2025-03-16
Todde fa spallucce sul suo portavoce
Alessandra Todde (Imagoeconomica)
La governatrice della Sardegna continua a non rispondere alle nostre domande. Il centrodestra chiede se Jacopo Gasparetti abbia «fatto mediazioni per conto della Regione».La presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, sul caso Blutec (all’epoca dei fatti era viceministro del ministero dello Sviluppo economico) si è chiusa a riccio. Inutili i tentativi della Verità di contattarla telefonicamente: non ha risposto ai messaggi Whatsapp e ha rifiutato le chiamate in entrata. E anche il suo comunicatore, Jacopo Gasparetti (già portavoce della Todde al Mise e oggi nello staff della presidente della Regione Sardegna), intercettato nello studio romano di Luca Di Donna, avvocato d’affari legato a Giuseppe Conte, il 22 settembre 2021, durante una riunione che a leggere gli atti di un’inchiesta su Di Donna che è sparita dai radar dopo una richiesta di archiviazione (e che probabilmente è stata archiviata) viene descritta come riservatissima, con tanto di distruzione di documenti, resta in silenzio. Per lui interviene il suo legale, l’avvocato Fabio Federico, che, dopo aver annunciato valutazioni sulla presunta violazione del segreto d’ufficio, all’obiezione del cronista sulla questione politica (e non giudiziaria), prende tempo: «Mi faccia valutare con il mio assistito quale possa essere la migliore soluzione per garantire l’informazione». Per ora, insomma, nessuna risposta. Di certo una risposta ufficiale dovrà arrivare dalla presidente della Regione all’interrogazione presentata dal consigliere regionale sardo di Fratelli d’Italia, Corrado Meloni, che dopo gli articoli della Verità si è chiesto: «È legittimo domandarsi se a Gasparetti, consulente in comunicazione della presidenza della Regione, siano state affidate anche altre attività di rappresentanza della presidente Todde e di mediazione in merito ad attività politiche o amministrative della Regione». Al centro c’è l’intrigo svelato dalla Verità sulla Blutec, in quel momento in amministrazione straordinaria. Tra i presenti c’era proprio Gasparetti che, disinvolto, dice: «Easy! Ci mettiamo a tavolino con Alessandra e smaltiamo ’sto problema! Con i commissari... facciamo in cinque minuti». Il «problema» è la cessione dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese. Una partita milionaria. Assieme a lui ci sono Marco Simeon, imprenditore con molti contatti nella politica (e in Vaticano), e lo stesso Di Donna. I tre parlano per allusioni, scrivono su fogli che finiscono subito nel tritacarte. Per i carabinieri, che annotano tutto in un’informativa del giugno 2023, il piano è questo: costituire un «comitato d’affari» per infilarsi, con presunte manovre illecite, nelle cessioni gestite dal Mise e dal ministero dell’Agricoltura. E Gasparetti sembra la chiave politica per agganciare i commissari. La vicenda, a questo punto, fa un salto temporale (per colmare il quale La Verità ha cercato insistentemente Todde e Gasparetti), fino al 12 agosto 2024, quando lo stabilimento di Termini Imerese è stato venduto per 8,5 milioni di euro alla Pelligra Italia Holding srl. L’Accordo di programma tra Mimit, Regione Siciliana, Anpal e Comune di Termini Imerese vale 105 milioni di euro, con un bando pilota già pronto da 15. E c’era chi, due anni prima, si muoveva dietro le quinte. Ora il consigliere Meloni fa queste valutazioni: «È urgente e opportuno che venga fatta chiarezza sul ruolo di Gasparetti all’interno dell’amministrazione regionale». E dopo aver precisato che «sebbene non vi sia alcun motivo per dubitare della competenza e della correttezza del consulente», ha affermato: «Non si può fare a meno di evidenziare come la presidente Todde non sia riuscita a individuare in Sardegna alcun giornalista o esperto di comunicazione che potesse assicurarle le medesime garanzie di fiducia e professionalità».
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)