2025-06-20
Trump tiene aperto un piccolo spiraglio: «Sull’intervento decido in 14 giorni»
Canale attivo Witkoff-Araghchi: Pasdaran pronti a riparlare di nucleare se Washington fermerà i raid di Gerusalemme.Gli Stati Uniti entreranno in guerra contro l’Iran al fianco di Israele? Forse sì, forse no. Ma di certo non subito. Ieri, la Casa Bianca ha fatto sapere che Donald Trump prenderà una decisione in merito nelle prossime due settimane: vuole infatti lasciare spazio a un tentativo diplomatico prima di un eventuale attacco militare statunitense alla Repubblica islamica. «Dato che ci sono concrete possibilità che si svolgano o meno negoziati con l’Iran nel prossimo futuro, prenderò la mia decisione se andare o meno entro le prossime due settimane», ha affermato il presidente americano in una dichiarazione, smentendo così un funzionario israeliano ascoltato qualche ora prima dal Times of Israel, secondo cui la decisione sarebbe avvenuta nell’arco di appena 48 ore. Poco dopo, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha specificato che Trump è, sì, un «peacemaker», ma che non ha paura di «usare la forza». D’altronde, sempre ieri, Reuters ha riferito che l’inviato americano, Steve Witkoff, avrebbe avuto varie telefonate con il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, da quando la crisi è scoppiata venerdì scorso. In particolare, durante questi colloqui diretti, Teheran avrebbe offerto di rilanciare le trattative sul nucleare a patto che Washington dissuada Gerusalemme dal proseguire i suoi attacchi contro la Repubblica islamica. Come che sia, ieri sera la Casa Bianca ha ribadito che, se vogliono davvero un accordo, gli ayatollah devono rinunciare all’arricchimento dell’uranio. Il punto vero comunque è che, con ogni probabilità, il presidente americano risulta favorevole a un intervento mirato che tenda alla distruzione dell’impianto nucleare iraniano di Fordow: a confermarlo sono state ieri anche fonti sentite dalla Cbs. Quello che lo trattiene è l’eventualità che gli eventi precipitino e che possa verificarsi un allargamento del conflitto. Un altro nodo su cui Trump sta riflettendo è quello dell’eventualità di un cambio di regime a Teheran: se Israele caldeggia significativamente l’ipotesi, l’inquilino della Casa Bianca appare ben più freddo, pur considerandola un’opzione sul tavolo. Martedì, riferendosi all’ayatollah Ali Khamenei, aveva infatti detto: «Non lo elimineremo, almeno per ora». Dal canto suo, Benjamin Netanyahu sta cercando di convincere Trump a entrare nel conflitto e, ieri, ha ringraziato gli Stati Uniti per il loro «grande aiuto». «Stanno partecipando alla protezione dei cieli sopra Israele e le sue città. Penso che sia una cooperazione straordinaria», ha detto il premier israeliano. Infine, ma non meno importante, è possibile che la Casa Bianca stia monitorando con attenzione lo Stretto di Hormuz: area attraverso cui viene trasportato il 20% del petrolio mondiale e che l’Iran ha minacciato di chiudere. Insomma, Trump oscilla tra diplomazia e ipotesi miliare. Non è tuttavia chiaro se questa situazione altalenante rifletta una spaccatura in seno all’amministrazione americana o se il presidente stia invece adottando una forma di ambiguità strategica, per mettere l’Iran sotto pressione e costringerlo a tornare al tavolo delle trattative senza più pretese sull’arricchimento dell’uranio. Evidentemente, se dobbiamo basarci sulla dichiarazione formulata ieri da Trump, è possibile che sia la seconda ipotesi quella più plausibile. Dopo il bastone, il presidente americano prova, cioè, a usare la carota, per costringere gli ayatollah a negoziare da una posizione di debolezza. È semmai da capire se Netanyahu accetterà di giocare di sponda con la Casa Bianca su questa linea, dato che, come abbiamo visto, il premier israeliano sembra particolarmente incline a un cambio di regime. Non è tuttavia neppure escludibile che i due possano adottare una strategia coordinata da «poliziotto buono» e «poliziotto cattivo». Nel complesso, la situazione resta comunque non poco tesa. The Hill ha infatti riferito che Washington ha iniziato a evacuare il personale governativo non essenziale dallo Stato ebraico. «Data la situazione in corso e nell’ambito dello status di partenza autorizzato dell’ambasciata, il personale della missione ha iniziato a lasciare Israele con vari mezzi», ha reso noto il Dipartimento di Stato americano. La stessa Repubblica islamica teme un attacco americano. «Nel caso in cui una terza parte intervenga in questa aggressione, essa verrà affrontata immediatamente secondo un piano specifico», ha dichiarato ieri il Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran. In tutto questo, secondo The Hill, sta crescendo la centralità del comandante di Centcom, Michael Kurilla. «Kurilla, che sovrintende alle missioni militari in tutta la regione dei 21 Paesi, guiderebbe qualsiasi operazione ordinata da Trump contro l’Iran», ha riferito la testata.Nel frattempo, Trump sta anche cercando di gestire la spaccatura che il possibile attacco americano contro la Repubblica islamica ha provocato nel mondo conservatore statunitense. Mercoledì, ha detto di essersi riappacificato con Tucker Carlson, dopo che i due avevano avuto un mezzo battibecco a distanza sulla questione iraniana. «Tucker è un bravo ragazzo. L’altro giorno mi ha chiamato e si è scusato perché pensava di aver detto cose un po' troppo forti e l’ho apprezzato», ha raccontato Trump. Negli ultimi giorni, una parte consistente della base Maga aveva criticato il presidente per l’eventualità di un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti in Medio Oriente. Chissà! Forse l’inquilino della Casa Bianca ieri ha preso tempo guardando (anche) agli equilibri di politica interna. Un’ipotesi, questa, tutt’altro che escludibile.
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