2025-04-20
Parigi e Ue in combutta contro Donald a Roma
Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio d'Europa, António Costa (Ansa)
Emmanuel Macron, Friederich Merz e Bruxelles tramano per far saltare la possibile visita del tycoon in Italia per un summit Usa-Unione. Il colpo grosso potrebbe riuscire a fine maggio e rafforzerebbe il vantaggio diplomatico di Giorgia Meloni con gli States, tra i mal di pancia degli altri leader.Tutti insieme appassionatamente a Roma. Con Donald Trump ai Fori Imperiali e la sinistra europea in coda alle farmacie per curare la gastrite cosmica. È l’obiettivo di Giorgia Meloni dopo il successo del summit alla Casa Bianca e le vacanze romane del vicepresidente JD Vance, con parole di miele per «questa città che ispira e innalza lo spirito umano». Un’idea maturata nella visita del premier a Washington, un invito a The Donald che nelle intenzioni del governo può diventare il summit decisivo con i leader dei 27 paesi Ue. Per negoziare i dazi, «blindare l’alleanza atlantica prima che qualcuno la faccia saltare» (parole pesate a palazzo Chigi) e mettere le basi di una strategia condivisa per chiudere la mattanza ucraina.Lo stesso Trump ha accettato l’invito. Nel testo condiviso si sottolinea che «il presidente verrà in Italia presto e si sta anche valutando di organizzare, in questa occasione, un incontro tra Stati Uniti ed Europa». È nero su bianco pure la necessità di «lavorare per garantire che il commercio tra Stati Uniti ed Europa sia reciprocamente vantaggioso, equo e reciproco». Anche se sugli ultimi due termini le divergenze sono forti («I dazi ci stanno arricchendo», ha detto Trump, contrarissimo alla volontà europea di imporli alle Big tech), la dichiarazione è la conferma che per la Casa Bianca la porta d’ingresso nel Vecchio continente sta a Roma, non altrove. E se qualcuno non vuole venire stia pure a casa sua. Un progetto affascinante e complicato, viste le resistenze caratteriali di Francia e Germania e le derive cinesi della Spagna. Soprattutto una corsa contro il tempo per anticipare il vertice Nato previsto per il 24 giugno all’Aja. Secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, il colpo grosso potrebbe riuscire a fine maggio. Di sicuro tutti lavorano perché l’Italia consolidi sul campo il vantaggio diplomatico che l’amministrazione americana le sta concedendo apertamente. «C’è stata un’apertura generica, vediamo cosa succede. Se si riesce a fare una chiacchierata tra Stati Uniti ed Europa sarebbe allargata ai leader di altri Stati», ha ammesso Fazzolari in un’intervista a La Stampa. L’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, ha confermato: «Si sta lavorando per una visita a stretto giro con tutti i leader europei». Meloni ha toccato l’anima repubblicana di Trump, spingendo sulle affinità ideologiche, sulla comune lotta alla cultura woke, sul pericolo dell’immigrazione irregolare e su quel Make West Great Again che per i cuori americani funziona sempre. Ora il suo obiettivo è quello di andare oltre un incontro a tre (Italia, Usa, vertici Ue). E il riscontro positivo della telefonata con Ursula von der Leyen pone le basi per qualcosa di epocale che riporterebbe il baricentro dell’Europa nell’area strategica del Mediterraneo. La presidente della Commissione ha infatti riconosciuto che «il colloquio è stato positivo, la missione si è rivelata una chance per creare ponti nel rispetto dei ruoli». E sembra vedere con favore questo ruolo aggregante e in definitiva europeista del premier italiano, riuscito a gettare nuove basi di trattativa dopo il fallimento delle delegazioni degli esperti commerciali guidate da Maros Sefcovic (Ue) e Howard Lutnick (Usa). Adesso il problema è convincere il narcisista velleitario Emmanuel Macron, il diffidente Friedrich Merz e il neo maoista Pedro Sànchez, capofila dell’Internazionale socialista che vorrebbe l’incontro a Bruxelles per venderlo come la Canossa di The Donald e per depotenziare il ruolo dell’Italia meloniana. Con questo spirito i Volenterosi trasformatisi in Riottosi sussurrano che la gita a Roma «non s’ha da fare» e spingono perché sia l’ultra-socialista portoghese António Costa, presidente del Consiglio europeo, ad avere l’ultima parola sulla sede del summit. Il suo entourage ha già fatto sapere che preferirebbe Bruxelles, ma tutto è ancora nelle stelle. La «special relationship» fra Italia e Stati Uniti, con il carico del possibile summit con l’Europa schierata, è vista come fumo negli occhi dalla sinistra italiana e di conseguenza dalle numerose mosche cocchiere mediatiche. Ieri Elly Schlein al culmine di una crisi isterica ha scandito con intento incendiario: «Gli Usa non saranno mai nostri alleati». Mostrando una nostalgia canaglia dei rubli sovietici al Pci (oggi con Vladimir Putin sarebbe difficile incassarli) la segretaria dem è riuscita con sette parole a mandare al macero 80 anni di storia, a negare l’appartenenza italiana alla sfera occidentale, a rovinare la Pasqua ai socialdemocratici di Base Riformista (la corrente più numerosa del Pd). E a vedersi redarguire dal sottosegretario Fazzolari: «Dividere l’Occidente non aiuta nessuno. Ecco, davanti a questa ipotesi, l’Italia lavora per unire». Gli Usa non saranno mai nostri alleati. Risata, va bene, buona Pasqua. Si attende valutazione pubblica del Quirinale.