2020-06-05
Toghe inchiodate ai giri di favori perché negano il valore del singolo
La magistratura si è issata al di sopra di ogni cosa: è una casta in cui le carriere sono garantite e nessuno è punito se sbaglia. La differenza di abilità fra individui non è un criterio, ecco perché ruota tutto sulle amicizie.I cicalecci tra magistrati venuti alla luce su questo giornale hanno suscitato in me umana pietà. Comprendo, tuttavia, anche l'indignazione dei lettori per la perduta integrità dell'infelice mondo della giustizia. Ma è l'elemento drammatico che prevale nel grigiore di questi uomini in toga smarriti e senza principii alla ricerca furbesca di un posto al sole. La vicenda dimostra che nella magistratura associata, praticamente tutta - all'Anm è iscritto il 91,2% della categoria (8.358 su 9.162, tra giudici e pm) - l'aspirazione al giusto ruolo professionale, è completamente scollegata dal merito. Essa dipende da maneggi e agguati, come nelle peggiori conventicole. Conta appunto, il favore dei Luca Palamara di turno, la cena riservata, la smanceria servile contenuta in un sms - «sei un grande Lucone!», «Salvini è una carogna» -, accompagnata dalla faccetta che ride, piange e sciocchezze equivalenti. Il clima è esattamente quello degli intrighi tra maggiordomi nei romanzi inglesi quando uno da una mano all'altro per l'assunzione in casa di qualche Lord all'insaputa del medesimo. Esattamente come i clan giudiziari si spartiscono i ruoli sopra la testa dei cittadini. Non dovendo mai giustificare i propri comportamenti, l'irresponsabilità è il tarlo che rode la magistratura. Le leggi dette Breganze, dal deputato dc Uberto Breganze che le ispirò negli anni Sessanta del secolo scorso, hanno messo sullo stesso piano eccellenti e lavativi. Il principio costituzionale del giudice soggetto soltanto alla legge (art 101), ha fatto il resto. In sé, significa che il magistrato risponde unicamente alla propria coscienza. La regola, che doveva spronare ciascuno a diventare un monumento di saggezza e imparzialità, ha creato invece un esercito di pigri travet, con vocazione all'onnipotenza. Nella carriera delle toghe tutto è automatico. Gli avanzamenti, gli aumenti di stipendio, le bambagie. Nessun riguardo, invece, per il valore del singolo. Il colto e l'ignorante sono eguali. Chi pronuncia sentenze rapide ed esemplari, è pari al poltrone che non ne azzecca una. Il pm che inchioda il colpevole e ottiene la conferma dei tribunali, è identico all'altro che si accanisce sull'innocente e che, smentito dai giudici, irride la sentenza e convoca conferenze stampa per dire che ha comunque ragione lui. I torturatori di Enzo Tortora hanno proseguito tranquilli le loro carriere, senza pagare lo scotto e senza scusarsi. Gli accusatori di Giulio Andreotti, Calogero Mannino, Bruno Contrada, assolti o risarciti dopo decenni di dolori, sono lì inamovibili, né hanno subito contraccolpi. Una volta, alla vigilia del fiasco dell'accusa, chiesi al difensore di Andreotti, Franco Coppi, quanto fosse costato ai cittadini il processo. «Miliardi. Non so quanti», rispose, «ci sono migliaia di indagini inutili e fatti che non c'entrano nulla. Come se la quantità ci avvicinasse alla verità. Mancano invece del tutto i ragionamenti persuasivi che inchiodano». Come pensate che si sviluppino persone le quali, qualsiasi corbelleria compiano, non pagano mai? Individui che non debbono confrontarsi col risultato delle loro azioni, ricevendo il premio o la mazzata che meritano? Perderanno la percezione di sé stessi. Saranno uomini fuori dal mondo, ignari dei propri limiti e del rispetto dovuto al prossimo. Il loro destino è l'asocialità e la loro condanna l'essere confinati in una cerchia dentro la quale trovare perfino il compagno di vita. Credo non esista ambiente con un tasso di nuzialità tra colleghi paragonabile a quello delle toghe. E allora ecco spiegate le surreali telefonate autoreferenziali rivelate dalle intercettazioni. Non avendo significato nel loro mondo la differenza di valore tra i singoli, nessuno si candida dicendo: ho scritto la più dotta delle sentenze, i tribunali hanno sempre confermato le mie accuse, non ho arretrati da smaltire. Privati di questo orgoglio, non gli resta che la manovra occulta, la tresca politica, le tre carte tra maneggioni. Insomma, il palamarismo. Ecco perché ho detto di averne pietà. Oggi, sono dei paria di lusso cui è impossibile perfino uscire indenni dal loro falansterio dorato. Ogni volta che si spogliano della toga per affrontare il vasto mondo, falliscono. Chi non ricorda la meteora del procuratore antimafia, Pietro Grasso che, con pifferi e tamburi divenne presidente del Senato, si guadagnò il nomignolo di «Grasso superfluo» e oggi è nell'elenco smarriti? O Antonio Ingroia che, considerato un padreterno della magistratura, la lasciò per la politica che poi lasciò lui e oggi non è chiaro chi se lo sia preso. La quintessenza dell'inettitudine dei polloni di quel mondo, resta naturalmente Antonio Di Pietro. È stato mediocre in tutto: magistrato, capo partito, ministro. Il solo genio fu mettere a frutto il terrore che il suo mal condotto mestiere di pm gli permise di esercitare Un giorno, rimproverando a Corrado Carnevale, vero giudice e felice eccezione della trista confraternita, di avere promosso Di Pietro magistrato, nella sua veste di presidente della commissione d'esame, gli chiesi: «E' pentito?». «Sì -rispose lui-. Lessi nel suo curriculum che era stato emigrante e fui clemente. In base, all'esame però non avrebbe meritato il voto minimo che gli abbiamo attribuito». Chissà quanti altri Di Pietro ci saranno là dentro, pensai tra me. Oggi, è noto a tutti per tabulas. Alla magistratura va data una sterzata immediata. Prima ancora di separare le carriere di giudice e pm, sono le persone che vanno passato subito al vaglio. Ritorni la concorrenza tra gli uomini e si misurino le promozioni sul risultato. Gli automatismi, avanzamenti, stipendi, ecc, vanno spazzati all'istante. Tornino le gerarchie, gli esami periodici di idoneità, i giudizi sul lavoro svolto. Il grosso dei problemi sarà risolto quando, tanto per non fare nomi, i simil Di Pietro saranno pretori a vita e i Carlo Nordio approderanno solitari in Cassazione.
Jose Mourinho (Getty Images)