
Nottetempo la segreteria del ministero ha preso contatti per valutare la sostituzione dei vertici di Telt, l'azienda italofrancese che ha il compito di realizzare la Torino-Lione. Al loro posto, potrebbero arrivare fedelissimi del grillino ostili all'alta velocità.La battaglia della Tav sembra infuriare ancora. Stavolta in Parlamento, dove per la prima volta la maggioranza impegna il Senato (e non il governo) a riconoscere una mozione opposta alle direttive del premier. Tuttavia non siamo certi nemmeno di questa incertezza. Il caos d'Aula che si profila all'orizzonte viene fermamente smentito dalla Lega, la quale sostiene che nessuna mozione potrà mai fermare l'opera che collega Lione con Torino. Di parere opposto è il leader dei grillini, Luigi Di Maio , che ieri si è lanciato in un esercizio linguistico di rara complessità. «Se sulla Tav Torino-Lione si decidesse ad armi pari, il Movimento 5 stelle avrebbe i voti per riuscire a bloccare quell'opera che spreca soldi», ha detto in diretta Facebook, dimenticando che a inviare alla controparte francese l'ok per il prosieguo delle attività di cantieri è stato proprio il ministero delle Infrastrutture diretto da Danilo Toninelli, 5 stelle e fermo oppositore dell'opera. «Se si vuole vincere contro di noi bisogna allearsi con i nemici di sempre, si deve mettere la destra e la sinistra assieme», ha aggiunto Di Maio, «che ancora una volta probabilmente dimostreranno di essere d'accordo sempre su tutto e soprattutto sugli sprechi. Io sono molto contento di aver fatto il contratto di governo perché riusciamo a ottenere dei risultati. Se oggi non esistesse il contratto di governo avremmo ancora tutti contro di noi», ha aggiunto il numero uno del Movimento che nel medesimo post è riuscito a confermare la fiducia al presidente del Consiglio e a negare l'ipotesi su una crisi di governo dovuta all'alta velocità. «Qualcuno parla di crisi di governo... ma quale crisi di governo? Al massimo», ha rincarato il titolare del Mise, «stiamo parlando della crisi di qualche partito che vota insieme al Pd e a Silvio Berlusconi il progetto che regalerà a Emmanuel Macron 2,2 miliardi di euro. Al massimo si può parlare della crisi di un partito che voterà insieme a quelli che stavano sulla Ong che ha speronato la motovedetta delle Fiamme gialle, che voterà insieme a quei partiti che in questi anni ci hanno fatto la legge Fornero e il Jobs act». Insomma, a leggere le dichiarazioni in chiaro dei 5 stelle e i movimenti in atto al Senato non si riuscirebbe a capire dove Di Maio e Toninelli vogliano andare a parare. A meno che non si realizzi l'imboscata che il ministro delle Infrastrutture sta preparando in queste ore. Il titolare del dicastero ha un obiettivo che è più simile a un agguato notturno: fare saltare il consiglio di amministrazione di Telt, l'azienda per metà di proprietà dello Stato francese e per l'altra metà di Ferrovie dello Stato con il compito di promuovere e realizzare la Tav. Lunedì sera avevamo lasciato Toninelli a Joppolo in provincia di Vibo Valentia. Inaugurava la Sp 23 che collega appunto Joppolo a Coccorino. Nonostante i due Comuni siano minuscoli, il ministro ha dichiarato: «Sono queste le opere che la gente vuole vedere terminate. Non la Tav». Così convinto della sua affermazione che nella serata stessa di lunedì la segreteria del ministero ha chiesto a un importante dirigente di acquisire entro la mattina di ieri una serie di informazioni dal board di Telt: come si nominano e come si sostituiscono i vertici della partecipata di Fs e dello Stato francese. Già qualche mese fa il Mit aveva ipotizzato di rimuovere Paolo Emilio Signorini dalla poltrona che occupa dal 2015. Il blitz non era partito. Stavolta l'obiettivo sarebbe quello di far decadere l'intero consiglio. Una volta azzerato dovrebbe ripartire l'iter di assegnazione degli incarichi. Le nomine competono ai due Stati e ciascuno deve approvare le quattro avanzate dalla controparte. Per cristallizzare il cda a Roma serve il placet di Parigi, per capirsi. Nel 2015 la lettera di comunicazione ai francesi, a nome del governo, fu inviata da Maurizio Lupi, che rivestiva l'incarico di Toninelli. Mentre ai sensi dello statuto spettò al rappresentante di Ferrovie (all'epoca Roberto Mannozzi) formalizzare tutti gli incarichi. Ecco che oggi i vertici di Fs non potrebbero sbattere la porta in faccia al Mit né ai vertici dei 5 stelle. In pratica azzerando e rinominando il cda di Telt, i grillini potrebbero infilare un quartetto di uomini poco propensi a far partire l'intera macchina della Tav. E visto il ruolo delicato che ricoprirebbero, ci vorrebbe poco a inserire sabbia nel serbatoio dell'auto. Non sappiamo se il progetto andrà in porto. Ci ricorda un po' quei piani dei soldati giapponesi che a 20 anni dalla fine della guerra preparavano imboscate nella giungla delle Filippine. Ci chiediamo solo che cosa penserà Giuseppe Conte di un tale piano, dopo che da premier ci ha messo la faccia.
Cartelli antisionisti affissi fuori dallo stadio dell'Aston Villa prima del match contro il Maccabi Tel Aviv (Ansa)
Dai cartelli antisionisti di Birmingham ai bimbi in gita nelle moschee: i musulmani spadroneggiano in Europa. Chi ha favorito l’immigrazione selvaggia, oggi raccoglie i frutti elettorali. Distruggendo le nostre radici cristiane.
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro dell’islamo-socialismo. Da New York a Birmingham, dalle periferie francesi alle piazze italiane, cresce ovunque la sinistra di Allah, l’asse fra gli imam dei salotti buoni e quelli delle moschee, avanti popolo del Corano, bandiera di Maometto la trionferà. Il segno più evidente di questa avanzata inarrestabile è la vittoria del socialista musulmano Zohran Mamdani nella città delle Torri Gemelle: qui, dove ventiquattro anni fa partì la lotta contro la minaccia islamica, ora si celebra il passo, forse definitivo, verso la resa dell’Occidente. E la sinistra mondiale, ovviamente, festeggia garrula.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?






