2019-06-01
Il Veneto tradito ha chiuso con Forza Italia
Nel centrodestra, l'altra faccia dell'esplosione della Lega in regione, con percentuali vicine al 50%, è il collasso degli azzurri con il relativo sorpasso a opera di Giorgia Meloni. Le cause? Aver tagliato fuori il territorio dalle decisioni e le questioni giudiziarie.Di questo passo, alle regionali del prossimo anno, il Veneto potrebbe avere un governo tutto leghista.Il risultato del voto europeo non solo ha confermato la fiducia nel modello politico costruito intorno alla figura di Luca Zaia, ma ha regalato un risultato al di là della previsione più entusiastica: i sondaggi quotavano la Lega alla stessa percentuale record raggiunta dal Pd cinque anni fa - il 43% - e invece è stato sfiorato di qualche decimale il 50%.«Un laboratorio politico» si è sempre detto di questa regione, caratterizzata da spinte indipendentiste che vengono da lontano cresciute su una autonomia di fatto, economica e culturale, ma mai si era visto una tale capovolgimento di equilibri in appena cinque anni, non solo con il primato di voti passato da una parte all'altra e in modo così clamoroso, ma anche con uno stravolgimento all'interno del centrodestra, dove a farne le spese - anche in questo caso più che a livello nazionale - è Forza Italia, passata del quasi 15% a meno della metà.«Cosa ci ha premiati? Direi la credibilità, sia nel modo di fare politica sul territorio che nel mantenere gli obiettivi» commenta Roberto Marcato, punto di riferimento leghista nel Veneto e assessore regionale a quelle tematiche - sviluppo economico e commercio - che insistono sui temi più sensibili.«È stata fondamentale la questione dell'autonomia. Tenerne alta la bandiera e ricordare ogni giorno al governo che si tratta di una richiesta forte e urgente, ha fatto sì che non sia stata la Lega a conquistare il Veneto, ma il Veneto a riconoscersi nella Lega. Qui non si tratta di ideali di partito: la richiesta di autonomia va da Confindustria alla Cgil».Il sospetto è, però, che se sono questi i termini sia stata dimenticata la valenza europea del voto: «Posso dire tranquillamente che non è così», chiosa Marcato, «perché ho fatto centinaia di incontri preelettorali, nei quali la richiesta era di portare la voce del Veneto in Europa e le opportunità di sviluppo che l'Europa rappresenta, in Veneto»L'altra faccia del risultato elettorale all'interno del centrodestra è il crollo verticale, ben oltre il temuto, di quello che della Lega era fino a ieri l'alleato principale, cioè Forza Italia.In Veneto gli azzurri sono quasi scomparsi, dopo una fuga degli esponenti più in vista. Non è stato rieletto Remo Sernagiotto, ricandidatosi per Strasburgo, ma questa volta con Fratelli d'Italia, e il suo stesso percorso l'ha seguito l'ex re delle preferenze azzurre in Veneto, Massimo Giorgetti, presidente del Consiglio regionale, capace ad ogni elezione di muovere decine di migliaia di voti, anche lui ora nel partito di Giorgia Meloni.«L'avevo detto a voce alta che così non si poteva andare avanti, mi ero prestato comunque a fare campagna elettorale alle politiche dello scorso anno, ma dichiarando chiaramente che in questa regione Forza Italia rischiava il tracollo. Così è stato».Questo malgrado in Veneto il partito di Silvio Berlusconi contasse presenze vicinissime al Cavaliere, come Niccolò Ghedini e Renato Brunetta.«Appunto», dice Giorgetti, «tutto veniva calato dall'alto e i rapporti erano tra Arcore e i notabili, tagliando fuori chi cercava di fare politica sul territorio. Il destino era inevitabile e quelli come me che venivano dall'esperienza di militanza della vecchia An, hanno fatto una scelta quasi obbligata».Una realtà ben descritta dal risultato del voto europeo a Padova dove - malgrado si tratti della città della presidente del Senato Elisabetta Casellati, forzista di ferro - gli azzurri si fermano a poco più del 6%, superati da Fratelli d'Italia di mezzo punto.Caro è stato anche il prezzo pagato da Forza Italia per la brutta vicenda giudiziaria che vede protagonista l'ex governatore Giancarlo Galan, che dopo nove anni continua a produrre riscontri di corruzione e gestione affaristica.Oltre quelli cruciali dell'autonomia e del radicamento sul territorio - però - ci sono anche altri temi che hanno portato all'esplosione del voto leghista. Istanze molto concrete, come la sicurezza e gli investimenti.«Ha vinto chi su questi temi ha preso posizioni chiare» commenta da osservatore autorevole e neutrale Renato Mason, segretario generale della Cgia di Mestre, che rappresenta artigiani e piccole imprese e da anni produce studi economici e politici.«Parliamoci chiaro, qui siamo in una regione dove fino a quindici anni fa si lasciava la porta di casa aperta. Non parlo delle grandi città, ma dei tanti piccoli centri. Ora le imprese che costruiscono allarmi e porte blindate fanno affari d'oro: è un disagio che andava intercettato con decisione e la Lega l'ha fatto».Un fattore, quello della sicurezza che in Veneto solo marginalmente ha a che vedere con l'immigrazione, visto che si contano quasi 600.000 immigrati che lavorano regolarmente e sono perfettamente integrati. A essere percepita come pericolosa è semmai la gestione dell'immigrazione irregolare che riversa nelle strade dei centri abitati richiedenti asilo senza alcuna occupazione.Anche parlando di investimenti pubblici il Veneto è territorio molto sensibile. Un tessuto che conta qualcosa come 440.000 imprese sotto i 50 dipendenti e quasi 150.000 imprese artigiane, sente il bisogno di vie di collegamento, sia stradali che ferroviarie.«L'autostrada Pedemontana», continua Mason, «a parte piccole resistenze ambientaliste e qualche richiesta di trasparenza sui costi è voluta da tutti, così come lo sviluppo dei collegamenti ferroviari. Quindi ha raccolto consensi chi ha preso, anche in questo caso, posizioni bene definite»Su questo piano, oltre che su quello dell'autonomia, ha subito una bocciatura da parte dell'elettorato veneto il Movimento 5 stelle, percepito, forse come troppo propenso alla continua verifica, al continuo dubbio, cose che mal si conciliano con una mentalità locale decisamente pragmatica.In regione - poi - i rappresentanti grillini si sono sempre espressi a favore delle istanze autonomiste, salvo poi venire regolarmente sconfessati dai rappresentanti nazionali, così attenti agli equilibri delle regioni del sud. Il risultato è stata un flessione contenuta in meno di due punti rispetti alle regionali del 2015, ma un vero crollo del consenso: 9% rispetto al 20% di cinque anni fa e al 25% delle politiche dello scorso anno.«Non pervenuto» è il giudizio che Mason dà infine sul Partito democratico. Se il confronto del quasi 19% ottenuto domenica scorsa con il 43% di cinque anni fa è inclemente, viene registrata una leggera ripresa rispetto al 17,54 delle politiche. «Del resto sull'autonomia i dem sono oscillati tra il sì e il no tenendo in vita tutte le possibili sfumature intermedie».
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)