2024-03-01
A Torino le compagne volevano liberare l’africano stupratore
Per l’assalto ai poliziotti fermate cinque donne, l’uomo nell’auto era un violentatore. Intanto il Comune coccola gli antagonisti.Compagni di lotta o semplici compagni di merende? C’è un elemento particolarmente surreale nell’aggressione anarchica a una volante della polizia andata in scena mercoledì a Torino. I primi cinque fermati sono cinque donne e l’uomo che volevano «liberare» dagli agenti non è un detenuto politico, ma un tizio che ha sul groppone una condanna per violenza sessuale di gruppo. Almeno tra le compagne dei centri sociali torinesi, evidentemente, la narrazione di moda su patriarcato e maschilismo tossico non sembra aver fatto breccia. Quando si dice essere «autonomi», ma autonomi veramente. Dimenticate i vecchi anarchici, quelli che se anche facevano gli operai o i cavatori, crescevano sui libri e imparavano la differenza tra il socialismo di Pierre Joseph Proudhon e l’anarco-comunismo di Petr Kropotkin. Gente che quando finiva nei guai veniva difesa (gratis) da avvocati socialisti, che a loro volta conoscevano bene la differenza tra un delinquente politico e un delinquente comune, tra un reato d’opinione e un reato contro la persona. L’altro pomeriggio, a Torino, è andato in scena l’ennesimo episodio di violenza a opera di una galassia, quella dell’anarchia e dell’autonomia, profondamente spaccata per la trattativa tra il Comune e Askatasuna, il centro sociale dal quale sono partite parecchie azioni violente e che la giunta di centrosinistra vuole legalizzare. In rete e sui telegiornali si sono le viste le immagini di una ventina di anarchici che circondano una volante e tentano di liberare un uomo, senza riuscirvi. La polizia ha fermato subito cinque donne, già rilasciate e indagate a piede libero per resistenza a pubblico ufficiale, e sta identificando altre cinque persone, tutte vicine al centro sociale dell’ex Lavatoio occupato di via Brin. Alla piccola manifestazione seguita all’assalto fallito, si sono uniti anche un po’ di «vecchi» di Askatasuna, specializzati da anni nell’infilarsi in qualunque corteo, anche di minorenni, per far degenerare qualsiasi protesta in violenza (clamorosa, due anni fa, l’infiltrazione in un corteo del liceo Gioberti). L’«eroe» da liberare assaltando la polizia è un trentunenne del Marocco, sorpreso dagli agenti a imbrattare un muro nel sottopasso di corso Grosseto. Di lui resterà la scritta «Più spirri morti» (sic). Ma il problema non è la sua creatività con le vernici e l’ortografia, quanto la fedina penale. Innanzitutto, l’uomo non dovrebbe stare in Italia da anni, perché era senza documenti e permesso di soggiorno e quindi è stato avviato al Cpr di Milano (quello di Torino è chiuso per lavori) per l’espulsione. Ma soprattutto, al di là della clandestinità, si tratta di un soggetto che ha 13 condanne alle spalle (di cui nove passate in giudicato), fra cui una per violenza sessuale di gruppo. Con un curriculum del genere, se fosse stato un cittadino medio e con i documenti in regola, non avrebbe probabilmente ricevuto tutta questa attiva solidarietà dalle cinque compagne torinesi. Ma l’uomo è arrivato dal Marocco che era ancora minorenne e tra un processo e l’altro si è legato agli anarchici dell’ex Lavatoio. Insomma, oltre che migrante è un compagno di lotta e pazienza se in un’occasione ha partecipato a uno stupro. Chissà se le anarchiche e gli anarchici che nell’elegante centro di Torino hanno dato vita a una scena tipo arresti in un quartiere della camorra conoscevano tutti i precedenti penali del compagno marocchino. L’episodio di mercoledì arriva in un momento davvero particolare. Da un punto di vista nazionale, le violenze degli anarchici torinesi sulla polizia s’inseriscono sull’ampio dibattito relativo ai manganelli di Pisa e all’intervento del presidente Sergio Mattarella. Che per «par condicio» ha prontamente condannato anche i fatti di Torino. Dal punto di vista locale, il rush degli anarchici arriva mentre continua la trattativa tra Comune e Askatasuna per una qualche legalizzazione del centro occupato abusivamente. Un centro dove, oggettivamente, non mancano alcune attività sociali di quartiere, ma dal quale sono anche partiti molti raid violenti con in No Tav in Val Susa. Tre giorni fa, visto lo stallo della trattativa, i sindacati di polizia hanno chiesto provocatoriamente in una nota congiunta al sindaco Stefano Lo Russo (Pd) «se intende giocare al bugiardo Pinocchio o al gran burattinaio Mangiafuoco». Il problema è che lo stabile in fondo a corso Regina Margherita è ancora bellamente occupato e da lì, come osservano i sindacati, «gli occupanti continuano indefessi nelle loro virulente azioni antagoniste». Il tentativo della giunta di trasformare Askatasuna in un’innocente onlus (magari, un giorno, da finanziare anche con fondi pubblici), suscita un certo sconcerto anche nell’area antagonista. Da due settimane circolano alcuni volantini sarcastici degli anarchici «duri e puri», che commentano la trattativa con il Comune: «Che mestizia […]. Si tratta di un misero baratto, nonostante i patetici tentativi di dargli una qualche ritinteggiata di conflitto vertenziale». Askatasuna ha risposto con un contro-manifesto dal titolo «Così è, ci pare», nel quale si sottolinea «il bisogno di un sogno comune, la voglia di costruire una potenza collettiva lontana dall’ipocrisia della politica istituzionale, ma capace di pesare sulla città». Gli autonomi hanno quindi ripreso il ciclostile e, sotto il titolo «Così è, anche se non vi pare», hanno vergato lo sberleffo finale: «Fate accordi con il Pd per evitare di essere cacciati [...] Indebolite le lotte sociali e siete diventati erogatori di servizi». L’ufficio tutela stupratori, però, non era previsto.