2023-12-30
Tusk occupa la tv di Stato e la stampa fa la ola
Il «Corsera» elogia il pugno di ferro del premier polacco sull’informazione. I licenziamenti politici e la messa in liquidazione vanno bene se fatti dagli «europeisti». Mentre il presidente Andrzey Duda, che chiede di rispettare la Costituzione, diventa l’uomo nero.Vertici azzerati in una notte, licenziamenti politici come se piovesse, messa in stato di liquidazione con minaccia di chiusura per insolvenza «se l’aria non cambia». Mentre lo dice, il viceministro della Cultura, Joanna Scheuring-Wielgus, deve avere in mente Augusto Pinochet. È ciò che sta accadendo alla televisione pubblica Tvp, alla radio e all’agenzia di stampa di Stato in Polonia dove, dopo un decennio di centrodestra conservatore ed euroscettico al governo, è salito al potere l’esecutivo social (democratico) ed eurolirico di Donald Tusk. La parentesi è necessaria perché dal 13 dicembre, giorno dell’insediamento, a oggi la coalizione di maggioranza ha avuto un unico pensiero fisso: occupare la tv pubblica andando ben oltre i confini di un naturale spoils system.Se tutto ciò fosse accaduto alla Rai - dove nonostante il centrodestra al governo continua a dominare l’esprit de finesse organico alla sinistra progressista - il sistema mediatico sarebbe sulle barricate e denuncerebbe a gran voce l’occupazione militare del potere «da parte dei fascisti». Invece la mossa di Tusk viene considerata del tutto naturale anche dal Corriere della Sera, che in un servizio addirittura si dispiace perché l’operazione pulizia non è stata ancora portata a compimento. «Alla vigilia di Natale il nuovo esecutivo ha cominciato con l’azzeramento dei vertici della televisione pubblica, che per protesta hanno interrotto le trasmissioni e oscurato lo schermo, quasi a evocare un colpo di Stato». Loro. Vale a dire i 4.000 reprobi che osano difendere il posto di lavoro e la libertà di opinione.Sarebbe già curioso l’appoggio incondizionato alla manovra oscurantista e illegale, compreso un blitz per aggirare un organismo regolatore interno alle aziende stesse. Ma a stupire ancora di più è l’attacco frontale del giornale della buona borghesia italiana al presidente polacco Andrzey Duda. Quest’ultimo ha accusato Tusk di «creare anarchia ignorando la legislazione polacca». Politicamente conservatore, il capo dello Stato è vicino alla coalizione sconfitta alle elezioni, e facendo leva sulle sue prerogative costituzionali sta cercando di impedire queste violazioni. Semplicemente non firma la legge. Così il titolo non è «Tusk fa fallire la tv di Stato per occuparla», ma «Le mosse di Duda per ostacolare il governo Tusk». In questo caso il Sergio Mattarella di turno è un uomo nero e lo stato di diritto andrebbe spianato con le ruspe in quanto ostacolo alle «magnifiche sorti e progressive» del nuovo ordine dem in vigore a Varsavia.Eppure il comportamento muscolare e antidemocratico di Tusk è due volte sorprendente. La prima perché - da campione dell’europeismo liberal-socialista - lui finisce per usare gli stessi metodi che imputava al predecessore Jaroslav Kaczynski. Ammette di doverlo fare per ridurre alla ragione gli sconfitti, «che stanno mettendo in discussione il risultato delle elezioni e non sono venuti a patti con la perdita di potere». La seconda perché la sua non è stata un’elezione plebiscitaria. Il partito nazionalista Diritto e giustizia (Pis) resta il primo in Parlamento con il 35,3% dei voti, mandato all’opposizione dalla coalizione di centrosinistra ma sempre molto forte nei gangli vitali dello Stato. Anche di questo si rammarica il Corriere: «Governo nuovo, Corte costituzionale vecchia». Già, sarebbe più comodo spazzare via pure questa con il lanciafiamme. E arrestare il capo dello Stato, quell’impiccione che ha ancora ben due anni di mandato.Per ora Tusk si limita, fra gli applausi mediatici mainstream, a far fallire quei reazionari del servizio pubblico per insolvenza. «Cercano di screditarmi», si è giustificato all’indomani della tentata spallata. Ha anche trascorso un Natale pessimo dopo aver subìto uno schiaffo in faccia: Tvp ha nominato nuovi direttori diversi da quelli scelti dal governo. Così ha deciso di alzare il livello dello scontro, sapendo che la minaccia di chiudere i rubinetti può far cambiare idea a molti giornalisti. «Lo stato di messa in liquidazione può essere revocato in qualsiasi momento», ha detto al Financial Times il ministro della Cultura, Bartlomiej Sienkiewicz, rivelando l’obiettivo finale: chi vuole che lo stipendio torni a correre deve cambiare linea. Lo stesso quotidiano britannico ha parlato di «faida» e ha sottolineato che Tusk «ha cercato di aggirare le leggi sui media». In un momento di tregua apparente e davanti agli sguardi perplessi di mezza Europa, il premier medesimo ha riconosciuto che «questa revisione del sistema mediatico pubblico avrebbe potuto essere più lenta e meditata». Di fatto Tusk ha riconosciuto che la fuga in avanti potrebbe rivelarsi un boomerang. Mettere il bavaglio (quello vero, quello dei soldi) alla tv pubblica non è mai una buona idea, anche se per il Corriere della Sera quest’ultima impedirebbe «il ritorno a un normale esercizio dell’azione di governo». Normale o normalizzato, non fa differenza.