2023-12-17
Trump vola nonostante lo spettro processi
Donald Trump in Texas durante la campagna per le primarie repubblicane (Ansa)
Secondo i sondaggi, l’ex inquilino della Casa Bianca potrebbe arrivare oltre il 60% alle primarie repubblicane, ma le incriminazioni rischiano di azzopparlo e riaprire la corsa. Seguono, a enorme distanza, Ron DeSantis e Nikki Haley (possibile carta di un ticket).Ci siamo quasi. Il prossimo 15 gennaio si terrà il caucus repubblicano dell’Iowa: l’appuntamento elettorale che darà il via alla stagione delle primarie presidenziali del Gop. Per il momento, non sembra plausibile attendersi sorprese eclatanti. Donald Trump continua a rimanere saldamente in testa nelle intenzioni di voto per la nomination. Secondo la media sondaggistica di Real Clear Politics dedicata alle primarie repubblicane, l’ex presidente è attualmente primo a livello nazionale con il 61% dei consensi e sopravanza gli avversari di oltre 48 punti. Ben più lontani, in una lotta accanita per il secondo posto, si collocano al momento Ron DeSantis e Nikki Haley, che sono appaiati al 12%. A un misero 4,7% è invece sceso il businessman Vivek Ramaswamy, che sembra aver perso la spinta di cui aveva goduto in estate. Pessimi risultati infine per i due candidati apertamente antitrumpisti, Chris Christie e Asa Hutchinson, che si attestano rispettivamente al 3% e all’1%.La posizione di frontrunner detenuta da Trump è difficilmente scalfibile anche nei primi Stati in cui si vota. In Iowa e New Hampshire ha un vantaggio rispettivamente del 30% e del 25%. A fine ottobre, la Cnn rilevava inoltre che l’ex presidente sopravanza i rivali di 31 punti in South Carolina: Stato di cui la Haley è stata governatrice dal 2011 al 2017. Secondo una recente analisi di Abc News, con questi numeri una rimonta sull’ex presidente è di fatto quasi impossibile. A ciò va aggiunto che Trump sembra aver elettoralmente beneficiato delle quattro incriminazioni piovutegli addosso a partire dal 30 marzo scorso. Basti pensare che, il 15 marzo, l’ex presidente a livello nazionale era al 43,9%, mentre oggi -come abbiamo visto - è al 61%. Trump vinse le primarie del 2016 col 44,9% dei consensi complessivi, mentre Mitt Romney e John McCain si aggiudicarono quelle del 2012 e del 2008 rispettivamente con il 52,1% e con il 46,7%. Senza infine trascurare che sia DeSantis sia la Haley sono storicamente legati a Trump: il primo ottenne da lui l’endorsement durante la candidatura a governatore del 2018, la seconda fece parte della sua amministrazione.La vera incognita riguarda tuttavia proprio l’impatto che le incriminazioni dell’ex inquilino della Casa Bianca avranno sulla campagna elettorale. Si tratta infatti di una situazione inedita. In linea teorica, Trump può restare in corsa e ritornare presidente anche da condannato e, addirittura, da carcerato. Non è però affatto detto che la teoria si possa trasformare agevolmente in pratica. Ecco perché questa situazione di incertezza costringe a guardare alle chance degli altri candidati. Al momento, come abbiamo visto, si sta registrando un duello tra DeSantis e la Haley: un duello che si sta risolvendo a favore della seconda. L’ex ambasciatrice all’Onu detiene al momento saldamente il secondo posto in New Hampshire, mentre, pur essendo terza in Iowa, sta tallonando sempre di più il governatore della Florida. In termini di trend, la Haley è oggi in una posizione più forte rispetto a DeSantis. Domanda: se Trump uscisse di scena, la Haley ce la farebbe a conquistare la nomination? Da una parte, l’ex ambasciatrice avrebbe delle possibilità. I fondamentali elettori delle aree suburbane sembrano inclini al conservatorismo di area centrista. Inoltre, grazie alle sue idee proattive in politica estera, la Haley è la candidata che piace agli apparati (dal Pentagono all’intelligence). L’ex ambasciatrice sta anche attirando il sostegno di finanziatori repubblicani ostili a Trump (a partire dal network del miliardario Charles Koch). Dall’altra parte, ampi settori della base repubblicana non la amano, non perdonandole di essere scesa in campo contro l’ex presidente. Inoltre la Haley non sembra per ora aver molto da dire ai colletti blu della Rust belt: una quota elettorale fondamentale per conquistare la Casa Bianca. Proprio questa mescolanza di forza e debolezza rende l’ex ambasciatrice un candidato ambivalente. Tuttavia la sua vicinanza agli apparati non è passata inosservata. E, se resta in campo, Trump potrebbe scegliere la Haley come propria running mate al termine delle primarie, anche per tendere un ramoscello d’ulivo a quei mondi. Senza comunque trascurare che, in caso di uscita di scena dell’ex presidente, altri candidati potrebbero scendere in campo, se il tempo glielo permetterà: da questo punto di vista, andrebbero monitorati con attenzione il governatore della Virginia, Glenn Youngkin, e il giornalista, Tucker Carlson. A oggi, l’unica concreta alternativa a una vittoria di Trump sembra comunque essere quella di una convention repubblicana aperta.Non va infine trascurato il ruolo dei potentati mediatici. L’impero dei Murdoch è da tempo ai ferri corti con Trump. Inizialmente aveva puntato su DeSantis, salvo poi fare un passo indietro sia per i dissidi sull’Ucraina sia per il fatto che, come abbiamo visto, la stella del governatore sembra essersi appannata. Non è tuttavia escluso che l’uscita di scena del vecchio Rupert possa portare nuovamente il sereno tra l’impero mediatico e l’ex presidente. Dall’altra parte, il social X sta diventando un polo attrattivo per i conservatori. In passato, Elon Musk aveva espresso simpatia per DeSantis e Ramaswamy. Carlson ha tuttavia intervistato Trump sulla sua piattaforma ad agosto. Pur essendosi avvicinato al mondo repubblicano, Musk, grazie agli appalti di SpaceX, continua a mantenere solidi legami con il Pentagono: quel Pentagono che non ama affatto Joe Biden e che invece, come abbiamo visto, guarda oggi con simpatia alla Haley.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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