2021-07-27
Travaglio insulta Draghi e inguaia Speranza
Il direttore del Fatto attacca in pubblico il premier e gli dà del figlio di papà mentre è rimasto orfano a 15 anni. Il ministro «miracolato» dall'ex banchiere centrale non fa una piega e si scatena la polemica. L'ha detta proprio così, come al bar sotto casa dopo un bianchino di troppo: «Mario Draghi è un figlio di papà che non capisce un cazzo di sanità, di sociale, di vaccini». Marco Travaglio, domenica sera, era ospite d'onore al congresso nazionale di Articolo Uno. Partitino per stomaci forti: 1,2 per cento , o giù di lì. Viva sussidi e forza patrimoniale. Platea di selezionatissimi, insomma. A cui il direttore del Fatto Quotidiano rivela: il premier altro non è che un borghesuccio con la pappa pronta. Applausi scroscianti. Solo che il padre di Draghi è morto quando lui aveva 15 anni. A 19 resta orfano anche della madre. Il raccomandatissimo Draghi viene quindi cresciuto dagli zii, assieme ai due fratelli minori. La frase incriminata, in realtà, è più composita ma ugualmente battagliera. Parte dalla rimozione degli infallibili giallorossi: ribattezzata, come da fortunato political thriller, il Conticidio. «Li hanno mandati via per i loro meriti. E hanno messo al loro posto l'esatta antitesi» spiega Travaglio. «Un figlio di papà. Un curriculum ambulante. Visto che ha fatto bene il banchiere europeo, ci hanno raccontato che è competente anche in materia di giustizia, sanità e vaccini. Ma mentre, mi dispiace dirlo, non capisce un cazzo di giustizia, sanità o sociale, capisce di finanza». Il congressino di Articolo Uno non è presidiato da frotte di cronisti. Così il rinculo arriva ieri, di buon mattino. I renziani sono scatenati: da «vergognosi insulti» (Michele Anzaldi) a «s'è toccato il fondo» (Ettore Rosato). Il leader di Italia Viva compendia: «Le parole offensive e deliranti su Draghi dimostrano come il direttore del Fatto quotidiano sia semplicemente un uomo vergognoso» dice Matteo Renzi. «Stupisce che ancora venga pagato per insultare tutti a reti unificate». E il sodale, Davide Faraone, argomenta: «Ascoltare queste parole dal palco di un partito che sta al governo proprio con Draghi è francamente inaccettabile. Per non dire disgustoso». L'amletico dubbio viene dunque riassunto, su opposte sponde governative, da Matteo Salvini: «Ma allora Speranza, e i grillini amici di Travaglio, che c…o ci stanno a fare al governo?». Così il ministro, all'infuriar della polemica, è costretto a prendere tardiva distanza: «Uscita infelice». Perché Articolo Uno «sostiene convintamente la sua azione di governo». Mossa opportuna. Altroché. Da ministro del Terrore, Robertino è già stato declassato a passacarte di Franco Locatelli, presidente del Comitato tecnico scientifico. Non era davvero il caso di ulteriori demansionamenti. Torniamo all'insinuazione. Carlo Draghi, padre del premier, è stato dirigente di Bankitalia, Iri e Bnl. Tomaso Montanari, opinionista del Fatto e rettore dell'Università per stranieri di Siena, ricorda quindi che pure le note biografiche del premier su Wikipedia fanno propendere per l'inequivocabile conclusione: figlio di papà. Per lo meno «socialmente». Ha frequentato il liceo dei gesuiti con maneggioni del calibro di Luca Cordero di Montezemolo e Luigi Abete. Per non parlare del compagno di classe, Giancarlo Magalli. Destino segnato. Il ragazzo si farà. Fino a raggiungere l'empireo: prima nella burocrazia, poi della politica. Mica come l'adorato Giuseppi: nato a Volturara Appula da Nicola, dipendente comunale, e Lillina, maestra elementare. Lui, sì: inarrivabile emblema di meritocrazia. Sconosciuto avvocato diventato premier. E non certo per i molti accidenti del destino e le robustissime simpatie pentastellate. Tutto il contrario, perdiana, di quel raccomandatone che ne ha preso immeritatamente il posto. Però, santa miseria, cercate di capire. Non è facile gettare ogni volta il cuore oltre l'ostacolo e rimanere puntualmente delusi. Succede a Travaglio da sempre. Palpita per Tonino Di Pietro: e quello finisce ad arare i campi di Montenero di Bisaccia su un trattorino rosso. S'infuoca per Antonio Ingroia: e il prescelto ora non riesce nemmeno a farsi eleggere sindaco di Campobello di Mazara (pare voglia ritentare a Spoleto, dove non si segnalano infiltrazioni mafiose ma l'aria è ottima). S'avvampa per Beppe Grillo: e lo sciagurato dice che Draghi, belìn, è «uno di noi». Chiama «Piercavillo» Davigo tra gli opinionisti del Fatto: e l'ex eroe di Mani Pulite si fa indagare per rivelazione di segreto d'ufficio. Fino a Giuseppi, l'ultimo amore, anche stavolta violento e irrazionale. Notevole, da parte di Robertino, pure la scelta dell'intervistatrice: la bersaniana Chiara Geloni. È lei a pungolare il giornalista più manettaro del creato. A polemica divampata, candidamente ammette: «Io di giustizia non capisco (un cazzo)». Dello stesso tenore la replica di Travaglio. Molti, certo, lo attaccano per quell'inopportuno «figlio di papà». Lui mantiene il punto, sprezzante: «Non me ne frega niente», assicura. «Come diceva Arthur Bloch, non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza...». Citazione impeccabile. Trentacinquesimo risultato, alla voce «idiota», nel dizionario online degli aforismi.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)