2024-12-16
Toni Capuozzo: «La Siria ora rischia la balcanizzazione. Occhio ai russi in Libia»
Il giornalista: «Jolani spaventa anche gli altri Paesi arabi. Erdogan è spregiudicato, è nella Nato ma spinge le sue milizie contro i curdi».Il regime dittatoriale di Bashar al Assad in Siria è crollato tra il 7 e l’8 dicembre 2024, dopo undici giorni di offensiva militare condotta dai ribelli sunniti jihadisti di Hayat Tahrir al Sham (Hts), guidati da Abu Muhammad al-Jolani. L’escalation ha colto di sorpresa gli osservatori, ma anche gli alleati di Assad. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sostenitore dei ribelli, ha già ben chiare le partite da giocare. Tra i suoi principali obiettivi, infatti, vi è lo smantellamento delle forze curde legate al Pkk nel Nord-Est della Siria, appoggiate dagli Stati Uniti, e il ritorno dei rifugiati siriani, riparati in Turchia per fuggire dal regime appena caduto. Ne abbiamo parlato con Toni Capuozzo, inviato di guerra ed ex vicedirettore del Tg5, esperto di crisi e conflitti internazionali. La Siria diventerà un protettorato turco o, quantomeno, è questa la mira di Ankara? «È ovvio che in questo momento la Turchia è in posizione di assoluto vantaggio su ogni altro appetito internazionale. Allo stesso tempo però la Siria è un Paese con molte anime. Una è sicuramente quella curda: i curdi sono stati alleati nostri e degli Stati Uniti nella battaglia per sconfiggere l’Isis. È possibile che la Turchia rosicchi ancora alcuni territori curdi creando una vera e propria “buffer zone”, una zona cuscinetto, al confine con la Turchia tagliando in questo modo il cordone ombelicale che lega le unità di difesa curde al Pkk, la grande ossessione di Erdogan».Su questo potrà pesare anche l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, con un eventuale minor sostegno ai curdi, supportati da Washington negli scorsi anni contro lo Stato islamico?«Mah, gli alleati degli Stati Uniti sono stati abbandonati sotto ogni amministrazione, basti pensare agli stessi curdi, bombardati dai turchi in questi 2-3 anni, spesso e volentieri, senza che gli Stati Uniti e l’amministrazione democratica di Joe Biden facessero qualcosa. È una tradizione purtroppo, quella dell’Occidente in generale, di usare gli alleati e gettarli quando non servono più, specie se non hanno una forma statuale».I curdi rischiano di perdere pure Kobane, città simbolo della lotta allo Stato islamico?«Sì, Kobane in questo momento è già in forse, molte persone l’hanno già abbandonata per il timore che arrivino i turchi e altre milizie, dopo che a Manbij hanno messo in atto esecuzioni sommarie. In generale io credo che la Siria corra il rischio di una “balcanizzazione” più che di essere un protettorato turco, in qualche modo sicuramente la lunga mano della Turchia ci sarà, però soprattutto la parte orientale che è quella al confine con l’Iraq, dove ci sono le milizie sciite, resta in mano ai curdi. C’è poi l’Iran, che dovrà reinventarsi qualche rapporto con la Siria, ma le prime dichiarazioni di Teheran non sono state dure come ci si sarebbe aspettato».La Russia si starebbe ritirando dalle basi in Siria, invece.«Questo ci riguarda da vicino, perché se si ritirano dalla Siria, i russi punteranno alla Cirenaica e quindi saranno proprio i nostri dirimpettai. Prima erano affacciati sul Mediterraneo, ora saranno affacciati sostanzialmente al canale di Sicilia, quindi è una cosa che ci riguarda da vicino».Questo regime change in Siria potrebbe anche avvicinare la Turchia a Israele? «Il presidente turco Erdogan è estremamente spregiudicato: se ricordate, è stato lui a mantenere dei rapporti con Vladimir Putin, l’accordo sul via libera all’esportazione di grano porta la sua controfirma, ma allo stesso tempo vendeva droni agli ucraini, i primi Bayraktar, per rispondere alle aggressioni di Mosca. Adesso gli ucraini se li costruiscono da soli, ma quelli usati all’inizio dell’offensiva russa erano di fabbricazione turca. Se c’è una cifra che definisce la politica di Erdogan è la spregiudicatezza, perciò tutto è possibile. È possibile che ritorni a vedere dei rapporti, non dico di intesa cordiale, ma rapporti aperti con Israele, pur essendo Erdogan dei Fratelli musulmani, esattamente come Hamas. Certo, deve fare delle capriole per costruire la sua politica di potenza e nello stesso tempo proclamarsi nume tutelare dell’islam sunnita nel Medio oriente, però lui è capace di questo, se qualcosa gli va riconosciuto è la sua grande imprevedibilità. Dimentichiamo sempre che la Turchia è nella Nato. In questo momento, quindi, un Paese Nato sta spingendo le sue milizie nel Nord della Siria. Qui ci si preoccupa degli israeliani che hanno preso un punto di osservazione sulla cima del monte Hermon, ma intanto la Turchia ha allungato la sua ombra su tutto il Nord e il centro della Siria».Potrebbe anche riaprirsi la strada al progetto di Ankara sul gasdotto Turchia-Qatar, fermato da Assad nel 2009? «Potrebbe essere, però io vedo lontana una stabilizzazione tale da poter lavorare su dei progetti di lungo respiro, personalmente credo che vada guardata con attenzione la Giordania, perché quello che è successo in Siria probabilmente ha galvanizzato dei gruppi fondamentalisti in Giordania, un’altra situazione da tenere d’occhio. Il massacro di Hamas del 7 ottobre ha aperto un tappo di bottiglia mostruoso, si sta muovendo tutto nel Medio Oriente. Credo sia un’illusione anche quella di Benjamin Netanyahu di arrivare a un nuovo ordine regionale quanto prima, poiché non sembra avere una strategia per il dopo Gaza, mi sembra che in questo momento non ce l’abbia nessuno. La Russia si sta ritirando, l’Iran è stato bastonato, Israele deve preoccuparsi di salvaguardare i suo confini. L’unica cosa di cui si può essere certi è che Donald Trump sarà duro con l’Iran. Che questo possa tradursi in un via libera a incursioni mirate di Israele o qualcos’altro, non lo sappiamo, però sicuramente c’è questo elemento». Quindi possiamo dire che la caduta di Assad è vista con favore dagli Stati Uniti, poiché spezza l’asse Iran-Siria-Russia? «Gli Stati Uniti mi sembrano sorpresi da ciò che è successo, ed è clamoroso. Come il massacro del 7 ottobre non era stato previsto, così anche quanto è successo in Siria. E allora dove sono i grandi servizi di intelligence? Dove sono le cancellerie? Il mondo è molto disordinato, le previsioni, ma anche le strategie sono molto spesso fondate su basi fragilissime».Al Jolani e i suoi uomini sono stati dipinti come dei moderati, quasi progressisti, da alcuni media. Una visione miope, considerate le circostanze e gli interessi in gioco, non trovi?«Non è solo miopia, è anche ignoranza verso quel mondo. Al Jolani faceva parte della squadra che organizzò l’attentato a Nassiriya, qualcosa che ci riguarda da vicino. Non era tra i vertici, ma era importante all’interno della formazione. Dopodiché lui ha lasciato l’Iraq e si è recato in Siria. In Siria è diventato il leader di Al-Nusra. Al-Nusra è l’organizzazione che ha assediato Maalula, il centro cristiano più grosso della Siria, dove si parla e si prega in aramaico. Dopodiché nulla impedisce che ci sia stata davvero una “conversione sulla via di Damasco”, al realismo, alla moderazione e al pragmatismo. Però non possiamo scambiare le nostre speranze per la realtà e soprattutto è inutile cancellare il passato. Non credo nemmeno che Jolani voglia mettere in piedi un regime talebano, questa è una grande paura che aleggia in Occidente dopo quanto accaduto in Afghanistan. Però, il programma, per quanto nazionale, di Tahrir al-Sham, che in questo momento non parla di jihad, è destinato a essere qualcosa che preoccupa anche le altre capitali arabe. Il pericolo più grosso, ripeto, è l’instabilità dell’intera regione e la balcanizzazione della Siria».C’è anche la questione dei rifugiati siriani: la speranza di Erdogan, ma anche dell’Europa, è quella di poterli rimandare in Siria, essendo caduto il regime di Assad… «Se definiamo l’Egitto Paese non sicuro, la Siria è sicuramente un Paese non sicuro in queste settimane. Ci saranno probabilmente dei siriani che vorranno tornare per contribuire alla rinascita del loro Paese, ed è giusto che sia così, una delle disgrazie della Siria è aver perso il contributo intellettuale e lavorativo di un sacco di dirigenti e quadri che sono fuggiti in questi anni di guerra civile. Le comunità di profughi siriani sono tra le più inserite all’estero. In Italia sono pochi centinaia, ma se adesso dalla Germania partissero tutti i siriani, qualche problema lì lo avrebbero. All’epoca della Merkel, era un’immigrazione che ingolosiva, perché non era fatta di persone senza profili professionali, non era fatta di persone che avrebbero creato dei problemi e di difficile integrazione. Non a caso credo che ci sia già qualche decina di migliaia che hanno già la cittadinanza tedesca. In questo momento se avessi un amico siriano capirei se volesse tornare al suo paese, ma non lo forzerei a farlo, la questione andrebbe affrontata così».