2019-07-24
Altri due bambini rubati ritornano a casa. Il Parlamento indagherà
I ragazzini erano stati affidati alla madre e alla sua compagna, amica di Federica Anghinolfi. Il tribunale: «I servizi sociali hanno dato una ricostruzione gravemente falsata».«Hansel e Gretel non rispetta i protocolli usati in tutto il mondo». Il neuropsichiatra Giovanni Battista Camerini: «Il metodo della Onlus si basa sul presupposto ideologico che gli operatori devono scovare gli abusi anche attraverso metodi molto invasivi. Ma non esistono indicatori univoci di molestie».Lo speciale comprende due articoli. Ancora una volta ci sono due protagoniste: l'assistente sociale della Val d'Enza Federica Anghinolfi, indagata nell'inchiesta «Angeli e Demoni», e l'ideologia Lgbt. La notizia è che altri due bambini, affidati a una coppia arcobaleno dopo l'intervento della Anghinolfi, sono stati tolti alle affidatarie. Il primo caso simile è quello della piccola Katia, affidata a Fadia Bassmaji (anche lei indagata dalla Procura di Reggio Emilia) e alla sua compagna Daniela Bedogni. Le due donne ottennero la piccola proprio tramite la Anghinolfi, che in passato ha avuto una relazione sentimentale con la Bassmaji. Katia, tuttavia, per decisione del gip reggiano, è stata tolta alle due donne, accusate di averla maltrattata. Il nuovo caso riguarda invece un padre di nome Michele, ed è venuto alla luce poco meno di un mese fa. L'uomo ha raccontato la sua storia drammatica, iniziata nel 2017, al Giornale.it. Michele si era separato dalla moglie in modo burrascoso e la donna lo aveva denunciato per maltrattamenti (denuncia ora archiviata dal tribunale di Reggio Emilia). Intervennero i servizi sociali della Val d'Enza: «Venivano a controllare in continuazione. Mi contestavano che la casa non fosse idonea a far vivere i miei figli. Mi hanno detto che la camera dei bambini era troppo pulita, quasi che loro non avessero mai dormito in quella stanza. I giocattoli erano riposti nell'armadio e anche questo a loro non tornava. Cercavano sempre delle scuse, a volte banali», ha raccontato Michele. Il quale, nel 2018, ha avuto a che fare con Federica Anghinolfi e la sua collega Beatrice Benati. Le due operatrici assistono agli incontri tra l'uomo, la moglie e i figli. E, a quanto risulta, nelle relazioni che li documentano annotano particolari inesistenti allo scopo di far passare Michele per un cattivo padre. Il peggio accade il 15 giugno del 2018: Michele viene convocato dalla Anghinolfi e dalla Benati. Gli viene comunicato che potrà vedere i suoi figli soltanto in forma protetta una volta ogni 21 giorni. Il motivo di tale decisione ha dell'incredibile. «Io ero sconvolto, non volevo crederci», ha detto l'uomo al Giornale.it. «Chiesi spiegazioni e mi dissero che io ero omofobo. E che dovevo cominciare ad abituarmi alle relazioni di genere». A questo punto vi chiederete: che c'entra l'omofobia? Spieghiamo. La moglie di Michele, dopo la separazione, ha iniziato una relazione con una donna, con la quale è andata anche a convivere. I due figli sono stati affidati a lei, e poiché a Michele non stava bene, ecco l'accusa di omofobia. Ora apprendiamo che la prima sezione del tribunale ordinario di Parma ha deciso di rimandare a casa i due piccini. Non solo: il giudice parmigiano ha anche svelato nuovi dettagli abbastanza inquietanti sulla vicenda. A quanto pare, infatti, la donna con cui la madre dei due bimbi aveva una relazione era una conoscente di Federica Anghinolfi. Come avvenuto anche in alcuni dei casi emersi con l'inchiesta «Angeli e demoni», anche qui l'Anghinolfi avrebbe brigato per fare in modo che una coppia lesbica - di cui per altro faceva parte una sua amica - ottenesse dei bimbi in affido. Per raggiungere lo scopo, le assistenti sociali della Val d'Enza non avrebbero esitato a mentire. Secondo il giudice di Parma, infatti, «il tribunale per i minorenni aveva adottato il provvedimento sopraindicato sulla base di una ricostruzione gravemente falsata (delle condizioni dei minori e delle competenze genitoriali) da parte dei servizi sociali, i quali non avevano volutamente riferito fatti relativi alla madre, quali, ad esempio, un tentativo di suicidio della stessa e avevano stravolto i dati emergenti dalle osservazioni a danno del padre». Non è finita. Il povero Michele e la sua ex avevano anche un altro figlio, il più grande dei tre, che è rimasto in carico al padre. «I servizi sociali», scrive il giudice di Parma, citato dal Resto del Carlino, «si erano preoccupati esclusivamente dei due figli più piccoli della coppia, lasciando il figlio maggiore, peraltro affetto da gravi patologie… a vivere presso il padre, ritenuto pertanto idoneo dai medesimi servizi a occuparsi del primogenito». Riepilogando: c'è una coppia con tre figli. La coppia si separa e la madre va a vivere con un'altra donna. Dei tre figli, i due più piccoli e meno problematici vengono tolti al padre, accusato per altro di essere omofobo, e affidati alla coppia lesbo, che è composta anche da un'amica di Federica Anghinolfi, ovvero l'assistente sociale che si occupa del caso. La vicenda è sconcertante, e anche se ora i bambini hanno iniziato il percorso per ritornare con il padre, per l'ennesima volta si dimostra che il sistema di gestione dei minori non funziona. Di più: oltre all'onnipotenza dei servizi sociali, da questa storia emerge la micidiale influenza che l'ideologia arcobaleno ha avuto in queste faccende di bimbi rubati.Può anche darsi che Federica Anghinolfi rappresenti un caso a sé stante e particolarmente grave. Ma è evidente che i problemi riguardano tutto il meccanismo degli affidi. Come abbiamo scritto per primi nei giorni scorsi, il tribunale dei minorenni di Bologna presieduto da Giuseppe Spadaro sta riesaminando ben 70 casi di bimbi tolti ai genitori, e ha già rimandato a casa ben quattro dei sette piccini coinvolti nell'inchiesta «Angeli e demoni». Chi in questi giorni va cianciando di strumentalizzazioni politiche, farebbe meglio a dare un'occhiata a questi fatti prima di riempirsi la bocca. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tornano-a-casa-i-due-piccoli-sottratti-al-padre-accusato-di-essere-omofobo-2639317237.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="hansel-e-gretel-non-rispetta-i-protocolli-usati-in-tutto-il-mondo" data-post-id="2639317237" data-published-at="1757760558" data-use-pagination="False"> «Hansel e Gretel non rispetta i protocolli usati in tutto il mondo» Giovanni Battista Camerini, bolognese, è neuropsichiatra infantile e psichiatra, oltre che stimato docente all'università di Padova e alla Pontificia università salesiana di Mestre. Nei giorni scorsi si è occupato, in modo piuttosto autorevole, della vicenda «Angeli e demoni», riservando non poche critiche al lavoro dello psicologo Claudio Foti. «Non è nella comunità scientifica», dice. «Non ne fa parte. È uno che ha delle pubblicazioni assolutamente insufficienti, e in ogni caso disconosce i protocolli della comunità scientifica». Di quali protocolli stiamo parlando? «Nel 2010 sei società scientifiche - la Società di medicina legale, la Società italiana di psichiatria, quella di neuropsichiatria infantile, quella di criminologia, quella di neuropsicolgia e quella di psicologia giuridica - hanno prodotto delle linee guida nazionali sull'ascolto del minore. In queste linee guida si parla in lungo e in largo delle modalità di ascolto del minore, dei criteri di valutazione, ovvero di criteri scientificamente accreditati in questo tipo di situazioni, basandosi sulla letteratura maggioritaria riguardante questi temi». E Foti non si riconosce in queste linee guida? «Esiste una sentenza della Corte di cassazione, la sentenza Cozzini, che fissa alcuni criteri di validità del contributo dell'esperto in ambito forense. Dice, in buona sostanza, che il contributo dell'esperto deve essere coerente con la letteratura scientifica maggioritaria su quel determinato argomento. Ebbene, il dottor Foti ha sempre sostenuto pubblicamente che questi contributi della comunità scientifica sono contrari all'interesse del minore, disconoscendone la validità». Lui la pensa diversamente, lo ha anche scritto. «Sì ma queste linee guida di cui le ho parlato sono coerenti pure con le linee guida internazionali, quelle inglesi o quelle in uso nei Paesi nordici come il Memorandum of Good Practice. Voglio dire che la comunità scientifica internazionale è univoca. È profondamente sbagliato dire che esistono due scuole di pensiero. No: c'è chi si attiene a criteri scientificamente validati per le procedure di valutazione e di intervento sui minori e c'è chi invece si attiene a posizioni ideologiche. Foti si attiene a posizioni ideologiche». Ma allora perché continua a lavorare come esperto, anche per le amministrazioni pubbliche? «Perché fa breccia su chi ritiene che l'esperto e i servizi sociali abbiano il compito di scoprire gli abusi, di scovarli». E non è così? «Quello dell'esperto che scova gli abusi è un ruolo assolutamente improprio. Si basa sull'idea che l'esperto debba scoprire, a partire da alcuni indicatori, l'esistenza di maltrattamenti e abusi a danno di minori». Questi indicatori quali sarebbero? «Semplice: non ci sono. La famosa comunità scientifica sono anni che si sgola per ripetere che non esistono indicatori di abuso, cioè segnali comportamentali a partire dai quali tu puoi risalire a degli eventi ben precisi. Il criterio di segnale indicatore di abuso è fallace e fuorviante. Aggiungo una cosa». Prego. «Dei fatti si devono occupare gli organismi giudiziari. La psicologia e lo psicologo sono estranei alla determinazione dei fatti. Invece Foti e la sua scuola hanno un pensiero esattamente opposto. In pratica, credono che, attraverso tecniche e procedure estremamente invasive, l'esperto debba stabilire se un bambino è stato vittima di abuso e addirittura curarlo prima ancora che l'abuso sia stato accertato». Ripeto: se la comunità scientifica è concorde, perché Foti continua a fare da consulente? «Continuano a chiamarlo non tanto come perito, ma semmai come consulente delle Procure. La cosa più grave, però, è che venga chiamato come formatore». E perché? «Io in ambito privato posso farmi formare da chi voglio. Ma se lavoro in ambito pubblico, se scelgo un supervisore o un formatore devo riferirmi a qualcuno che abbia i titoli scientifici per poterlo fare, chiedo un golden standard a questa persona. Ma, come dicevo, di queste credenziali scientifiche uno come Foti è privo. Tra l'altro a Bibbiano mi pare che sia stata assegnata ad Hansel e Gretel una somma importante senza bando di concorso. Secondo me, se si assegna la cura di bambini stanziando decine di migliaia di euro, per lo meno si bandisce un concorso no? Oppure ci si affida all'università, che ha le credenziali per fare formazione. Ma questo è un aspetto che non vale solo per Bibbiano». Vale anche per altri Comuni? «Le dico questo. Negli Usa c'è stata quasi 30 anni fa la sentenza Daubert, che stabilisce a quali criteri debba attenersi l'esperto quando porta un parere nelle aule di giustizia. Diciamo che fissa i criteri di accreditamento dell'esperto. In Italia, come dicevo, c'è la sentenza Cozzini, ma siamo ancora lontani dagli standard americani. Gli esperti qui spesso portano contributi che sono privi di validità e consistenza dal punto di vista scientifico. Anche per quanto riguarda le modalità di ascolto e di audizione giudiziaria ci sono fior di protocolli che illustrano che cosa bisogna e non bisogna fare quando si ascolta un bambino testimone». Questi protocolli da noi non vengono seguiti? «Anni fa, assieme ad altri, ho partecipato alla redazione, per la questura di Roma, delle linee guida su questo argomento. Ci ispirammo a un protocollo anglosassone chiamato Nichd. Eppure continuiamo ancora a vedere esperti che intervistano i bambini con modalità assolutamente improprie». Lei è molto critico anche sulla questione degli allontanamenti di minori. «Anche questi sono fatti secondo metodi assolutamente inappropriati. Il caso della Val d'Enza ci ha mostrato una cosa inquietante. E cioè che è resuscitato un metodo che si sperava morto e sepolto, ovvero il cosiddetto allontanamento preventivo. Questo metodo ebbe un certo successo, specie a Milano, nei primi anni Duemila. Ora lo ritroviamo in Val d'Enza, dove c'è stato un allontanamento a seguito di un sospetto di abuso». Una cosa da evitare, secondo lei? «Cito ancora una volta delle linee guida, quelle della Regione Veneto. Fissano tre criteri. Primo: ci deve essere un pericolo concreto e immediato per la salute psicofisica del bambino. Secondo: bisogna che siano stati praticati, senza successo, altri tipi di intervento. Terzo: la permanenza in famiglia deve essere più pericolosa dell'allontanamento. Insomma, l'allontanamento deve essere una soluzione estrema. E poi ci vuole un'attenta valutazione dei costi e dei benefici». Si spieghi meglio. «Quanto costa un bimbo in comunità e quali sono i benefici della collocazione in comunità? Quali sono le alternative possibili? Un educatore domiciliare costa un terzo, un quarto o addirittura un quinto rispetto alla comunità e dà risultati spesso infinitamente superiori. Questo non lo dico solo io. Nel 2007 un esperto della London school of economics ha spiegato, al congresso della Società europea di psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza a Firenze, che le collocazioni extrafamiliari costano molto e rendono poco. Invece il parent training e gli interventi domiciliari costano meno e rendono di più. Esistono dei parametri per valutare l'efficacia degli interventi psicosociali. Ma in Italia questi studi non si fanno. Il problema è che queste pessime prassi rischiano di screditare il lavoro di tutti i servizi sociali. Perché ci sono anche quelli che lavorano molto bene, sa? Il nostro Paese ne è pieno».