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2020-02-23
Tre focolai spaccano il Nord. E in nessun caso si è capito chi sia il portatore del virus
Né in Lombardia né in Veneto è ancora saltato fuori il paziente zero. L'uomo dal quale sarebbe partito il contagio del Covid-19, che ha infettato al momento 39 persone tra Codogno, Pizzighettone e Lodi. Anche l'anziana di 76 anni, di Casalpusterlengo, deceduta ieri, era passata per il pronto soccorso del principale centro del Basso Lodigiano.
Pure in Veneto, nebbia assoluta. Non si sa chi abbia seminato il coronavirus tra i 12 cittadini risultati al momento positivi al test, uno dei quali era il settantasettenne deceduto venerdì a Schiavonia, nel Padovano. Un altro contagiato di 67 anni vive a Mira, nel Veneziano, ma era stato ricoverato all'ospedale di Dolo per quelli che sembravano sintomi di una forte forma influenzale. «Questo ultimo caso è un altro caso che fa scuola perché non c'è alcun contatto da portatore primario e quindi si può dire che il virus è ubiquitario come accade per la sindrome influenzale che non si sa da chi la si è presa» ha rilevato il governatore veneto, Luca Zaia.
Gli altri sono tutti residenti a Vo' Euganeo, in provincia di Padova, come il pensionato di 68 anni risultato pure lui positivo al test, amico della prima vittima del coronavirus in Italia.
Il paese dei Colli Euganei dove i due giocavano a carte, da ieri è diventato un borgo fantasma, scuole e locali pubblici chiusi, divieti di spostamenti anche per lavoro, così come è accaduto a Codogno e in altri nove Comuni del Lodigiano. Ma se l'assessore lombardo alla Sanità, Giulio Gallera, ha detto di avere «la conferma che l'area del Basso Lodigiano è centro di un focolaio. Possiamo dirlo in maniera abbastanza certa, tutte le situazioni di positività hanno o hanno avuto contatti nei giorni 18 e 19 con il pronto soccorso e l'ospedale di Codogno», in Veneto non ci sono cordoni sanitari estesi a più Comuni. In Lombardia, un sospetto c'era, il manager di 41 anni che vive da sette anni a Shanghai dove lavora per la Mae di Fiorenzuola d'Arda, in provincia di Piacenza. Arrivato in Italia il 21 gennaio con un volo Air China per trovare gli amici in Italia, come ha raccontato il padre al Corriere della Sera, non ha più potuto rientrare per l'emergenza coronavirus.
Tra l'1 e l'8 febbraio si sarebbe visto più volte con il trentottenne di Codogno attualmente ricoverato in terapia intensiva e in gravissime condizioni. Ma non sarebbe stato lui a infettare il paziente uno e la moglie del giovane, incinta di otto mesi, anch'essa sotto stretta osservazione, però all'ospedale Sacco di Milano. Il manager aveva manifestato sintomi influenzali proprio quando incontrava l'amico di Codogno. Si pensava che avesse contratto il virus e fosse guarito. Dai test effettuati «è emerso che non ha sviluppato gli anticorpi», ha chiarito invece ieri sera il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri.
In Veneto, ieri il governatore Luca Zaia annunciava la restrizione del movimento di persone solo a Vo' Euganeo. «In via preventiva faremo il tampone a tutti quelli che si presenteranno nei ricoveri ospedalieri del Veneto con sintomi influenzali importanti», dichiarava il presidente della Regione, ammettendo che «dobbiamo ancora capire chi sia il contagio primario, chi sia stato a contagiare le due persone, delle quali sappiamo solo una cosa, che giocavano a carte insieme in un bar». Zaia ha detto che tutti i bar di Vo' saranno chiusi, però il panico si sta diffondendo.
Adriano Trevisan, 78 anni, padre dell'ex sindaco di Vo', Vanessa Trevisan, era ricoverato all'ospedale di Schiavonia da diversi giorni. I medici non avevano sospetti, sapevano che l'uomo non aveva fatto viaggi in Cina. Quando anche l'amico venne ricoverato, i sintomi che i due uomini accusavano cominciarono a preoccupare i sanitari e subito vennero fatti i test, risultati positivi. Trevisan è deceduto, l'amico con cui giocava a carte è nel reparto di malattie infettive dell'ospedale di Padova perché quello di Schiavonia è stato chiuso per bonificare l'intera struttura. Si stanno controllando tutti i movimenti dei due pensionati, cercando di scoprire collegamenti con persone tornate dalla Cina o che avessero presentato sintomi influenzali. Da ieri, otto cinesi tra i quali una donna che svolgono un'attività imprenditoriale a Vo' Euganeo, sono sotto controllo clinico. Alcuni di loro frequentavano lo stesso bar dei pensionati, forse potrebbero essere il punto di origine del contagio. Sempre ieri è scattato il cordone sanitario attorno al paese dei Colli Euganei, ma dopo l'annuncio di un caso di Covid-19 anche nel Veneziano, la paura è proprio quella di un contagio fuori controllo.
A Dolo ieri c'era l'assalto ai supermercati per far scorta di generi alimentari, nel timore che i negozi vengano chiusi nei prossimi giorni. Il sindaco di Mira, Marco Dori, ha detto che il Municipio non veniva al momento isolato, che amici e parenti del contagiato si stanno sottoponendo ad accertamenti e ha invitato «a restare a casa, in questa fase, e a limitare il più possibile i contatti esterni». Intanto l'allarme coronavirus fa sospendere le lezioni negli atenei, la prossima settimana tutte le università del Veneto resteranno chiuse, mentre la Federazione italiana pallacanestro ha deciso di sospendere tutte le gare gestite dal Comitato regionale Veneto fino a mercoledì prossimo. Nel frattempo, caccia aperta al paziente zero.
Ad Adriano è stata fatale la briscola. Per Giovanna diagnosi post mortem
Entrambi pensionati. Entrambi indeboliti da altre patologie e debilitati. La diagnosi di infezione da coronavirus per loro è arrivata tardi. E sono stati curati per altre malattie. Ci hanno lasciato le penne. Adriano Trevisan, 78 anni, di Vo' Euganeo, sui Colli, a pochi chilometri da Padova, era padre di tre figli, tra cui Vanessa, l'ex sindaco di Vo'. È morto alle 23 di venerdì all'ospedale di Schiavonia. Causa della morte: contagio da coronavirus. I sanitari non hanno fatto in tempo a trasferirlo al reparto malattie infettive dell'ospedale di Padova. Era ricoverato in quello di Schiavonia insieme a un suo concittadino, prima che si scoprisse che si trattava - per entrambi - di coronavirus. Trevisan è stato ricoverato per diversi giorni e non era considerato un paziente a rischio, perché non risultavano viaggi in Cina o contatti con persone provenienti dalla Cina. La patologia è stata quindi curata come una normale influenza. Quando, però, è arrivato in ospedale il secondo malato da Vo' Euganeo, con gli stessi sintomi, ai sanitari è bastato fare qualche domanda per scoprire che la situazione era più critica del previsto. I due contagiati frequentavano gli stessi bar, dove giocavano a carte con altri avventori. Trascorrevano le serate sfidandosi a due giochi molto popolari: briscola e battere il fante. Ed erano habituè del Mio bar e della Locanda al sole, due locali distanti poco più di 100 metri l'uno dall'altro. Si sono ammalati 15 giorni fa, ma il risultato del test di laboratorio è arrivato solo ieri. Per entrambi il test ha dato esito positivo. È scattata, quindi, la caccia ai contagiati. Per tutta la giornata di ieri le autorità hanno lavorato per mappare gli spostamenti dei due pazienti di Vo' Euganeo, partendo dai bar che frequentavano. È da lì che si comincerà con i tamponi, per individuare gli altri giocatori che si sono seduti al tavolo da gioco con lo sventurato signor Adriano. Giovanna Carminati, la vittima numero due, era quasi coetanea di Trevisan: 78 anni, di Casalpusterlengo, nel Lodigiano. Era stata ricoverata con una diagnosi di polmonite. È morta mentre era in attesa dei risultati del test per il coronavirus che, poi, si è rivelato positivo. Ufficialmente, sulla cartella clinica, infatti, le cause della morte vengono ricondotte ad arresto cardiocircolatorio. Le verifiche effettuate a decesso avvenuto, però, hanno confermato il contagio. Sono in corso accertamenti per verificare dove abbia potuto infettarsi. Stando ad alcune indiscrezioni - non confermate però da fonti ufficiali - la vittima sarebbe la madre di un amico del trentottenne di Codogno indicato come il «paziente uno», l'uomo ricoverato in gravi condizioni da cui sarebbe partito il focolaio. E proprio a Codogno la vittima si era recata al pronto soccorso nei giorni scorsi. La stessa struttura in cui si era presentato il trentottenne con l'insorgenza dei primi sintomi. «Con i dati in possesso», ha spiegato l'assessore lombardo alla Salute, Giulio Gallera, «non possiamo dire se la signora sia morta a causa del coronavirus o se sia stata sopraffatta da altre patologie». Per precauzione, comunque, l'abitazione della donna a Casalpusterlengo è in isolamento. Le persone che sono entrate in contatto con lei, compresi medici e infermieri che l'hanno curata negli ultimi giorni, vengono monitorate costantemente. Al momento, però, le autorità non hanno notizia di ulteriori contagi nella stretta cerchia della paziente deceduta.
Ma la Appendino vieta le mascherine
C'è un primo caso di contagio da coronavirus a Torino eppure il sindaco grillino, Chiara Appendino, sembra più preoccupata del razzismo che di proteggere i dipendenti comunali. Ieri una donna avrebbe denunciato di aver subito un'aggressione in quanto cinese e la Appendino ha subito twittato: «Un gesto ignobile e di rara violenza verso una nostra concittadina, alla quale mando l'abbraccio mio personale e di tutta la comunità. A Torino non può esserci spazio per questi comportamenti».
Intanto però il Comune proibisce ai dipendenti l'uso delle mascherine perché provocano «allarmismo», come affermano Augusta Montaruli, parlamentare di Fratelli d'Italia, e Maurizio Marrone, capogruppo Fdi in Regione. «Tanti dipendenti comunali a contatto diretto con il pubblico ci stanno contattando indignati e impauriti per una circolare arrivata dalla direzione generale che vieta l'uso delle mascherine bollandolo come allarmismo e comportamento iper cautelativo: incredibilmente la nota dell'Istituto Biomedico allegata così come la direttiva comunale risalgono al 20 febbraio, prima dell'evolversi dell'epidemia, tanto che ancora sostiene l'assenza di casi di diffusione del coronavirus in Italia a parte persone cinesi provenienti dal loro Paese. Come fa il sindaco Appendino a essere così irresponsabile da esporre i suoi dipendenti al rischio di contagio solo per lentezza burocratica?».
Le contromisure prese dalla Regione Lombardia e dai Comuni focolaio del coronavirus lombardo hanno indotto il sindaco di Milano, Beppe Sala, a prendere decisioni analoghe. «Al momento abbiamo dato attuazione all'ordinanza del ministero della Salute e della Regione», ha detto Sala, «e abbiamo sospeso dalle attività i lavoratori dipendenti del Comune e delle nostre controllate che provengono dalla zona ove sussiste un cluster di infezione». «Non ci sono emergenze ed evidenze tali da farci pensare alla chiusura dei servizi pubblici. Molte imprese e molti uffici potranno fare ricorso al telelavoro per ridurre la mobilità territoriale», ha detto ieri pomeriggio il prefetto di Milano, Renato Saccone, al termine del vertice con il sindaco e l'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera. E Sala ha aggiunto: «Noi consigliamo ai milanesi non di stare a casa ma di limitare più possibile, di ridurre la socialità e di avere norme igieniche. Siamo in attesa di avere chiarimenti a livello nazionale. Navighiamo a vista e domani (oggi per chi legge, ndr) alle 10 ci rivediamo qui». E comunque, per tutti i cittadini del capoluogo meneghino, le informazioni saranno disponibili sul sito del Comune. Resterà invece chiuso da domani e fino a nuova disposizione il tribunale di Milano. La Corte d'Appello ha disposto che si asterrà dall'attività presso tutti gli uffici giudiziari del distretto sino a nuova disposizione, il personale di magistratura, togati e onorari, il personale amministrativo nonché tutte le persone che svolgono stage formativi presso gli uffici e che siano residenti nei Comuni del focolaio.
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Tutto da rifare nel Lodigiano: il manager rientrato da Shanghai non ha mai contratto la malattia. Anche i veneti brancolano nel buio: zero indizi sull'origine del contagio.Il signor Trevisan si è infettato al bar, la donna di Lodi forse in contatto col «paziente 1».A Torino c'è il primo caso, eppure una circolare del Comune bandisce le protezioni per il viso: «Generano allarmismo». Giuseppe Sala deve ammettere: «Navighiamo a vista».Lo speciale contiene tre articoli. Né in Lombardia né in Veneto è ancora saltato fuori il paziente zero. L'uomo dal quale sarebbe partito il contagio del Covid-19, che ha infettato al momento 39 persone tra Codogno, Pizzighettone e Lodi. Anche l'anziana di 76 anni, di Casalpusterlengo, deceduta ieri, era passata per il pronto soccorso del principale centro del Basso Lodigiano. Pure in Veneto, nebbia assoluta. Non si sa chi abbia seminato il coronavirus tra i 12 cittadini risultati al momento positivi al test, uno dei quali era il settantasettenne deceduto venerdì a Schiavonia, nel Padovano. Un altro contagiato di 67 anni vive a Mira, nel Veneziano, ma era stato ricoverato all'ospedale di Dolo per quelli che sembravano sintomi di una forte forma influenzale. «Questo ultimo caso è un altro caso che fa scuola perché non c'è alcun contatto da portatore primario e quindi si può dire che il virus è ubiquitario come accade per la sindrome influenzale che non si sa da chi la si è presa» ha rilevato il governatore veneto, Luca Zaia. Gli altri sono tutti residenti a Vo' Euganeo, in provincia di Padova, come il pensionato di 68 anni risultato pure lui positivo al test, amico della prima vittima del coronavirus in Italia. Il paese dei Colli Euganei dove i due giocavano a carte, da ieri è diventato un borgo fantasma, scuole e locali pubblici chiusi, divieti di spostamenti anche per lavoro, così come è accaduto a Codogno e in altri nove Comuni del Lodigiano. Ma se l'assessore lombardo alla Sanità, Giulio Gallera, ha detto di avere «la conferma che l'area del Basso Lodigiano è centro di un focolaio. Possiamo dirlo in maniera abbastanza certa, tutte le situazioni di positività hanno o hanno avuto contatti nei giorni 18 e 19 con il pronto soccorso e l'ospedale di Codogno», in Veneto non ci sono cordoni sanitari estesi a più Comuni. In Lombardia, un sospetto c'era, il manager di 41 anni che vive da sette anni a Shanghai dove lavora per la Mae di Fiorenzuola d'Arda, in provincia di Piacenza. Arrivato in Italia il 21 gennaio con un volo Air China per trovare gli amici in Italia, come ha raccontato il padre al Corriere della Sera, non ha più potuto rientrare per l'emergenza coronavirus. Tra l'1 e l'8 febbraio si sarebbe visto più volte con il trentottenne di Codogno attualmente ricoverato in terapia intensiva e in gravissime condizioni. Ma non sarebbe stato lui a infettare il paziente uno e la moglie del giovane, incinta di otto mesi, anch'essa sotto stretta osservazione, però all'ospedale Sacco di Milano. Il manager aveva manifestato sintomi influenzali proprio quando incontrava l'amico di Codogno. Si pensava che avesse contratto il virus e fosse guarito. Dai test effettuati «è emerso che non ha sviluppato gli anticorpi», ha chiarito invece ieri sera il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri. In Veneto, ieri il governatore Luca Zaia annunciava la restrizione del movimento di persone solo a Vo' Euganeo. «In via preventiva faremo il tampone a tutti quelli che si presenteranno nei ricoveri ospedalieri del Veneto con sintomi influenzali importanti», dichiarava il presidente della Regione, ammettendo che «dobbiamo ancora capire chi sia il contagio primario, chi sia stato a contagiare le due persone, delle quali sappiamo solo una cosa, che giocavano a carte insieme in un bar». Zaia ha detto che tutti i bar di Vo' saranno chiusi, però il panico si sta diffondendo.Adriano Trevisan, 78 anni, padre dell'ex sindaco di Vo', Vanessa Trevisan, era ricoverato all'ospedale di Schiavonia da diversi giorni. I medici non avevano sospetti, sapevano che l'uomo non aveva fatto viaggi in Cina. Quando anche l'amico venne ricoverato, i sintomi che i due uomini accusavano cominciarono a preoccupare i sanitari e subito vennero fatti i test, risultati positivi. Trevisan è deceduto, l'amico con cui giocava a carte è nel reparto di malattie infettive dell'ospedale di Padova perché quello di Schiavonia è stato chiuso per bonificare l'intera struttura. Si stanno controllando tutti i movimenti dei due pensionati, cercando di scoprire collegamenti con persone tornate dalla Cina o che avessero presentato sintomi influenzali. Da ieri, otto cinesi tra i quali una donna che svolgono un'attività imprenditoriale a Vo' Euganeo, sono sotto controllo clinico. Alcuni di loro frequentavano lo stesso bar dei pensionati, forse potrebbero essere il punto di origine del contagio. Sempre ieri è scattato il cordone sanitario attorno al paese dei Colli Euganei, ma dopo l'annuncio di un caso di Covid-19 anche nel Veneziano, la paura è proprio quella di un contagio fuori controllo. A Dolo ieri c'era l'assalto ai supermercati per far scorta di generi alimentari, nel timore che i negozi vengano chiusi nei prossimi giorni. Il sindaco di Mira, Marco Dori, ha detto che il Municipio non veniva al momento isolato, che amici e parenti del contagiato si stanno sottoponendo ad accertamenti e ha invitato «a restare a casa, in questa fase, e a limitare il più possibile i contatti esterni». Intanto l'allarme coronavirus fa sospendere le lezioni negli atenei, la prossima settimana tutte le università del Veneto resteranno chiuse, mentre la Federazione italiana pallacanestro ha deciso di sospendere tutte le gare gestite dal Comitato regionale Veneto fino a mercoledì prossimo. 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Causa della morte: contagio da coronavirus. I sanitari non hanno fatto in tempo a trasferirlo al reparto malattie infettive dell'ospedale di Padova. Era ricoverato in quello di Schiavonia insieme a un suo concittadino, prima che si scoprisse che si trattava - per entrambi - di coronavirus. Trevisan è stato ricoverato per diversi giorni e non era considerato un paziente a rischio, perché non risultavano viaggi in Cina o contatti con persone provenienti dalla Cina. La patologia è stata quindi curata come una normale influenza. Quando, però, è arrivato in ospedale il secondo malato da Vo' Euganeo, con gli stessi sintomi, ai sanitari è bastato fare qualche domanda per scoprire che la situazione era più critica del previsto. I due contagiati frequentavano gli stessi bar, dove giocavano a carte con altri avventori. Trascorrevano le serate sfidandosi a due giochi molto popolari: briscola e battere il fante. Ed erano habituè del Mio bar e della Locanda al sole, due locali distanti poco più di 100 metri l'uno dall'altro. Si sono ammalati 15 giorni fa, ma il risultato del test di laboratorio è arrivato solo ieri. Per entrambi il test ha dato esito positivo. È scattata, quindi, la caccia ai contagiati. Per tutta la giornata di ieri le autorità hanno lavorato per mappare gli spostamenti dei due pazienti di Vo' Euganeo, partendo dai bar che frequentavano. È da lì che si comincerà con i tamponi, per individuare gli altri giocatori che si sono seduti al tavolo da gioco con lo sventurato signor Adriano. Giovanna Carminati, la vittima numero due, era quasi coetanea di Trevisan: 78 anni, di Casalpusterlengo, nel Lodigiano. Era stata ricoverata con una diagnosi di polmonite. È morta mentre era in attesa dei risultati del test per il coronavirus che, poi, si è rivelato positivo. Ufficialmente, sulla cartella clinica, infatti, le cause della morte vengono ricondotte ad arresto cardiocircolatorio. Le verifiche effettuate a decesso avvenuto, però, hanno confermato il contagio. Sono in corso accertamenti per verificare dove abbia potuto infettarsi. Stando ad alcune indiscrezioni - non confermate però da fonti ufficiali - la vittima sarebbe la madre di un amico del trentottenne di Codogno indicato come il «paziente uno», l'uomo ricoverato in gravi condizioni da cui sarebbe partito il focolaio. E proprio a Codogno la vittima si era recata al pronto soccorso nei giorni scorsi. La stessa struttura in cui si era presentato il trentottenne con l'insorgenza dei primi sintomi. «Con i dati in possesso», ha spiegato l'assessore lombardo alla Salute, Giulio Gallera, «non possiamo dire se la signora sia morta a causa del coronavirus o se sia stata sopraffatta da altre patologie». Per precauzione, comunque, l'abitazione della donna a Casalpusterlengo è in isolamento. 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Ieri una donna avrebbe denunciato di aver subito un'aggressione in quanto cinese e la Appendino ha subito twittato: «Un gesto ignobile e di rara violenza verso una nostra concittadina, alla quale mando l'abbraccio mio personale e di tutta la comunità. A Torino non può esserci spazio per questi comportamenti». Intanto però il Comune proibisce ai dipendenti l'uso delle mascherine perché provocano «allarmismo», come affermano Augusta Montaruli, parlamentare di Fratelli d'Italia, e Maurizio Marrone, capogruppo Fdi in Regione. «Tanti dipendenti comunali a contatto diretto con il pubblico ci stanno contattando indignati e impauriti per una circolare arrivata dalla direzione generale che vieta l'uso delle mascherine bollandolo come allarmismo e comportamento iper cautelativo: incredibilmente la nota dell'Istituto Biomedico allegata così come la direttiva comunale risalgono al 20 febbraio, prima dell'evolversi dell'epidemia, tanto che ancora sostiene l'assenza di casi di diffusione del coronavirus in Italia a parte persone cinesi provenienti dal loro Paese. Come fa il sindaco Appendino a essere così irresponsabile da esporre i suoi dipendenti al rischio di contagio solo per lentezza burocratica?». Le contromisure prese dalla Regione Lombardia e dai Comuni focolaio del coronavirus lombardo hanno indotto il sindaco di Milano, Beppe Sala, a prendere decisioni analoghe. «Al momento abbiamo dato attuazione all'ordinanza del ministero della Salute e della Regione», ha detto Sala, «e abbiamo sospeso dalle attività i lavoratori dipendenti del Comune e delle nostre controllate che provengono dalla zona ove sussiste un cluster di infezione». «Non ci sono emergenze ed evidenze tali da farci pensare alla chiusura dei servizi pubblici. Molte imprese e molti uffici potranno fare ricorso al telelavoro per ridurre la mobilità territoriale», ha detto ieri pomeriggio il prefetto di Milano, Renato Saccone, al termine del vertice con il sindaco e l'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera. E Sala ha aggiunto: «Noi consigliamo ai milanesi non di stare a casa ma di limitare più possibile, di ridurre la socialità e di avere norme igieniche. Siamo in attesa di avere chiarimenti a livello nazionale. Navighiamo a vista e domani (oggi per chi legge, ndr) alle 10 ci rivediamo qui». E comunque, per tutti i cittadini del capoluogo meneghino, le informazioni saranno disponibili sul sito del Comune. Resterà invece chiuso da domani e fino a nuova disposizione il tribunale di Milano. La Corte d'Appello ha disposto che si asterrà dall'attività presso tutti gli uffici giudiziari del distretto sino a nuova disposizione, il personale di magistratura, togati e onorari, il personale amministrativo nonché tutte le persone che svolgono stage formativi presso gli uffici e che siano residenti nei Comuni del focolaio.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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