2022-08-05
Con «Tredici vite» Amazon sfida Netflix
True
«Tredici vite» (Amazon Prime Video)
Disponibile da venerdì 5 agosto su Prime Video, la pellicola diretta da Ron Howard racconta la storia dei 12 bambini thailandesi e del loro allenatore rimasti intrappolati nella grotta sommersa di Tham Luang.La storia è quella vera cui il titolo allude: tredici anime, un’intera squadra di calcio, protagonista della tragedia che nel 2018 ha richiamato l’attenzione del mondo. Erano dodici ragazzi e un allenatore, venticinquenne appena. Era la Thailandia, il mare chiaro, riparato dallo sguardo rapace dei turisti. Era il compleanno di uno fra i giocatori, l’occasione per spezzare l’incedere altrimenti monotono della quotidianità. I monsoni avrebbero dovuto attendere la propria stagione per palesarsi. Invece, quando la squadra, capeggiata dal suo allenatore, si è avventurata dentro la grotta di Tham Luang la pioggia ha cominciato a battere, non gocce ma fiumi. L’acqua è fluita violenta, ha riempito i cunicoli, troppo perché i tredici potessero risalire fra terra e fango e sbucare ancora una volta nel parco nazionale della provincia di Chiang Rai. Tham Luang è diventata una prigione, le biciclette abbandonate davanti all’entrata. I tredici sono scomparsi, e di quella loro scomparsa - che si è protratta nei giorni, fra la fine di giugno e l’inizio di luglio - ha voluto raccontare Ron Howard.Il regista, dell’«incidente», come sarebbe poi stato ribattezzato dai media, ha fatto un film, Tredici vite, su Amazon Prime Video da venerdì 5 agosto. La storia non è, però, quella della scomparsa. Non del tutto, almeno. Al centro della pellicola, la prima con la quale Amazon abbia deciso davvero di sfidare Netflix nella produzione di titoli blasonati, non ci sono le ore tragiche dell’incidente, né la lotta per la sopravvivenza. Non è un film catastrofista Tredici vite. È il suo contrario: il resoconto di quel che accade quando un Paese e il mondo tutto cooperano per un fine maggiore, la salvezza dell’essere umano. Ron Howard, con Colin Farell e Viggo Mortensen nei panni di due fra gli speleologi britannici che hanno condotto le operazioni di salvataggio, ha voluto porre l’accento sulla pars costruens della vicenda. Sulla proattività, sull’emergere di una bontà intrinseca, di uno spirito di conservazione che non è del singolo ma della collettività. Ci sono, allora, i giorni frenetici della mobilitazione internazionale. Ci sono i media, accorsi da ogni parte del globo. I neavy seals, gli speleologi e i sommozzatori. C’è la politica. E il resto manca, di una mancanza che non è, però, errore. Tredici vite, dove poco - niente, quasi - è detto sulle settimane che i ragazzi hanno passato prigionieri della grotta, lascia dietro di sé alcune domande. Come sono sopravvissuti, i giocatori e il loro allenatore? Quali strascichi psicologici ha avuto la faccenda, quali emozioni e paure hanno condiviso nei giorni della loro prigionia? Gli interrogativi si rincorrono, le risposte tardano. Non c’è la volontà di ritrovarle e soddisfare così la cuoriosità di chi guardi. Manca, in questo senso, l’approfondimento. Manca, ma non disturba la mancanza. Si affaccia di tanto in tanto, tra ricostruzioni pressoché perfette di Tham Luang. Si affaccia e subito scompare, fagocitata dal ritmo incalzante della storia che si ripete: i soccorsi, i tentativi, l’accanimento salvifico e un eroismo che, in fin dei conti, è capace di bastare a se stesso.