna «ha cercato di reperire una qualsiasi attività lavorativa, ma non appena un potenziale datore di lavoro viene a conoscenza del numero dei figli e della loro età, ritira l'offerta».
Esistono le case popolari. A Verona ve ne sono alcune a di posizione del Comune proprio per emergenze abitative. Esistono anche aiuti economici appositamente previsti, ma niente, si preferisce far restare tutti in una stanza di due metri per quattro, a 100 chilometri di distanza da parenti e amici. Intanto viene messa in dubbio la capacità di Alessandra di accudire i figli. Nelle carte si legge ancora che vi sono «difficoltà nella relazione mamma-bambino, a più livelli e toccano tutti gli aspetti fondamentali del rapporto tra lei e i suoi figli». Verrebbe da dire: provateci voi a dare dimostrazione di perfetta cura materna accatastati in quattro in una stanza! Non solo nessuno se lo chiede, ma nessuno parrebbe anche chiedersi che razza di segno può avere lasciato in una moglie l'esperienza spaventosa del marito che vuol portarsi a letto la figlia. Anzi, la ragazzina è stata allontanata, quasi a voler addossare alla madre una qualche responsabilità sull'accaduto.
Forse c'entra una frase pronunciata dalla donna in uno dei tanti colloqui avuti con psicologi e assistenti sociali, quando dice di avere avuto «perplessità nei comportamenti del marito, avendo notato gesti poco opportuni e ricerche su Internet sulla possibilità che un'adolescente possa rimanere incinta». Il dubbio degli operatori- insomma -può essere sul fatto che Alessandra avrebbe potuto accorgersi prima di quanto stava accadendo. Peccato che, al tempo, la figlia tredicenne vivesse in casa, ma già sotto la responsabilità dei servizi sociali, a causa di un rapporto litigioso tra la madre e il primo marito, padre della ragazzina: insomma anche loro avrebbero dovuto vigilare su quel che accadeva.
Ma tutto questo attiene al passato. Il presente è quella stanzetta dove vive una famiglia ammassata. «È questa vita che crea problemi. Stipati, sempre a contatto strettissimo con persone che hanno problemi anche seri…», dice Alessandra nell'ultimo colloquio avuto con una psicologa. La quale serenamente ammetta di non capirci nulla: «Ma la richiesta di tutte queste valutazioni da cosa nasce? Ma lei è obbligata a stare in comunità? Che casino!».
Se non ci capisce nulla lei, figuriamoci i protagonisti. Ed è difficile anche capire come si sia preferito spendere finora centinaia di migliaia di euro per lasciare nel disagio una famiglia già provata nel più duro dei modi, piuttosto che dare un sostegno diretto. Mentre chi ha causato tutto questo se ne sta beatamente al caldo, in Sudamerica.
Di questo passo, alle regionali del prossimo anno, il Veneto potrebbe avere un governo tutto leghista.
Il risultato del voto europeo non solo ha confermato la fiducia nel modello politico costruito intorno alla figura di Luca Zaia, ma ha regalato un risultato al di là della previsione più entusiastica: i sondaggi quotavano la Lega alla stessa percentuale record raggiunta dal Pd cinque anni fa - il 43% - e invece è stato sfiorato di qualche decimale il 50%.
«Un laboratorio politico» si è sempre detto di questa regione, caratterizzata da spinte indipendentiste che vengono da lontano cresciute su una autonomia di fatto, economica e culturale, ma mai si era visto una tale capovolgimento di equilibri in appena cinque anni, non solo con il primato di voti passato da una parte all'altra e in modo così clamoroso, ma anche con uno stravolgimento all'interno del centrodestra, dove a farne le spese - anche in questo caso più che a livello nazionale - è Forza Italia, passata del quasi 15% a meno della metà.
«Cosa ci ha premiati? Direi la credibilità, sia nel modo di fare politica sul territorio che nel mantenere gli obiettivi» commenta Roberto Marcato, punto di riferimento leghista nel Veneto e assessore regionale a quelle tematiche - sviluppo economico e commercio - che insistono sui temi più sensibili.
«È stata fondamentale la questione dell'autonomia. Tenerne alta la bandiera e ricordare ogni giorno al governo che si tratta di una richiesta forte e urgente, ha fatto sì che non sia stata la Lega a conquistare il Veneto, ma il Veneto a riconoscersi nella Lega. Qui non si tratta di ideali di partito: la richiesta di autonomia va da Confindustria alla Cgil».
Il sospetto è, però, che se sono questi i termini sia stata dimenticata la valenza europea del voto: «Posso dire tranquillamente che non è così», chiosa Marcato, «perché ho fatto centinaia di incontri preelettorali, nei quali la richiesta era di portare la voce del Veneto in Europa e le opportunità di sviluppo che l'Europa rappresenta, in Veneto»
L'altra faccia del risultato elettorale all'interno del centrodestra è il crollo verticale, ben oltre il temuto, di quello che della Lega era fino a ieri l'alleato principale, cioè Forza Italia.
In Veneto gli azzurri sono quasi scomparsi, dopo una fuga degli esponenti più in vista. Non è stato rieletto Remo Sernagiotto, ricandidatosi per Strasburgo, ma questa volta con Fratelli d'Italia, e il suo stesso percorso l'ha seguito l'ex re delle preferenze azzurre in Veneto, Massimo Giorgetti, presidente del Consiglio regionale, capace ad ogni elezione di muovere decine di migliaia di voti, anche lui ora nel partito di Giorgia Meloni.
«L'avevo detto a voce alta che così non si poteva andare avanti, mi ero prestato comunque a fare campagna elettorale alle politiche dello scorso anno, ma dichiarando chiaramente che in questa regione Forza Italia rischiava il tracollo. Così è stato».
Questo malgrado in Veneto il partito di Silvio Berlusconi contasse presenze vicinissime al Cavaliere, come Niccolò Ghedini e Renato Brunetta.
«Appunto», dice Giorgetti, «tutto veniva calato dall'alto e i rapporti erano tra Arcore e i notabili, tagliando fuori chi cercava di fare politica sul territorio. Il destino era inevitabile e quelli come me che venivano dall'esperienza di militanza della vecchia An, hanno fatto una scelta quasi obbligata».
Una realtà ben descritta dal risultato del voto europeo a Padova dove - malgrado si tratti della città della presidente del Senato Elisabetta Casellati, forzista di ferro - gli azzurri si fermano a poco più del 6%, superati da Fratelli d'Italia di mezzo punto.
Caro è stato anche il prezzo pagato da Forza Italia per la brutta vicenda giudiziaria che vede protagonista l'ex governatore Giancarlo Galan, che dopo nove anni continua a produrre riscontri di corruzione e gestione affaristica.
Oltre quelli cruciali dell'autonomia e del radicamento sul territorio - però - ci sono anche altri temi che hanno portato all'esplosione del voto leghista. Istanze molto concrete, come la sicurezza e gli investimenti.
«Ha vinto chi su questi temi ha preso posizioni chiare» commenta da osservatore autorevole e neutrale Renato Mason, segretario generale della Cgia di Mestre, che rappresenta artigiani e piccole imprese e da anni produce studi economici e politici.
«Parliamoci chiaro, qui siamo in una regione dove fino a quindici anni fa si lasciava la porta di casa aperta. Non parlo delle grandi città, ma dei tanti piccoli centri. Ora le imprese che costruiscono allarmi e porte blindate fanno affari d'oro: è un disagio che andava intercettato con decisione e la Lega l'ha fatto».
Un fattore, quello della sicurezza che in Veneto solo marginalmente ha a che vedere con l'immigrazione, visto che si contano quasi 600.000 immigrati che lavorano regolarmente e sono perfettamente integrati. A essere percepita come pericolosa è semmai la gestione dell'immigrazione irregolare che riversa nelle strade dei centri abitati richiedenti asilo senza alcuna occupazione.
Anche parlando di investimenti pubblici il Veneto è territorio molto sensibile. Un tessuto che conta qualcosa come 440.000 imprese sotto i 50 dipendenti e quasi 150.000 imprese artigiane, sente il bisogno di vie di collegamento, sia stradali che ferroviarie.
«L'autostrada Pedemontana», continua Mason, «a parte piccole resistenze ambientaliste e qualche richiesta di trasparenza sui costi è voluta da tutti, così come lo sviluppo dei collegamenti ferroviari. Quindi ha raccolto consensi chi ha preso, anche in questo caso, posizioni bene definite»
Su questo piano, oltre che su quello dell'autonomia, ha subito una bocciatura da parte dell'elettorato veneto il Movimento 5 stelle, percepito, forse come troppo propenso alla continua verifica, al continuo dubbio, cose che mal si conciliano con una mentalità locale decisamente pragmatica.
In regione - poi - i rappresentanti grillini si sono sempre espressi a favore delle istanze autonomiste, salvo poi venire regolarmente sconfessati dai rappresentanti nazionali, così attenti agli equilibri delle regioni del sud. Il risultato è stata un flessione contenuta in meno di due punti rispetti alle regionali del 2015, ma un vero crollo del consenso: 9% rispetto al 20% di cinque anni fa e al 25% delle politiche dello scorso anno.
«Non pervenuto» è il giudizio che Mason dà infine sul Partito democratico. Se il confronto del quasi 19% ottenuto domenica scorsa con il 43% di cinque anni fa è inclemente, viene registrata una leggera ripresa rispetto al 17,54 delle politiche. «Del resto sull'autonomia i dem sono oscillati tra il sì e il no tenendo in vita tutte le possibili sfumature intermedie».




