
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo: «Valutiamo di rendere inutilizzabile TikTok». È il nuovo capitolo della lotta commerciale con Pechino. Intanto Instagram testa in India una versione molto simile a quella cinese.La guerra geopolitica e commerciale tra Stati Uniti e Cina si è arricchita ieri di un nuovo capitolo. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha infatti dichiarato, in un'intervista all'emittente supertrumpiana Fox News, che l'amministrazione statunitense sta «esaminando» un possibile divieto per le app dei social media cinesi, tra cui TikTok: «Stiamo prendendo molto sul serio» la possibilità, ha aggiunto il capo della diplomazia a stelle e strisce.TikTok aveva preoccupato l'esercito e il Congresso Usa, il Copasir e il Garante per la privacy Antonello Soro in Italia e per ultimo il Garante europeo della privacy, che ha recentemente deciso di creare «una task force per coordinare potenziali azioni e acquisire maggiori informazioni» sulle sue pratiche. Il timore di Washington è lo stesso che l'amministrazione Trump ha già espresso su Huawei: il rischio che «informazioni private» finiscano «nelle mani del Partito comunista cinese». Un portavoce dell'app di proprietà della cinese ByteDance ha commentato le dichiarazioni del segretario Pompeo affermando che «TikTok è guidata da un amministratore delegato americano (l'ex manager Disney, Kevin Meyer, ndr), con centinaia di impiegati e figure chiave per quanto riguarda la sicurezza, la protezione, il prodotto e le politiche pubbliche, che operano negli Stati Uniti». Priorità assoluta della società, ha spiegato il portavoce, «è promuovere un'esperienza sicura e un luogo protetto per i nostri utenti. Non abbiamo mai fornito dati degli utenti al governo cinese, né lo faremmo in caso di richiesta».Nelle stesse ore dell'avvertimento di Pompeo, TikTok ha dichiarato l'interruzione dei servizi della sua app a Hong Kong, a causa dei «recenti eventi». L'app sarà dunque rimossa dagli store digitali nell'ex colonia britannica «in pochi giorni», ha detto un portavoce. ByteDance sta così per diventare il primo gigante dei servizi online a ritirarsi dal mercato hongkonghese dopo l'imposizione da parte del regime cinese della nuova legge sulla sicurezza nazionale su Hong Kong. Facebook, Google e Twitter hanno già bloccato le richieste del governo e della polizia di Hong Kong di avere informazioni sugli utenti, a seguito della stretta di Pechino.Due sono le partite che si intrecciano con la presa di posizione statunitense contro TikTok: una è interna, l'altra esterna. La prima ha a che fare anche con le prossime elezioni presidenziale di novembre (sia per l'aspetto occupazionale, sia per quello della propaganda online). Partiamo dai dati: TikTok è rapidamente diventata un colosso di dimensioni tali da sfidare il monopolio di Mark Zuckerberg, uno degli uomini della Silicon Valley meno ostili al presidente Donald Trump: 800 milioni di utenti attivi ogni mese nel mondo, oltre un miliardo di download, di cui 175 milioni solo negli Stati Uniti. Lo scontro tra i due big è accesissimo. Tanto che Facebook, dopo aver annunciato la chiusura di Lasso, la sua app video indipendente in stile TikTok lanciata soltanto due anni fa, sta testando in India la funzionalità Reels di Instagram (altra app di proprietà Facebook): si tratta di un strumento di video editing per realizzare filmati di 15 secondi in stile TikTok che possono essere poi condivisi nelle storie di Instagram. «Stiamo programmando di iniziare a testare una versione aggiornata di Reels in più Paesi», ha dichiarato a Business Insider un portavoce di Facebook.La seconda partita è internazionale. Gli Stati Uniti stanno cercando di limitare la presenza di tecnologia cinese sul proprio territorio. Per questo, la scorsa settimana, la Commissione federale sulle comunicazioni ha dichiarato le aziende cinesi Huawei e Zte «minacce alla sicurezza nazionale»: una mossa che impedirà alle società di telecomunicazioni statunitensi di usare fondi federali per comprare e installare apparecchi dei colossi accusati di legami con il regime di Pechino. Ma quella degli Stati Uniti è una campagna globale. Australia, India e Regno Unito stanno considerando di emanare un divieto totale per Huawei nelle infrastrutture 5G. La Francia, invece, ha deciso di sconsigliare l'utilizzo di apparecchiature del colosso di Shenzhen agli operatori che ancora non hanno fatto una scelta in vista del lancio della rete di quinta generazione (la statale Orange ha già preferito la svedese Ericsson). Si aspettano le decisioni di Germania e Italia. Se mentre a Roma tutto tace, a proposito di Berlino ieri il quotidiano tedesco Handelsblatt ha rivelato che la cooperazione tra Deutsche Telekom (di cui lo Stato tedesco ha una quota del 14,5%) e Huawei va «molto oltre» le disposizioni dell'intelligence: il gruppo è diventato «sempre più dipendente» dalla Cina, scrive il giornale.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.






