2018-11-29
Trump fa l’operaio: se tagli posti di lavoro niente aiuti di Stato
General Motors vuole chiudere tre impianti: 14.800 impieghi in meno. Donald a muso duro: «Aprite stabilimenti in Ohio». Come fatto in campagna elettorale, quando difese i lavoratori della Rust belt, la regione industriali tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi laghi, e attaccò duramente la Ford per la decisione di trasferire la produzione in Messico, anche questa volta il presidente prova a farsi paladino degli operai.L'ultimo capitolo della lunga guerra commerciale e strategica tra Stati Uniti e Cina viene combattuta per procura. Il presidente statunitense Donald Trump ha infatti minacciato di tagliare gli aiuti di Stato all'azienda automobilistica General Motors, compresi quelli per lo sviluppo dell'auto elettrica, dopo l'annuncio del taglio di 14.800 posti di lavoro negli Usa e in Canada, e della fine della produzione in cinque impianti nei due Paesi nordamericani. Nel dirsi «molto deluso» per la chiusura degli stabilimenti, il numero uno dell'amministrazione Usa ha voluto ricordare via Twitter che General Motors «ha scommesso fortemente sulla Cina anni fa»: ma «non mi pare che questa scommessa sia vincente». Washington, ha detto ancora Trump, «ha salvato General Motors (sotto l'amministrazione di Barack Obama, ndr), e questo è il grazie che riceviamo». Ieri Trump ha invitato il Congresso a introdurre dazi del 25% sulle vetture prodotte all'estero: «Molte più auto sarebbero state costruite» negli Stati Uniti, ha scritto su Twitter, «e General motors non chiuderebbe gli impianti in Ohio, Michigan e Maryland», ha scritto il presidente Usa sul social network.Come fatto in campagna elettorale, quando difese i lavoratori della Rust belt, la regione industriali tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi laghi, e attaccò duramente la Ford per la decisione di trasferire la produzione in Messico, anche questa volta Trump prova a farsi paladino degli operai. Il presidente, raccontando la sua conversazione con il numero uno di General Motors, Mary Barra, ha spiegato di averle detto: «Sai che questo Paese ha fatto molto per General Motors, e sarà meglio che torniate subito in Ohio». Secondo l'amministrazione statunitense, il Tesoro di Washington ha perso 11,2 miliardi di dollari del suo prestito di 49,5 utilizzato nel 2009 per salvare il colosso automobilistico.Trump, intervistato dal Wall Street Journal, ha spiegato che General motors, che ha stabilimenti a Shanghai e nelle province cinesi di Liaoning e Shandong, dovrebbe smettere di assemblare automobili oltre Pacifico e aprire uno stabilimento nell'Ohio per compensare la chiusura delle altre fabbriche negli Usa. «Non ho dubbi che in un futuro non distante apriranno qualcos'altro. Faranno meglio a muoversi in questo senso», ha detto tra la previsione e l'avvertimento il presidente Usa. Al cui fianco si è schierato perfino il premier canadese Justin Trudeau, «profondamente deluso» dal piano che coinvolgerà anche il grande stabilimento dell'azienda a Oshawa, nell'Ontario, che dà lavoro a 2.900 persone. La decisione di General motors, come ha spiegato il Wall Street Journal in un denso editoriale, dipende da fattori di mercato. Due in particolare: la concorrenza giapponese e coreana sulle utilitarie e i contratti di lavoro non competitivi stipulati con i suoi dipendenti dal colosso. Che per evitare un altro fallimento ha preso questa decisione drastica, puntando su vetture elettriche e a guida autonoma e seguendo Ford e Fiat Chrysler, che già hanno pian piano fermato la produzione di auto di piccole dimensioni in Nordamerica. Cioè dove costano di più. Inoltre, pesano sulla decisione di General Motors le ripercussioni dei dazi sull'alluminio e l'acciaio imposti da Trump sulla supply chain globale del colosso automobilistico. A 24 ore dall'apertura dei lavori del G20 di Buenos Aires i riflettori sono puntati proprio su Donald Trump. Durante il vertice di due giorni (domani e dopodomani) in Argentina, il presidente degli Stati Uniti vedrà l'omologo russo Vladimir Putin, incontro confermato ieri dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che ha smentito le voci di un annullamento dopo le tensioni tra Washington e Mosca per il recente riaccendersi delle tensioni in Ucraina. Ma il bilaterale più atteso a Buenos Aires, e dal quale si capirà se il Gruppo dei venti riuscirà a produrre una dichiarazione finale che oggi sembra fortemente a rischio, è quello tra il numero uno della Casa Bianca e il presidente cinese Xi Jinping. La scorsa settimana l'Oecd (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha avvertito che se l'escalation tra Washington e Pechino dovesse sfociare in una guerra commerciale, la crescita globale potrebbe calare dello 0,8% nel 2021. Ma tale pressione potrebbe addirittura aggravarsi, visto l'annunciato aumento dei dazi statunitensi sulle merci cinesi dal 10% al 25% che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio.Sarebbe comunque sbagliato pensare che la due giorni di Buenos Aires possa risolvere tutti i problemi tra l'amministrazione di Washington e il governo di Pechino, ormai coinvolti in una competizione sempre più serrata e a tutto campo (non si combatte solo in economia ma anche su zone di influenza strategica, proprietà intellettuale e sicurezza nazionale, solo per fare qualche esempio). Le ragioni le ha spiegate in poche parole, commentando il G20 al New York Times, Shi Yinhong, numero uno del Centro di studi americani all'università d'élite Renmin di Pechino: «Anche riuscissero a trovare un piccolo accordo, i leader di Cina e Stati Uniti non saranno in grado di raggiungere un accordo sui fondamentali. E quindi non ci sarà alcun cessate il fuoco nella guerra commerciale».
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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