
Nuova misura cautelare, questa volta per violazione della legge sul finanziamento dei partiti. E sempre come ai tempi di Tangentopoli, la sinistra scende in piazza a chiedere le dimissioni del governatore.Mancano solo le frasi mistiche come «io a quello lo sfascio» (ma Tonino Di Pietro era inimitabile) e la passeggiata dei pm descamisados per titillare l’ansia di forca del popolo. Per il resto a Genova tira un’aria da Tangentopoli 30 anni dopo. Più che un indagato, il governatore Giovanni Toti sembra un prigioniero come molti di quelli di allora che si opponevano all’obbligo supremo: inchinarsi ai voleri della procura. Poiché ritiene di avere buone ragioni da far valere in dibattimento, dopo la conferma degli arresti domiciliari (lo è dal 7 maggio nella sua casa di Ameglia) ecco la mossa ulteriore: nuova misura cautelare per una nuova accusa. Tutto come da vecchio rito ambrosiano in purezza.Da ieri il presidente della Regione Liguria è indagato non solo per corruzione e tangenti in cambio di favori, ma anche per avere violato la legge sul finanziamento dei partiti. La vicenda riguarda gli spot elettorali proiettati sul maxischermo della Terrazza Colombo, che sarebbero stati pagati sottobanco da Esselunga per sbloccare le pratiche di apertura di due punti vendita a Sestri Ponente e Savona. Si tratterebbe di 55.600 euro versati dal colosso della grande distribuzione alla tv genovese Primocanale per le elezioni comunali di due anni fa, vinte da Marco Bucci. Quest’ultimo non è indagato, ma lo erano da tempo (però a piede libero) l’ex braccio destro del governatore Matteo Cozzani, l’ex senatore e proprietario di Primocanale Maurizio Rossi e l’ex consigliere di Esselunga Francesco Moncada, che si è dimesso dopo l’avviso di garanzia. Ora è stato aggiunto Toti perché i pm sospettano che gran parte dei fondi fu utilizzata da lui per pagare gli spot elettorali del sindaco.L’ordinanza emessa dalla gip di Genova Paola Faggioni su richiesta dei pm Federico Manotti e Luca Monteverde sottolinea come, durante la campagna elettorale comunale, sul maxischermo di Terrazza Colombo siano stati trasmessi molti più spot della lista «Toti per Bucci» rispetto a quanto dichiarato ufficialmente (6.060 invece di 500) per un valore aggiuntivo di circa 55.000 rispetto ai 5.000 del contratto. La tesi accusatoria è che l’operazione nascondeva un finanziamento occulto al governatore. Fatta questa mossa, ne è pronta una terza che si evince dalle carte dell’accusa: la contestazione per corruzione, perché dalle intercettazioni emerge che Esselunga avrebbe ottenuto la velocizzazione delle pratiche per l’apertura dei nuovi punti vendita. Lo stillicidio continua anche se il rapporto causa-effetto è tutto da dimostrare (per questo esistono i processi), esattamente come i reati ipotizzati. Ed è un fatto che gli altri indagati siano a piede libero e Toti no. Trent’anni dopo non è cambiato niente. Siamo al «Toti non ha capito le accuse, dunque può ripetere i reati», come aveva argomentato qualche giorno fa il Tribunale del Riesame confermando i domiciliari. Siamo al «pericolo attuale e concreto che Giovanni Toti commetta altri gravi reati della stessa specie e che possa reiterare analoghe condotte di finanziamenti illeciti in favore del proprio partito e movimento politico», come ribadisce la gip Faggioni nella nuova ordinanza. Con una chiusa moralistica in voga ai tempi d’oro al quarto piano del palazzo di Giustizia di Milano: «Pressato dalla necessità di reperire fondi per affrontare la campagna elettorale, (Toti, ndr) avrebbe svenduto e messo a disposizione la propria funzione, i propri poteri e il proprio ruolo, in favore di interessi privati abdicando ai propri importanti doveri istituzionali, in cambio di finanziamenti, promessi e concretamente erogati».Riecco il sistema Tangentopoli, il tentativo di sterilizzare la controparte. Ipotesi di reato trattate come fatti incontestabili, se non dogmi giudiziari. E l’accusato? Stia agli arresti fino a quando non si è allineato. C’è come l’impressione (di sicuro sbagliata) che la spallata di ieri sia una reazione all’uscita caustica del ministro Carlo Nordio, che sul caso ha commentato: «Ho letto l’ordinanza sui domiciliari e non ho capito nulla». Il nuovo filone non allunga i tempi dei domiciliari, che scadono comunque a inizio novembre, ma ha un effetto immediato: stamane ci sarà l’interrogatorio di garanzia in videoconferenza. E l’incontro del governatore con Matteo Salvini potrebbe saltare per via delle rinnovate restrizioni, o più probabilmente avvenire da remoto nel pomeriggio. Lo spettacolare remake ha bisogno delle tricoteuses e non è difficile trovarle perché sono quelle di sempre. La sinistra radicale e giustizialista guidata da Elly Schlein e Giuseppe Conte ieri ha tenuto un sit-in a Genova per chiedere le dimissioni di Toti. La spallata giudiziaria è un classico del Pd, la tentò senza successo con la Regione Lombardia passando sopra anche a una pandemia. E Schlein che un paio di mesi fa invitava a «non confondere politica e giustizia» per la vicenda dell’ex sindaco Antonio Decaro a Bari, ieri lo faceva con l’allegria della Vispa Teresa. Garantismo a targhe alterne, tintinnio di manette. Finisce sempre così: per gli amici tutto, per i nemici la legge.
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