2025-06-28
Donald bazooka e carota: 30 miliardi all’Iran
Il presidente Usa, dopo le bombe sugli impianti «atomici» di Teheran, vuole tornare ai negoziati con i rappresentanti locali. Sul tavolo un massiccio finanziamento per lo sviluppo di un programma nucleare civile, senza arricchimento di uranio.Donald Trump punta a far tornare gli iraniani al tavolo delle trattative. In tal senso, secondo la Cnn, avrebbe offerto a Teheran l’allentamento delle sanzioni e l’accesso a 30 miliardi di dollari per la realizzazione di un programma nucleare a scopo civile senza arricchimento dell’uranio. La domanda a questo punto è: ma perché il presidente americano si sta impegnando così tanto per riavviare i colloqui con la Repubblica islamica? La risposta è: perché vuole rilanciare gli Accordi di Abramo.Il quotidiano Israel Hayom ha recentemente parlato di un presunto piano concordato tra Trump e Benjamin Netanyahu, che punterebbe a chiudere il conflitto a Gaza nei prossimi giorni. Secondo questo progetto, la leadership di Hamas dovrebbe andare in esilio, mentre la Striscia passerebbe de facto sotto il controllo di quattro Paesi arabi (dei quali è stata resa nota l’identità soltanto di Egitto ed Emirati arabi). Altri Paesi non specificati si occuperebbero invece di ospitare i palestinesi che accettassero di espatriare. A quel punto, l’Arabia Saudita e la Siria normalizzerebbero le loro relazioni con Israele, mentre lo Stato ebraico ammetterebbe una soluzione a due Stati, a condizione che l’Anp venga riformata. In cambio, Washington riconoscerebbe la sovranità israeliana su alcune parti della Cisgiordania.Ovviamente si tratta di indiscrezioni non confermate. Tanto più che ieri Netanyahu, alle prese con la diffidenza nutrita dall’ala destra della sua coalizione di governo, ha smentito il contenuto dello scoop. «A Israele non è stata presentata la proposta politica presumibilmente descritta nell’articolo, e ovviamente non l’ha accettata», ha detto. Tuttavia, stanno emergendo alcuni fatti interessanti. Giovedì è stato proprio il premier israeliano a sostenere che la vittoria contro l’Iran apriva «l’opportunità di una significativa espansione degli accordi di pace». Nello stesso giorno, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha reso noto che Trump sta cercando di convincere l’attuale presidente siriano Ahmed Al-Sharaa a normalizzare le relazioni con Israele. «Il presidente spera sicuramente che altri Paesi della regione aderiscano agli Accordi di Abramo», ha detto, per poi aggiungere: «Quando il presidente ha incontrato il nuovo presidente della Siria, questa è stata una delle richieste che ha fatto: che la Siria firmasse gli Accordi di Abramo». Sempre l’altro ieri, l’inviato americano in Siria, Tom Barrack, era a Riad, dove ha incontrato il ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan, per discutere del sostegno a Damasco. Non solo. Martedì, il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, aveva anche confermato che lo Stato ebraico fosse in contatto quotidiano con il governo di Damasco in vista di una possibile normalizzazione delle relazioni.È da sottolineare che, a maggio, Trump aveva allentato le sanzioni americane alla Siria su spinta di Riad e Ankara. All’epoca, Netanyahu si era mostrato irritato, ma adesso sembra essere in corso un disgelo tra Gerusalemme e Damasco: un disgelo principalmente mediato dai sauditi. Un ulteriore aspetto interessante risiede nel fatto che Al-Sharaa è storicamente spalleggiato da Recep Tayyip Erdogan: è quindi assai improbabile che il leader siriano stia ipotizzando di normalizzare le relazioni con Israele senza l’assenso del presidente turco. Se le cose stessero così, si tratterebbe di una svolta significativa, visto che, nel 2020, Ankara si era mostrata piuttosto ostile verso gli Accordi di Abramo. Adesso, invece, la Turchia potrebbe rivelarsi disposta a farsi cooptare nel loro rilancio.Il ruolo di Riad, insomma, si fa sempre più centrale. E i collanti del blocco in fase di definizione sono due: la ricostruzione di Gaza, oltre alla paura della bomba atomica iraniana. Si tratta di fattori interconnessi, come dimostra il comportamento di Mosca. La Russia vuole essere della partita nella ricostruzione della Striscia. È quindi anche in quest’ottica che sta cercando di «moderare» l’Iran, giocando sotterraneamente di sponda con Trump. Il Cremlino ha intimato a Teheran di non chiudere lo Stretto di Hormuz e le ha anche fatto sapere di non condividere la sua volontà di sospendere la cooperazione con l’Aiea. Trump, dal canto suo, ha escluso un regime change in Iran anche per venire incontro a Vladimir Putin, che teme di perdere, dopo Bashar al Assad, un altro alleato strategico in Medio Oriente. Al contempo, il presidente americano spera che i colloqui tra Washington e Teheran possano riprendere la settimana prossima: sa d’altronde perfettamente che la risoluzione della questione atomica iraniana è una delle precondizioni per rilanciare gli Accordi di Abramo. E infatti ieri non solo ha sottolineato di aver salvato Ali Khamenei da morte «brutta e ignominiosa», annunciando di voler rimandare l’allentamento delle sanzioni, ma non ha neanche escluso nuovi bombardamenti se gli ayatollah dovessero arricchire l’uranio a livelli preoccupanti. Non è allora escludibile che l’inquilino della Casa Bianca punti innanzitutto a rendere l’Iran inoffensivo dal punto di vista atomico, per poi integrarlo nel sistema di alleanze regionali in costruzione. Dall’altra parte, ammesso che lo scoop di Israel Hayom sia fondato, Netanyahu dovrà convincere l’ala destra del suo esecutivo a dare l’ok a un ruolo dell’Anp. I rapporti tra Trump e Abu Mazen sono buoni, mentre Riad ha appena recapitato alla stessa Anp 30 milioni di dollari per alleviare la crisi finanziaria in cui versa.
Volodymyr Zelensky (Ansa)