2022-02-15
Prossima tappa della psicosi: togliere i figli ai genitori che rifiutano di vaccinarli
Walter Ricciardi, tra i più fervidi sostenitori della vaccinazione a tappeto dei bambini (Ansa)
Il caso di Bologna, con la sospensione della potestà, è un precedente. Con il fanatismo sanitario in atto e l’odio verso i renitenti, la perdita della prole può diventare la regola.Era il 2019, un millennio fa. Il dibattito politico era dominato dal caso Bibbiano, e la regista Francesca Archibugi se ne uscì con una frase inquietante: «A volte è un bene strappare i bambini alle famiglie». E aggiunse: «I figli sono dello Stato, non delle famiglie». Il discorso della regista aveva, se non altro, il pregio dell’onestà: per lo meno dalla rivoluzione francese in poi, tutti i progetti politici miranti alla costruzione di un «uomo nuovo» si sono concentrati sui bambini. I piccoli sono un terreno fertile in cui è più facile piantare i semi dell’ideologia. Le rivoluzioni che si propongono di ricreare il paradiso in Terra, inoltre, tendono a stabilire cesure manichee fra puri (i rivoluzionari) e impuri (gli ottusi che non seguono l’élite illuminata). In questo quadro, il bambino è ovviamente il più puro di tutti e va strappato alla famiglia che può corromperlo.Idee di questo tipo sono riaffiorate di frequente nella storia, come ha appunto dimostrato la vicenda bibbianese. Non è del tutto assurdo, dunque, temere che qualcosa di simile possa ripetersi a maggior ragione nell’epoca del culto sanitario. Qualche segnale, purtroppo, possiamo già vederlo. Oggi ritroviamo il classico schema binario: da una parte i puri (coloro che «credono nella scienza»); dall’altro gli impuri (i perfidi no vax). Fior di specialisti, nei mesi passati, si sono prodigati per spiegarci quanto siano devianti, pazzi e scriteriati questi ultimi. Altri esperti si sono invece spesi - e continuano a farlo - per magnificare i benefici effetti dei vaccini anti Covid sulla parte più giovane della popolazione. Giusto ieri, due delle più gettonate virostar - entrambe con ruoli ufficiali - si sono misurate sull’argomento. Walter Ricciardi, consulente del ministro Roberto Speranza, a Repubblica ha dichiarato che «questa è una malattia insidiosa, anche nei bambini. L’evidenza ci dice che vanno protetti, uno su dieci prende il long Covid e le ospedalizzazioni sono centinaia. Per questo vanno vaccinati». Da dove l’illustre Ricciardi abbia cavato tali certezze non è dato sapere. L’affermazione secondo cui un bambino su dieci avrebbe contratto il long Covid non sta né in cielo né in terra. E, a dirla tutta, sarebbe infondata pure se fosse riferita a un bambino su dieci contagiati. Sul long Covid non ci sono studi in grado di fare chiarezza una volta per tutte. Gli specialisti internazionali che se ne sono occupati sostengono per lo più che si tratti di una patologia rara e non preoccupante. Quindi le tesi ricciardiane appaiono vagamente terroristiche, compresa quella sulle «centinaia» di ospedalizzazioni: con una malattia che colpisce milioni di persone, è abbastanza normale che ci siano. Le uscite di Sergio Abrignani, luminare del Cts, sono ancora più inquietanti. Secondo costui, quelle dei genitori che temono di vaccinare i figli sono «tutte paure irrazionali. L’unico fatto», spiega, «è che nei giovani ci possono essere rare miocarditi non gravi e guaribili in pochi giorni con cortisone». Interessante: il long covid che (forse, chissà) potrebbe venire ai non vaccinati è pericolosissimo; le miocarditi post vaccino - che lo stesso rapporto Aifa sostiene essere presenti in eccesso - sono invece un piccolo inconveniente risolvibile in pochi giorni. Il fatto che i dati, in particolare nella fascia 5-11 anni, siano carenti o del tutto mancanti non sembra impensierire i due geniacci, così come il fatto che non tutte le società pediatriche occidentali consiglino l’iniezione per i piccini, anzi. Si sorvola pure sui pareri espressi da medici di provata autorità i quali da tempo consigliano estrema prudenza. L’unica cosa che conta è ripetere la regola rivoluzionaria: vaccino, vaccino, vaccino. E chi non è convinto, come dice Abrignani, è chiaramente vittima di «paure irrazionali». Segnatevi queste parole, e riflettete su quanto andato in scena negli ultimi mesi. Sui giornali abbiamo letto articoli celebrativi di ragazzini che, anche opponendosi ai genitori, insistevano per sottoporsi alla puntura. Le regole in vigore nella scuola stabiliscono una indegna discriminazione fra piccoli vaccinati e non vaccinati, condannando questi ultimi all’esclusione sociale. Politici come Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per aver detto che le loro figlie non sono vaccinate, si sono attirati assalti all’arma bianca. Infine c’è il caso di Bologna: due genitori hanno chiesto, in vista di un delicato intervento per il loro piccolo di due anni affetto da cardiopatia, una trasfusione da sangue di non vaccinato. Per questo si sono visti sospendere la patria potestà. I due poveretti non si sono opposti a un intervento urgentissimo, non hanno messo a rischio la vita del piccino, e hanno sollevato questioni che forse avrebbero meritato qualche secondo di dibattito. Certo, il loro caso è estremo, ma proprio per questo avrebbe potuto essere risolto senza particolari clamori, anche perché una struttura ospedaliera si era detta disponibile ad accogliere la richiesta relativa al sangue. E invece le istituzioni sanitarie hanno deciso di drammatizzare, e si è arrivati a un provvedimento durissimo come la sospensione della potestà. Ebbene, tutto questo suscita un filo nemmeno troppo sottile di disagio: non vorremmo che si iniziasse appunto dai casi estremi per passare poi a quelli ordinari. Già da mesi c’è chi diffonde disprezzo a piene mani. Nelle trasmissioni tv e sui giornali non mancano i commentatori «illuminati» pronti a sostenere che chi non vaccina il figlio sia un genitore inadeguato o un «criminale». Per ora le scariche di odio corrono sottotraccia, ma fra qualche mese? Che con il Covid dovremo convivere per anni ci viene ripetuto di continuo e che si debbano vaccinare i piccoli viene ribadito con sfibrante frequenza. Che ai «genitori no vax» si debbano togliere i figli qualcuno lo ha già suggerito. Quanto impiegheranno i rivoluzionari a gettarsi sui piccini per farne «uomini nuovi» a costo di sottrarli alle famiglie? Magari anche questa è una «paura irrazionale», come no. Ma ciò che due anni fa pareva irrazionale, ora è la regola. Per cui ciò che oggi è solo paura, domani potrebbe diventare realtà.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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